Psicosuono – Metropoli

PSICOSUONO

Metropoli (2017)

Autoproduzione

 

Dopo il sensibile passo avanti realizzato con il secondo album (Eta Carinae, 2013), e nonostante i continui avvicendamenti in formazione, gli Psicosuono compiono un deciso balzo verso la maturità con Metropoli.

Assestatisi con una formazione a sei che vede Elisabetta Giglioli (voce), Stefano De Marchi (chitarra elettrica ed acustica), Elisa Costanzo (voce), Claudio Bellamacina (chitarra elettrica ed acustica), Betty Accorsi (sax alto e soprano), Dario Merati (basso), e con la collaborazione di Matteo Severini (batteria e percussioni), gli Psicosuono realizzano un lavoro che è una miscela di tecnica ed estro, un concept album che, in omaggio all’estrazione metropolitana dei singoli membri del gruppo, indaga personaggi e sentimenti, paradossi e contraddizioni, vizi e virtù che caratterizzano il mondo contemporaneo.

Il “tema” musicale che emerge con più forza da Metropoli è senza dubbio il jazz rock, esposto in varie forme e “calzato” alla perfezione dal sestetto (settetto) lombardo, una policromia sonora che si rispecchia pienamente negli affascinanti dipinti di Gianfranco Caruso che impreziosiscono l’artwork del’album.

Partenza con i giri a 1000 per Clochard, un jazz rock denso che si muove tra Soft Machine (quelli di “Fourth”) e Blue Morning con un interessante tocco balcanico dovuto ai fiati di Betty Accorsi. Il profondo doppio registro vocale femminile si amalgama alla perfezione con il sostrato sonoro mentre l’assolo schizofrenico di De Marchi monopolizza il primo spazio lasciato “vuoto”. Poi tutto, a prima vista, s’assopisce, con il duo Giglioli/Costanzo che si “accolla” l’onere di tenere in piedi il brano tra eterei arpeggi. Ma sotto c’è del magma che ribolle e che esplode poco oltre. Io sono un invisibile / presto scomparirò / Lento discendo agli inferi / della mia dignità! / Gente mi passa accanto / senza voltarsi mai / Nessuno sa il mio nome / ecco, sono il clochard! […].

Walzer. Brano scherzoso, acustico e folkeggiante, con lievi sentori di Pentangle. Quasi una filastrocca il canto retrò ([…] Vecchio professore / a cosa ci ha portato / il tuo programma così tanto amato? / Sazia ancora i nostri occhi / del mondo in cui viviamo / Ma io ho ancora nel vento / Parigi mi respira sul viso mi guarda / e mi giro sul filo / di un walzer ormai già finito / e leggo stupita / le poesie che parlan di me / e che mio padre ha già scritto / in un libro coperto di miele e di mirto). Nella seconda parte le ritmiche prendono quota mentre corde e fiati si danno battaglia.

Elettrica e frizzante Metropoli. Fraseggi irregolari e a tratti zappiani, assoli di sax alla Elton Dean, sfuriate chitarristiche e canto camaleontico fanno della title track un episodio davvero intrigante, accompagnato da un testo che va dritto al tema del conceptEsco fuori a camminare nella mia città / tra la gente che s’affanna e si divincola / Tutti guardano per terra o il cellullare / e nessuno sa di fianco a chi sta. / Si rincorrono frenetiche le “categorie” / di persone stralunate, piene di manie / Schizofrenici individui che t’ignorano / hanno da fare, da lavorare! […] / Spettri senza identità / sempre in viaggio / del proprio lavoro sono l’ostaggio. / I colletti bianchi dall’aspetto nobile / corrono in salita sulla scala mobile / Personaggi metropolitani: / schiavi dei soldi / che si bruciano il “domani” […] / Ricordati di conquistare, ricordati di profittare / ricorda di saper lucrare, ricordati di respirare!.

Orientalizzante e magnetico l’avvio di Alter-azione, con le voci che accentuano con forza la seconda caratteristica portando il brano verso lidi cari ai C.F.F. e il Nomade Venerabile. Gradualmente il brano acquista spessore grazie ai colpi sempre più netti di Severini e agli interventi dei fiati. Poi l’elemento folk caro alla band viene temporaneamente a galla. L’ultima parte è occupata da un intenso crescendo che “sorregge” il grande assolo della Accorsi.

Con Passo dopo passo siamo catapultati direttamente in un Club Jazz “in bianco e nero”, con Elisabetta Giglioli ed Elisa Costanzo dietro ai microfoni che cantano, agitano i fianchi e ammiccano al pubblico, mentre, alle loro spalle, la band svolge egregiamente il compito di jazzare, con tanto di assolo alla John Coltrane del sax, seguito dal vibrante soliloquio di chitarra. Virata tribale improvvisa sul finale. […] Faccio il necessario, quel che serve per campar / Tanto se m’impegno, niente in cambio mi daran […].

Particolari le prime battute di La notte del vostro domani con le voci che scherzano liberamente. Poi ritmiche e chitarre spazzano via il clima ilare con uno stacco all’Accordo dei Contrari e il brano prende velocità con il canto che assume il comando delle operazioni. E fra andature “zoppicanti” e soli jazzati di sax e chitarra, il brano scorre piacevolmente.

Incedere quasi pachidermico e sentori di Blues Brothers per Blues ubriaco. Come sempre l’espressività delle voci del duo femminile si ritaglia un ampio spazio, così come il sax dell’Accorsi. Testo sempre su alti livelli: […] Ma non è così facile / Lasciarti, mia metà / Compagna intransigente / Bottiglia di cognac / “Ancora un’altra volta, lo giuro, è l’ultima”… / Sapendo di mentire lei mi avrà / Tutto questo mio piangermi addosso / Come un randagio a cui han rubato l’osso / Mi spinge a consolarmi insieme a te / Che sei dei distillati come il “Re” / Maestà, vi annuncio infine un lieto evento / Le scarpe mi son fatto di cemento. / Un tuffo in acqua e il vino sparirà / Insieme ad ogni macchia e lacrima!.

In coda troviamo le due bonus tracks Clochard (English Version) e Drunk Blues, versioni con il testo in inglese dei brani Clochard e Blues ubriaco.

Terminato l’ascolto si può solo applaudire al coraggio, alla bravura e alla tenacia di un progetto che va avanti per la sua strada da ormai tre lustri.

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