Scavando col badile

«Ci sono quasi! Uff! La sento!».
Era da poco spuntata l’alba quando l’uomo aveva dato il via alla sua missione: scavare un pozzo per portare l’acqua ai suoi campi. E ora era ormai buio. Anche la luce riflessa dalla Luna non riusciva a raggiungere il fondo della profonda cavità realizzata con la sola forza delle braccia, di una pala e di un improvvisato sistema di carrucole che, con grande difficoltà, portava all’esterno la terra scavata tramite un secchio legato a una corda.
D’un tratto, sotto i suoi piedi, un piccolo foro prese forma e una flebile luce si fece strada nel buio.
«Ma che diavolo è?!» esclamò.
Si chinò per osservare più da vicino. Fu un attimo, il terreno cedette e l’uomo cadde nel vuoto.
Fu un viaggio rapidissimo. Pochi metri di volo, poi lo schianto sul terreno attutito da alcune piante.
«Ma… ma… dove sono?!».
Si rialzò, constatò di essere integro e si osservò intorno. Ci vollero alcuni minuti per adattarsi a quella luce. Il paesaggio era molto simile a quello in cui viveva da oltre trent’anni: estesi campi, piante, alberi, alture, abitazioni.
Individuato un sentiero, decise di incamminarsi per giungere presso un edificio che, a occhio, doveva distare poco più di cinquecento metri.
Mancava poco, la sagoma della grande fattoria era ormai ben visibile, quando, tra i campi che si estendevano sul lato opposto al fabbricato, scorse, di spalle, una figura adagiata all’ombra di un ciliegio e un’altra che, a quattro zampe, trascinava un aratro.
«Buon’uomo! Buon’uomo, mi scusi!» urlò verso la prima.
Non ottenne risposta. Si avvicinò ancora un po’ e tentò nuovamente un approccio vocale.
«Mi scusi, buon…» la frase non fu terminata.
Un bue con una pipa in bocca, nascosto per buona parte dalla zona oscura creata dall’albero, lo squadrò da cima a fondo. Poi, senza dare troppa importanza a quella presenza, l’animale riportò la propria attenzione verso il campo. Qui, un uomo piegato dalla fatica, arrancava tra le zolle secche trainando con immane fatica l’aratro.
«Ma che diavolo succede qui?!» e il suo sguardo incrociò per un brevissimo attimo quello supplicante dell’uomo.
Involontariamente fece un passo verso di lui ma un profondo muggito emesso dal bue lo persuase a cambiare idea e, a passo svelto, a proseguire lungo il sentiero.
Oltrepassato a grandi falcate il primo edificio, e superata una curva che lo metteva al riparo dalla visione precedente, individuò una nuova, grande, fattoria.
S’avvicinò lento e guardingo senza incrociare anima viva. Poi, uditi alcuni rumori provenire dal retro, cautamente raggiunse il grande spiazzo che si apriva oltre la struttura abitativa. Poche costruzioni di legno e alcuni cavalli in pose bizzarre.
Fece ancora qualche passo nascondendosi dietro alcune botti e, strofinandosi gli occhi per esser sicuro di aver visto giusto, osservò uno degli equini che, con molta cura, legava un calesse a un uomo.
Anche se sconvolto, riuscì a mantenere un briciolo di calma e, camminando all’indietro, riconquistare il sentiero. Poi corse via.
Il fiato venne meno ben presto, nei pressi di un ponte che sovrastava un fiume dalle placide acque. Decise di raggiungere la sua riva e dissetarsi.
“Sto sognando, non c’è altra spiegazione” pensò mentre gettava acqua fredda sul suo viso.
Strani versi, intanto, entrarono con forza nel suo cervello senza riuscire ad individuarne la provenienza. L’uomo camminò lentamente lungo la sponda del corso d’acqua portandosi verso un canneto, mentre i versi e altri rumori indefiniti crescevano d’intensità. Individuò, tra le canne, un piccolo spazio per introdurvi la testa e ben presto rimpianse di averlo fatto.
“Oh dio! Ma… ma… quelle sono donne! Le stanno scuoiando!”.
Legati a dei pali, due corpi femminili senza vita con parte della carne viva in mostra e, vicini, due coccodrilli che, con molta perizia, ne asportavano la pelle. Non distante da loro, invece, altri tre rettili cucivano borse e scarpe con epidermidi appartenute ad altre proprietarie, di cui restavano pochi resti accatastati non distante.
I suoi occhi si serrarono automaticamente. Poi, tremante, riuscì a raggiungere nuovamente il ponte e a fuggire il più lontano possibile.
Si fermò solo quando il suo sguardo incappò in una fila di uomini che, lentamente e a capo chino, entrava in quello che, a prima vista, sembrava un grande capannone.
Era ancora piuttosto lontano e il suo ansimare copriva in parte il caos sonoro che proveniva dal suo interno.
«Amici! Sono uno di voi!» urlò agitando in aria le braccia.
Nessuno lo degnò di uno sguardo.
Si avvicinò e, a meno di trenta metri dai suoi simili, la sua mente riuscì a distinguere nettamente uno dei suoni: urla umane.
Di scatto portò le mani alle orecchie e si gettò a terra nascondendosi dietro l basso muretto che cingeva l’intero fabbricato.
Tremava e sudava, le gambe erano bloccate. Restò in quello stato per alcuni minuti, poi trovò il coraggio per alzare la testa di quel poco per osservare meglio quanto accadeva oltre il muro.
Le grida guidarono il suo sguardo verso una grande apertura collocata su una delle grigie pareti dell’edificio. E vide. Gli uomini, legati al soffitto, venivano sgozzati da alcuni maiali. Altri recuperavano i corpi gettandoli quasi con disprezzo su di un nastro trasportatore che li conduceva all’interno di una macchina trituratrice. Il prodotto terminava direttamente in un lungo budello, suddiviso poi da altri suini in una serie di salami, tutti identici.
“N-non può essere vero!”.
Un briciolo di lucidità venne in suo aiuto e lo convinse ad abbandonare immediatamente quel luogo.
Corse come mai aveva fatto in vita sua. All’improvviso, però, le sue ginocchia cedettero e si ritrovò a terra.
Privo di forze osservò il paesaggio intorno a sé. Gli estesi campi erano ormai scomparsi del tutto mentre due fasce boschive ora affiancavano la strada. Respirava profondamente, cercando le energie residue per raggiungere una via d’uscita, quando udì dei suoni in avvicinamento. Saggiamente, e con fatica, si portò tra gli alberi addentrandosi tra gli alti fusti.
Camminò al suo interno per qualche minuto prima di intravedere, non molto distante da lui, una grande macchia grigia verticale.
«Un castello! È la mia salvezza! Mi farò ricevere dal re, mi dovrà proteggere! Sono umano come lui!» urlò entusiasta.
Ritrovate le forze, giunse a pochi metri dalla fortezza, accompagnato da un crescente coacervo di suoni. Ancora tra gli alberi, ma ormai al limite del bosco, l’uomo si fermò ad osservare il via vai di animali che superava l’ingresso del castello.
“N-no, non può regnare un animale!”.
Il suo sguardo fu poi catturato da un piccolo capannello di bestie che circondava un serpente che suonava il flauto. Ipnotizzato da quelle note, abbandonò il suo posto sicuro e si avvicinò. Davanti all’elapide una grande cesta. Dal suo interno, lento e sinuoso, comparve un uomo.
Terminato il suo spettacolo, il serpente si voltò verso il suo pubblico e i suoi occhi incontrarono quelli dell’uomo.
«Miaooo! Miaooo!».
Irrazionalmente la sua mente individuò nel gatto l’unica forma di protezione. Buttatosi a terra a quattro zampe, l’uomo iniziò a strofinarsi ai presenti avvicinandosi, un po’ per volta, agli alberi. Raggiunti, si alzò in piedi e si diede alla fuga.
Superò in un lampo il bosco, la fabbrica dei maiali, il ponte sul fiume, le varie fattorie sino a giungere nel luogo in cui tutto ebbe inizio: il suo pozzo. Ma…
«No! Ho dimenticato la scala! Nooo!».
«Tesoro, che succede? Perché urli?».
«L-la… la scala… h-ho dimenticato la scala…».
«Quale scala?».
L’uomo stropicciò i suoi occhi, si osservò intorno e riconobbe le sagome sfocate del suo salotto, dei suoi mobili, del viso di sua moglie. Spostò le gambe modificando la sua posizione sul divano, da sdraiata a seduta, poi cercò con la mano destra gli occhiali sul tavolino in vetro posto dinnanzi a sé. Li trovò subito. Messo a fuoco l’ambiente, sorrise alla donna. Poi il suo sguardo cadde su quel quadrato di cartone piatto che stazionava sul tavolino. Lo afferrò. “Juri Camisasca – La finestra dentro”. E, mentre la buffa figura mostrava imperterrita la sua lingua, l’uomo scoppiò in una fragorosa risata.
Intanto, il giradischi da qualche tempo aveva smesso di suonare.

(pubblicato nell’antologia “Arteinte!” – Montegrappa Edizioni, 2019)

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