Istinto di sopravvivenza

«Dov’è Tobia?».
La domanda prese vita dalle labbra screpolate di Miriam, sedici anni.
Aldo, suo padre, finse di non averla ascoltata proseguendo nella sua operazione di mungitura, poco fuori dall’esile struttura in blocchi di tufo bianco e lamiere.
«Papà, dov’è Tobia?» chiese ancora la figura gracilina dal capello arruffato e dagli indumenti lacerati e sporchi di terra che lo fissava intensamente alle spalle.
Aldo, un metro e sessantotto di nervi e pancia, fermò la sua attività. Temporeggiò, poi si voltò e disse: «Tesoro, purtroppo Tobia non c’è più».
«Anche lui? Perché?» e corse via singhiozzando senza attendere una risposta.
Suo padre non cercò di fermarla e riprese le sue operazioni.
«Mamma, anche Tobia è morto?».
«Sì, tesoro. Mi spiace. Stamattina l’abbiamo trovato immobile nella sua cuccia. Poverino».
Miriam cercò e trovò conferma sulla morte del cagnolino anche in casa.
«Ma perché i miei cani muoiono sempre?» chiese con voce rotta.
«Purtroppo, sono animali delicati, soprattutto da piccoli. Forse ha mangiato qualcosa che non doveva, oppure stanotte ha fatto troppo freddo. Capita spesso» rispose Assunta, fisicamente una Miriam con vent’anni in più, carezzandola delicatamente sulla schiena. La ragazza si staccò e tornò fuori.
La sua abitazione, un vecchio edificio rurale che suo padre aveva ereditato dal nonno, ristrutturandolo con estrema fatica, faceva parte di uno dei piccoli aggregati umani, una volta estesi feudi di facoltosi possidenti, che puntellavano la campagna pugliese.
Miriam si sedette al centro dello spiazzo in terra battuta che si apriva sul retro della casa, circondato da piccoli edifici al limite della fatiscenza che ospitavano due mucche, un maiale, una ventina di galline, un gallo e un numero indefinito di conigli. Raccolse alcuni sassolini e diede il via al lancio nel pozzo collocato tra casa sua e il primo dei ricoveri degli animali, quello dei conigli. Le prime due pietre picchiarono contro la vera in mattoni, realizzata da suo nonno, e caddero al suolo. Le seguenti, una decina, centrarono l’obiettivo restituendo un sordo rumore. Pochi minuti di svago, poi si alzò e andò via.

«Miriam, sei sveglia? Dai, è ora di andare ad aiutare tuo padre».
Sabato mattina, ore sette, uno di quei sabati di aprile pienamente primaverili, caldi, di una primavera attesa a lungo e sbocciata improvvisamente. Il colpo della morte di Tobia, intanto, dopo circa una settimana, era stato assorbito pienamente.
«Sì, mamma. Cinque minuti».
Esattamente cinque minuti dopo la ragazza lasciava la posizione orizzontale.
«Cosa c’è da fare oggi?» chiese mentre inzuppava nel latte uno dei biscotti secchi preparati da sua madre.
«C’è da piantare i pomodori e, se avanza del tempo, anche le zucchine».
«Va bene, però domani ci riposiamo».
«Certo tesoro».
Fu una lunga e faticosa giornata lavorativa, inframezzata solo dal pranzo tenutosi poco dopo mezzogiorno.
«E anche per quest’anno ho dato!» esclamò Miriam, sporca dalla testa ai piedi e sudata, verso le diciotto.
«Grazie Miriam» disse teneramente suo padre.
«E ora dritta sotto la doccia» aggiunse, colpendola con un buffetto dietro la nuca.
Miriam sorrise e fuggì verso casa.

«Mamma, io vado al torrente a fare il bagno con Lina».
«Va bene, ma fate attenzione e non prendere troppo freddo».
«Sì, mamma».
La domenica mattina seguente, come promesso, giornata di riposo. Come accadeva di solito nelle ultime estati, con sporadiche licenze in primavera e primo autunno, Miriam e la sua amica Lina, le due uniche adolescenti della piccola frazione, si rilassavano nel rigagnolo che sonnolento attraversava le campagne circostanti. Poco più di quattrocento metri da percorrere su una stradina in terra battuta attraversata solo da trattori e poi, oltrepassato il “Ponte di ferro”, così definito per la sua incredibile resistenza, nonostante l’assenza di manutenzione da almeno un paio di secoli, si apriva un ripido e breve sentiero tra macchie di canneti che sfociava sulla riva del torrente Vulgano.
«E tu, invece, dove vai?» chiese Assunta vedendo comparire alle spalle della figlia suo marito.
«A caccia con Sebastiano e Leonardo» rispose Aldo abbigliato con la classica mimetica, cartucciera in vita e Doppietta Ravizza calibro 12 sulla schiena.
«Senti, ma questo fucile deve sempre stare sotto il letto? E carico, per giunta? L’altra mattina stavo facendo le pulizie e per poco non partiva un colpo» disse la donna.
«Ovvio. Ricordi l’ultima volta che sono venuti i ladri? Beh, la prossima volta ci penso io a loro. Nel frattempo, tu fai più attenzione» rispose piccato Aldo.
La donna scosse la testa sconfortata.

«Pronta?».
«Sì!».
«E andiamo!».
Giunte a pochi passi dalle basse acque del torrente, poco più di quaranta centimetri di profondità e di corrente lentissima, le due ragazze, sorridenti, si guardarono negli occhi e poi, con un gran balzo, vi furono dentro.
«Dai, così almeno dai una lavata a questi vestiti!» esclamò Lina, con il suo viso tondeggiante, le gote rosse fuoco e quei capelli neri e ispidi.
«Sì, perché tu, invece, sei vestita a festa!» rispose divertita Miriam mentre camminava a quattro zampe sul fondale limaccioso.
Dopo alcuni tentativi vani di nuotata, le due ragazze si sedettero in acqua, piegandosi all’indietro per bagnare anche i capelli.
Venti minuti di svago, poi decisero di uscire per asciugarsi il minimo indispensabile.
«Lo senti anche tu?» chiese ad un tratto Miriam.
«Cosa?».
«Non so, sembra un lamento, o un richiamo».
«Io non sento nulla».
«Ssshhh!».
Nel silenzio imposto da Miriam s’insinuò gradualmente un gemito che divenne ben presto più di uno.
«Sentito?» chiese nuovamente.
«Ora sì. Cosa sarà?».
«Secondo me è qualche animale, cuccioli senz’altro. Vieni, cerchiamoli».
Camminarono lungo la riva destra del fiumiciattolo per alcuni metri costeggiando uno dei vari canneti.
«Eccoli!» esclamo ad un tratto Lina.
«Oddio come sono belli!».
Davanti alle due fanciulle, nascosti tra la vegetazione, tre cuccioli di pastore tedesco dal pelo nero corvino con le classiche focature rosso-bruno.
«E ora che si fa?» chiese Lina.
«Io ne prendo uno» rispose Miriam avvicinandosi ai cagnolini.
«E gli altri due?».
«Non lo so, però mi spiace lasciarli qui».
«Scusa, ma tu non ne avevi già uno?» domandò ancora l’amica.
«Sì, ma è morto qualche giorno fa».
«Anche questo?».
«Sì, è il terzo ultimamente».

«Ne ha portato un altro».
«Ancora?».
Nel tardo pomeriggio Aldo era rientrato dalla battuta di caccia col misero bottino di sole due quaglie. Appena messo piede in casa fu informato da Assunta del nuovo “acquisto” della figlia. Miriam, intanto, da circa un’ora era uscita nuovamente con Lina.
«Senti, secondo me bisogna dirglielo» disse la donna.
«No, deve capirlo da sola. Niente cani, niente superfluo» rispose secco lui.
«E quindi?».
«E quindi farà la fine degli altri».
«E pensare che per qualche anno aveva funzionato» aggiunse mestamente Assunta.
All’età di nove anni Miriam aveva rinvenuto il suo primo cucciolo. Pochi giorni ed era morto. Ne seguirono altri quattro nel giro di un paio d’anni. Stessa sorte. Aveva così deciso di non prenderne più perché si sentiva sfortunata. Poco dopo il giorno del suo sedicesimo compleanno, però, mentre passeggiava con Lina, trovò un cagnolino abbandonato in una cunetta. Interpretò quel segno come regalo per il suo recente genetliaco e lo raccolse. Lo chiamò Nero, per via del suo pelo scurissimo. Nero visse con lei meno di una settimana. Circa un mese dopo seguì Carletto, quattro giorni. Poi fu la volta di Tobia.
«Fa presto. È ancora a casa di Lina e tra poco dovrebbe tornare» disse, infine, sconsolata Assunta.
Lasciati in casa i trofei di caccia, il fucile e la cartucciera, Aldo si diresse verso il piccolo magazzino in cui custodiva gli attrezzi agricoli, prese un secchio di plastica da venti litri e lo riempì d’acqua. Poi si recò verso la cuccia, afferrò il cane e tornò nel deposito. Qui, con una naturalezza quasi inquietante, inserì il cucciolo in un sacco di iuta e lo immerse nel secchio. Meno di un minuto e del nuovo venuto restava solo un piccolo fagottino senza vita.
Alle sue spalle Miriam osservò pietrificata la scena.
«Miriam, sei già tornata?».
La ragazza, senza farsi scorgere da suo padre, trovò il coraggio di allontanarsi ed entrare in casa. Ignorò il quesito posto da sua madre e a passo svelto raggiunse la sua stanza.
Assunta notò il volto scuro e provò una strana sensazione.
«Fatto».
Pochi minuti dopo faceva il suo ingresso anche Aldo.
«Mica sei stato visto da Miriam?» chiese sottovoce Assunta.
«Certo che no. Perché me lo chiedi?» rispose sicuro il marito.
«Non so, è tornata con una strana espressione poco fa».
«Avrà litigato con Lina. Succede almeno una volta a settimana».
Aldo lasciò la moglie con i suoi dubbi, poi si spostò verso la vecchia TV in bianco e nero e l’accese. Si voltò per sistemare la sua solita sedia e un’inaspettata visione lo bloccò.
«Miriam, cosa fai con quel coso in mano?!» urlò impaurito l’uomo alla vista della sua Doppietta Ravizza calibro 12.
«Perché li avete ammazzati? Perché?» gridò con forza Miriam.
«Miriam, mettilo giù! Non fare stupidaggini!».
«Perché? Ditemi perché?».
Aldo cercò un aiuto negli occhi di Assunta ma la donna era terrorizzata.
«Non vedi le difficoltà che abbiamo per riuscire a portare a tavola un piatto di pasta per noi stessi? Un cane è di troppo» disse poi l’uomo trovando un briciolo di lucidità.
«Non è vero! Non ci manca nulla!».
«Ma ti sei vista? Sempre gli stessi indumenti tutti i giorni, non possiamo neanche permetterci di mandarti a scuola».
«E quindi? Potevi dar via una delle mucche! Mangiano molto più di un cane!».
«Però ci danno il latte».
Intanto Aldo, che aveva recuperato anche un minimo di sicurezza, lentamente tentava di avvicinarsi alla figlia.
«Stai fermò!» urlò Miriam muovendo a scatti il fucile in preda alla rabbia.
«Abbassalo, piccola mia» disse Assunta che nel frattempo si era ridestata dal torpore.
«Perché mi avete preso in giro?».
«Perché non sapevamo come dirtelo. Ci tenevi tanto» rispose Aldo.
«E li avete ammazzati?».
«Non avevamo altra scelta».
«Fermo! Ho detto fermo!» strillò Miriam scorgendo il padre che, nuovamente, cercava di avvicinarsi per disarmarla.
«Voi non mi volete bene! Non me ne avete mai voluto!».
«Non è vero, non dire sciocchezze» disse la madre.
«Dai, ora metti via quell’arma e andiamo insieme da zia Lucia. Qualche giorno fa la sua cagnolina ha partorito e potrai scegliere il cucciolo che più ti piace. Questa volta non interferiremo» aggiunse Assunta nel tentativo di mettere fine a quella irreale situazione.
«Bugiarda! Bugiardi tutti e due!».
La ragazza ebbe un fremito di collera e abbassò di poco la canna del fucile puntata contro i suoi genitori. Suo padre cercò di cogliere l’attimo. Cercò, invano. La ragazza notò il suo scatto è sparò colpendolo allo stomaco. L’uomo crollò al suolo. Sua madre si gettò sul marito per soccorrerlo. Miriam la osservò e, mentre la donna le dava le spalle urlando frasi sconnesse, prese la mira e le sparò alla schiena.
«Da zia Lucia ci vado da sola».

(pubblicato nell’antologia “Giallofestival 2019” – Damster Edizioni, 2019)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *