Mezz Gacano & Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble – Kinderheim

MEZZ GACANO & SELF-STANDING OVATION BOSKÀUZ ENSEMBLE

Kinderheim (2017)

Sasime Records / Almendra Music / Lizard Records

Ad un anno di distanza da “Froka”, torna il genio di Mezz Gacano con Kinderheim, un nuovo stupefacente e intricato puzzle sonoro da diciassette tessere realizzato con Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble.

Mezz Gacano, come un grande stregone “indisciplinato” ma dai poteri occulti immensi, riesce nell’impresa di inserire nel “calderone Kinderheim” jazzisti, concertisti da camera, producer elettronici, musicisti tradizional-popolari, concretisti, esponenti del Fluxus, saltimbanchi e mangiatori di fuoco, ricavandone una pozione unica, magica. Tutti gli “ingredienti umani” utilizzati nel prodigioso infuso rispondono ai nomi di Lavinia Garlisi (flauto), Dario Compagna (clarinetto), Beppe Viola (sax soprano), Roberta Miano (violino, banjolino), Mauro Greco (violoncello), Ornella Cerniglia (pianoforte), Gianmartino della Delizia (synth, xilofono, organo hammond, spinetta), Davide Pendino (glockenspiel), Francesco “Nick” Tavormina (batteria), Luca “Lars” La Russa (basso, synth), Simone Sfameli (batteria), oltre allo stesso Mezz Gacano (chitarra, triangolo, synth orchestra, nastri, percussioni), e gli special guest Tommaso Leddi (mandolino, basso), Gianni Gebbia (sax soprano), Giovanni Di Giandomenico (pianoforte), Giorgio Trombino (sax contralto), Marco “Ruhi Nakoda” Monterosso (chitarra), Yu Suwon (voce, guz heng, percussioni), Valerio Mirone (contrabbasso), Simone Giuffrida (chitarra), Lucio Villanti (xilofono), Danilo Romancino (batteria), Luca Di Vizio (trombone) e N’Hash.

E, come già in passato, ciò che offre Mezz Gacano è pura, viscerale, sperimentazione senza limiti, una collezione di idee fuoriuscite negli ultimi venticinque anni dalla fervida mente dell’artista, accanto alle tre parti di Pic-Nic scritte da Tommaso Leddi e il brano di chiusura scritto a quattro mani dai due.

Ha senso fare una lista di influenze (o presunte tali, da Karlheinz Stockhausen a John Cage, passando per Frank Zappa, sino alle continue sortite nelle sonorità “classiche ma non classiche” e in quelle avant-prog/R.I.O./zeuhl di band quali Julverne, Weidorje, Henry Cow, Etron Fou Leloublan, News from Babel, Dün e tante altre ancora)? Forse sì, ma solo con il semplice scopo di offrire una prima indicazione sulla proposta di Mezz Gacano & Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble. Poi, però, toccherà addentrarsi nella foresta mezzgachiana scoprendo che tutte queste influenze (o presunte tali) sembrano apparire per pochi istanti per poi scomparire nel gorgo originale e visionario del collettivo.

Un’opera del genere, inoltre, non poteva di certo prevedere un contenitore fisico anonimo e, infatti, è accompagnato dall’artwork ermetico realizzato da Antonio Cusimano, con il suo “Pollock alla caffeina” e quella grande “K” (di “Kinderheim” o di “Koffein”?) fatta di fornelli, e dalla foto di classe “scattata” per l’occasione da Simona Di Rosa.

Okóis Plaicja. Una strana quiete pervade il primo capitolo di Kinderheim. Protagonisti iniziali i fiati “diluiti” di Viola (sax soprano) e Compagna (clarinetto) che poi cedono, in parte, il posto ai brevi interventi di piano e violoncello.

Con Rop Lady Guast si viene catapultati in un delirante “affresco” zappiano. Dalle chitarre ai due sax, dal basso allo xilofono, passando per la batteria, nessuno nasconde la mano ma “infierisce” sul corpo martoriato del brano. É questo Mezz Gacano: si ama o si odia. Si consiglia vivamente la prima opzione!

Obbligando #1. Il piano classicheggiante, e un po’ alla Cacciapaglia, di Cerniglia prova a donare un tocco elitario all’episodio ma, ben presto, ecco intervenire i fiati (flauto, sax soprano, clarinetto) e gli archi (violino, violoncello) che, con passo “zoppicante”, tentano di seguire il primo con alterne fortune.

L’anima rockeggiante di Mezz Gacano viene fuori in Lioschi VIII. La chitarra distorta dello stesso Mezz, mai lineare, si ritaglia un grande spazio, cedendolo poi ai tasti alienati di Gianmartino, che si divide tra Hammond e spinetta, e al lungo assolo di Dario Compagna al clarinetto. Un gran lavoro è svolto anche dalla coppia ritmica La Russa (basso) e Tavormina (batteria). Una tensione costante è uno degli elementi salienti del visionario brano.

Le prime note degli archi di Stitik fanno immaginare un percorso lineare e classicheggiante: nulla di più errato. Ben presto ritmiche, xilofono, triangolo e gli stessi archi si lanciano in un percorso tortuoso, zigzagante, che a tratti richiama i Julverne.

Arduo riuscire a descrivere gli oltre quattro minuti di Apefo Pafo. C’è davvero tanto, troppo. Dopo un avvio orientalizzante diventa una sfida riuscire a trovare un filo conduttore (ed è qui il genio di Mezz Gacano): frammenti cinematografici si alternano a jam orchestrali, soste “pizzicate” (dove c’è anche la firma di Tommaso Leddi) lasciano spazio ad una world music 2.0 (qualche elemento sembra richiamare gli Aktuala). In tutto questo “marasma”, in cui Frank Zappa e gli Henry Cow gongolano, batteria e basso sembrano gli unici strumenti “lucidi”.

Lajaska Fukkja. Vispa andatura d’archi, pachidermiche chitarre, “ronzii” di fiati, vorticose follie alla Art Zoyd, pause e poi rapide riprese: anche in un “francobollo” di un minuto abbondante, Mezz Gacano e i suoi soci riescono a condensare materiale utile, ad altri, per un disco intero!

K Sojalienju sembra un brano d’alleggerimento affidato quasi esclusivamente al lungo dialogo tra Mauro Greco al violoncello e Dario Compagna al clarinetto basso, i quali occupano bene lo spazio concesso senza mai eccedere.

Un nuovo passo verso la follia con Opsedale Spichiatrico (N’Hash remix) dove è l’elettronica “malata” di N’Hash a condurre le danze, sovvertendo drasticamente il loop iniziale.

Si riprende a correre con Counterpeel in cui gli indemoniati chitarra, archi, fiati e ritmiche imprimono un ritmo frenetico, prima di dare il via ad un saliscendi inquietante cui contribuiscono tutti.

Cerchio di Permità Gravemente. E quando pensi di aver già sentito abbastanza ecco giungere le sperimentazioni vocali alla Demetrio Stratos di Yu Suwon che si prendono la scena in un’atmosfera rarefatta e un po’ orientalizzante, grazie anche al suono del guz heng.

Fresca e “sbilenca” la breve Pic-Nic #1, una continua lotta tra limpidezza e irregolarità cu partecipano attivamente, e non poteva essere il contrario, Tommaso Leddi (mandolino), Gianni Gebbia (sax soprano), Yu Suwon (voce, guz heng, percussioni), Mezz Cagano (chitarra classica, synth orchestra, nastri, percussioni), Lucio Villani (xilofono), Danilo Romancino (batteria) e Ornella Cerniglia (pianoforte).

Miss Hill Mary. Brano eseguito in “punta di piedi”, con gli eleganti suoni di glockenspiel, suonato da Davide Pendino, che si fondono delicatamente con il flauto di Garlino, il clarinetto di Compagno e il piano della Cerniglia.

É il raffinato assolo di sax soprano di Gebbia il protagonista indiscusso della fugace Pic-Nic #2. Con lui i ghirigori di mandolino di Leddi e il “saltellante” piano di Ornella Ceniglia.

Pic-Nic #3. Episodio che emana sentori mediterranei e canteburyani allo stesso tempo. Ottimo il lavoro di ricamo svolto da mandolino, sax soprano e piano, in un crescendo corale di gran classe.

Diamanda Galaxy. Entra timidamente sul palco e poi, Ornella Cerniglia, preso confidenza con lo strumento (pianoforte) e col pubblico, si lascia andare offrendo un soliloquio futurista (vedi “La guerra” di Francesco Balilla Pratella).

Si chiude con quello che potrebbe essere il brano d’apertura di un disco o di un concerto, Bitter(n) Stormy Over Vesuvio (ispirato da “Unrest” degli Henry Cow): una fase di accordatura strumenti che precede una jam tra i The Residents e Zappa e soci. A mo’ di ghost track troviamo un lungo brano che ricalca la follia dell’intero album, una sorta di patchwork alla Elio e Le Storie Tese che restituisce momenti dalle tinte romantiche, frammenti hard che si spingono sino alla brutalità dei The Berzerker, la novità del canto (e del parlato), sentori reggae, schegge ironiche e tanto altro ancora. Una chiusura (nascosta) in linea con un lavoro, un artista e un ensemble decisamente “avanti”.

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