Intervista ai Quanah Parker

Diamo il benvenuto a Riccardo Scivales (R.S.), Elisabetta Montino (E.M.), Giovanni Pirrotta (G.P.), Paolo Ongaro (P.O.), Alberto Palù (A.P.) e all’ospite “speciale” Alessandro Monti (A.M.): Quanah Parker.

Partiamo, ovviamente, dall’inizio. Come nascono i primi Quanah Parker in quel lontano 1981? E quali sono le influenze del decennio precedente che hanno contribuito al vostro sviluppo?

R.S.: Nascono quando mi unisco a una band preesistente, di Mestre, formata da Alfio Bellunato (voce), Roberto Noè (chitarre e voce), Roberto Veronese (basso) e Giuliano Bianco (batteria), e propongo loro i miei brani, che insieme a qualche brano e apporto compositivo di Noè diventarono il repertorio della band. Ricordo che i primi brani furono La Maschera di Giada, Quanah Parker Death Of A Deer (che allora aveva un altro titolo). Quando il primo cantante si trasferì all’estero per motivi di lavoro, fu sostituito da Alessandro Monti e dalla cantante Maddalena Cutaia. A quanto ricordo, oltre ai Genesis e al Prog, gli altri componenti della formazione 1981-1985 avevano come punti di riferimento i Led Zeppelin, e il bassista e il batterista amavano in particolare i Weather Report e la musica Fusion. Alessandro Monti aveva interessi e ascolti musicali “a tutto campo”, e il bassista Giorgio Salvadego (che sostituì Veronese nel periodo del servizio militare) era un grandissimo cultore degli Yes. Le mie influenze personali erano (e tuttora sono) Rick Wakeman, gli Yes, il Banco e il Prog in generale, l’arpa celtica, Antonio Breschi, il pianismo stride e jazz, la grande musica latinoamericana, e i classici Domenico Scarlatti, Musorgskij e Bartók (al quale è dedicato proprio il brano Quanah Parker). Fondamentali nella mia formazione sono stati gli spartiti degli album di Wakeman, ELP, Banco e Orme, grazie ai quali ho potuto studiare il linguaggio di questi grandi maestri. Per quanto riguarda la mia strumentazione, all’epoca usavo un organo tipo Hammond, un piano elettrico Davoli (straordinario!), una tastiera d’archi Crumar e un piano elettronico Armonpiano. Quest’ultimo aveva dei suoni di clavicordo e spinetta assolutamente particolari, con layer, balance e un curioso effetto di vibrato.

Sono solo gli obblighi militari a decretare la fine del progetto nel 1985, o, ad esempio, la difficoltà di proporre tale genere musicale, in un decennio di certo non felicissimo per il Progressive Rock, ha contribuito allo “stand by”? E come mai non arrivaste alla pubblicazione di un album?

R.S.: Gli obblighi militari ebbero sicuramente un peso determinante, perché ci portarono via per molti mesi, e in periodi diversi, vari elementi della band. Come è facile immaginare, questo ci creò dei grossi problemi che, uniti al fatto che eravamo molto giovani, ci impedirono di pubblicare un album. Ci arrivammo però molto vicini: nel garage dove provavamo, infatti, grazie a Roberto Lucano (un bravissimo sound engineer nostro amico) realizzammo numerose registrazioni “casalinghe”, ma di ottima qualità, per un demo di circa un’ora. Questi brani circolavano su una musicassetta che era molto apprezzata sulla scena locale. Ricordo anche che un discografico locale mi propose di comprare due nostri brani (tra cui After The Rain, poi inciso nel nostro CD “Quanah!”) per il Festival di Sanremo. Era lì pronto col contratto da firmare, ma dal punto di vista economico la percentuale che mi offriva mi sembrava troppo bassa, e orgogliosamente rifiutai. Ero molto giovane, e ripensandoci col senno di poi, avrei dovuto senz’altro accettare… Ad ogni modo, After The Rain è stata poi pubblicata varie volte: compare infatti in “Quanah!”, è stata pubblicata a stampa negli USA, e un suo nuovo arrangiamento per voce, pianoforte e coro è stato recentemente incluso nella bellissima compilation internazionale “DIPLOCOMP: A Diplodisc Sampler”. Ricordo inoltre che intorno al 1986 ripresi un brano dei Quanah, Silly Fairy Tale, e lo presentai a una delle primissime edizioni del Festival di musica leggera di Venezia “Leone d’Oro” in nuova versione in italiano, per tastiere e voce, che avevo inciso in studio con una nuova cantante. Il brano entrò in finale e, se non erro, si piazzò al secondo o al terzo posto.

A.M.: In effetti ci furono molti problemi, ma non certo la difficoltà di proporre un genere come il prog… Noi facevamo quello che sentivamo con gioia e naturalezza: le nostre cassette circolavano tra gli appassionati e di lì a poco gruppi derivativi come i Marillion, si sarebbero affermati in modo sorprendente nel panorama musicale. Pochi si ricordano infatti che proprio agli inizi degli anni ’80 un’appendice di gruppi “progressivi” come Art Zoyd, Univers Zero, Art Bears stavano facendo uscire alcuni dischi straordinari: era il coraggioso sforzo di “Rock In Opposition” di cui gli Stormy Six erano gli unici rappresentanti italiani. Ricordo ancora che durante la composizione dei brani dei Quanah Parker, avevo personalmente compilato una cassetta per Riccardo che conteneva il meglio di quello che girava in quel momento: dai singoli di Robert Wyatt ai brillanti Eskaton francesi. All’epoca collaboravo allo stesso tempo con Quanah Parker e con Hakkah, due bands che avevano in comune lo stesso chitarrista e che provavano nello stesso garage… ma che avevano anche notevoli differenze stilistiche; personalmente non sentivo nessun attrito tra new wave e prog come non lo sento ora. Oggi bands come Porcupine Tree, Henry Fool, No-Man o Circle hanno avvalorato questa mia tesi: atmosfere diverse possono coesistere senza creare scandalo! Alla fine per me si trattava solo di musica… le mode non mi hanno mai interessato, ma ho sempre trovato qualcosa di interessante in ogni periodo. Forse nel mio caso ha giocato un ruolo determinante la consapevolezza di essere un collaboratore, un melodista e scrittore di testi per le splendide idee compositive di Riccardo… non ero parte integrante del gruppo, ma alla fine i nostri demos sono stati ripresi dal gruppo fino ad oggi! La collaborazione nel nuovo disco è stata come la chiusura di un cerchio.

Negli anni seguenti la musica ha sempre fatto parte della vostra vita e lo è tuttora (Riccardo Scivales tra l’altro è stato, ed è, insegnante, musicologo, compositore, arrangiatore; Alessandro Monti produttore musicale). Come descrivereste questi trent’anni trascorsi dal 1985 ad oggi?

R.S.: Per me sono stati anni molto intensi, di esperienze diverse tra loro e anche lontane dal Prog: lo scioglimento dei primi Quanah, infatti, fu per me un momento molto duro e quindi, probabilmente per reazione e per dimenticare, mi rivolsi a musiche “altre”, concentrandomi sul pianismo jazz dalle origini al bebop, e poi sulla grande musica latinoamericana. Su questi argomenti ho pubblicato numerosi libri, metodi, trascrizioni, arrangiamenti pianistici, saggi, ecc. negli USA e in Inghilterra. Ho tradotto tutti i trentaquattro volumi del metodo pianistico Bastien attualmente esistenti in edizione italiana, ho scritto articoli e saggi per varie riviste italiane, e per dieci anni ho insegnato storia del jazz e della musica latinoamericana all’Università di Venezia, dove ho tenuto anche un corso monografico sugli Yes. Ho avviato la mia attività di insegnante di Pianoforte Moderno in varie scuole di musica e ho tenuto dei corsi di specializzazione su composizione e improvvisazione ragtime al Conservatorio. Musicalmente, ho collaborato con vari musicisti locali (tra cui Donella Del Monaco ex-Opus Avantra) e sono stato attivo come pianista in Piazza San Marco a Venezia, come pianista e compositore per alcune compagnie teatrali, e soprattutto come leader del mio ensemble di musica Latin e afrocubana “Mi Ritmo”, col quale ho inciso un CD e ho dato numerosi concerti dal 1995 al 2005, e col quale ho continuato più sporadicamente l’attività anche in seguito. A inizio 2005, grazie al DVD di “Journey to the Centre of the Earth” di Rick Wakeman regalatomi con felicissima intuizione da Alessandro Monti, è avvenuta la mia riscoperta del Prog: è stato come riaccendere un antico amore e ritrovarlo intatto e più forte che mai. Ho quindi ripreso e “riscoperto” tutta la musica dei miei vecchi “Prog heroes” e mi sono reso conto, una volta di più, della grandezza assoluta di questa musica, ricca e completa come probabilmente nessun’altra.

A.M.: Anni pieni di ascolti e di progetti… alcuni sono stati realizzati e resteranno, altri si sono persi per strada… fa tutto parte della vita: in mezzo a problemi lavorativi, familiari e fisici la musica è sempre la cura migliore!

Alessandro, ti va di presentare il Collettivo Unfolk e la Diplodisc?

A.M.: Diplodisc è una “non etichetta” nata per veicolare il mio primo lavoro solista (“Unfolk”, 2006), non è un marchio depositato ma è totalmente autogestita dai musicisti; siamo arrivati al decimo numero di catalogo. Il collettivo Unfolk è un nucleo di musicisti variabile con cui ho realizzato un paio di lavori tra cui “The Venetian Book Of The Dead” (il Libro Veneziano dei Morti), un concept album che sfugge ad ogni catalogazione. È stato naturale in questo contesto ospitare su Diplodisc il disco degli amici Quanah Parker, che sentivo ancora fresco, interessante e perfettamente in linea con il rinnovato interesse per il genere art-rock.

Il 2005 è l’anno della “rinascita” dei Quanah Parker. Riccardo, qual è l’impulso che ti ha portato a “mettere mano” nuovamente al progetto? E come avviene la scelta della nuova formazione?

R.S.: In quell’anno, abitavo ormai da molto tempo lontano da Mestre, vari vecchi amici dei Quanah, come Fabio Bello, mi avevano contattato per caldeggiare la ricostituzione della band. Inoltre, Giovanni Pirrotta (mio collega in una scuola di musica) aveva dimostrato interesse per la mia musica e cominciammo perciò a collaborare insieme. Per “ricostruire” i vecchi materiali, recuperai gli spartiti esistenti e trascrissi dalle vecchie registrazioni le parti mancanti. Giovanni fu bravissimo a entrare velocemente nell’ottica dei Quanah, e cominciammo quindi a provare questi brani insieme a Paolo Ongaro, il cantante Andrea Cuzzolin e anche il bassista Giorgio Salvadego (già componente dei Quanah 1981-1985), che nel frattempo mi aveva contattato per formare una tribute band Yes. La nuova band nasce quindi dall’entusiasmo dei vecchi amici dei Quanah, dall’interesse di Giovanni per la mia musica, e come band inizialmente pensata per proporre un repertorio misto di brani “Quanah” e degli Yes: in effetti, nei primi sei-sette anni oltre ai nostri brani abbiamo suonato regolarmente cover degli Yes e di Wakeman, Jethro Tull e Genesis, poi ci siamo concentrati esclusivamente sulla nostra musica.

Dopo vari assestamenti nella formazione si arriva al 2012, anno dell’esordio discografico con “Quanah!”. Ti va di condividere le emozioni provate nel raggiungere un traguardo “sudato”, in pratica, trent’anni?

R.S.: Beh, è stata una grandissima emozione davvero, e sono molto grato ad Alessandro Monti che, dopo essere venuto a un nostro concerto, ha come “riscoperto” la band e le sue nuove potenzialità, e si è offerto con entusiasmo di co-produrre questo nostro primo album per la sua interessantissima Diplodisc. Dopo tanti anni di esperienze diverse, far rinascere i Quanah e pubblicare un loro disco è stato per me come riappropriarmi di una parte molto importante della mia musica (e della mia vita), vederla finalmente concretizzata su disco, e ritrovare l’energia di suonare nuovamente in una (grande!) rock band. Per me è entusiasmante lavorare e suonare live con i Quanah: nella band c’è un bellissimo clima “corale” e tutti portano le proprie idee senza preconcetti o limitazioni. Inoltre, è stato molto emozionante vedere le bellissime reazioni suscitate da questo “Quanah!”, che tranne qualche rarissima e “tiepida” eccezione, ha ricevuto decine di magnifiche recensioni in Italia e all’estero. E questo, per fortuna, si sta verificando anche con il nuovo album. Una bella conferma, così come il prezioso entusiasmo dimostrato per noi dalla M.P. & Records e dalla G.T. Music Distribution nelle persone di Vannuccio Zanella e Antonino Destra. E se può interessare, ricordo inoltre che prima dell’entrata di Elisabetta nella band abbiamo realizzato in proprio il mini CD “After The Rain” (quattro brani, 2006) e un “Demovideo DVD” (2007), che si possono eventualmente richiedere scrivendo al nostro sito www.quanahparker.it.

Dopo soli tre anni tornate con l’album “Suite degli Animali Fantastici”. Oltre alla presenza della suite che dà il nome all’album e alla collaborazione con Alessandro Monti, quali sono, a vostro modo di vedere, le differenze “palesi” e quelle “velate” tra i due album?

R.S.: Premesso che adoro anche il primo album, la differenza “palese” col secondo album è che quest’ultimo probabilmente ha una maggiore coesione e unitarietà. Anche la scelta di cantare in italiano il brano Suite è stata importante, e in futuro seguiremo questa strada. Riguardo alle differenze “velate”, il secondo album probabilmente dimostra una maggiore maturità da parte di tutti noi, e c’è stato anche un maggiore apporto collettivo nell’arrangiamento e nell’elaborazione definitiva dei brani. E non poteva essere diversamente, perché il secondo album consiste soprattutto di brani nati già in partenza con i Quanah attuali, mentre il primo album è formato per due terzi da brani “vecchi”. Detto questo, vorrei ribadire che non ritengo affatto “Quanah!” un album “minore”, perché contiene ottime versioni di pezzi musicalmente molto interessanti e assolutamente fondamentali nell’economia anche attuale della band.

A.M.: Credo che “Suite” sia il vero album dei Quanah Parker… rispecchia perfettamente la band attuale e sono felice di aver dato il mio contributo realizzando un vecchio sogno; grazie all’entusiasmo di Vannuccio Zanella e Antonino Destra (M.P. & Records) siamo riusciti a produrre un grande lavoro di gruppo in tutti i sensi. “Quanah!” (il primo cd) era invece una vera e propria antologia di pezzi storici che copriva tutta la carriera della band fino al 2012.

E.M.: Lascio la risposta a Riccardo.

G.P.: Chitarristicamente parlando, in “Quanah!” ho registrato con una Squier Stratocaster dell’85 e una testata Vox del ’64, così da ottenere un sound più Hendrixiano, che a mio parere si sposava perfettamente con la tipologia di brani del disco. Nell’album “Suite”, ho cambiato completamente: come chitarra una PRS Custom22 (più “simil Gibson”) e una testata Fuchs, molto “Fender style”. Sentivo il bisogno di avere un suono più articolato e meno “grezzo”. Inoltre, in quest’ultimo lavoro si sentono molto di più le influenze dei singoli elementi e quindi le loro provenienze musicali.

P.O.: Penso che nel primo album la band abbia seguito le orme e per così dire “rispolverato” la musica della formazione originale degli anni ‘80, fonte di grandissima ispirazione per stile, sound e originalità. In “Suite degli Animali Fantastici” c’è stata un’evoluzione più fresca nelle idee compositive e organizzative, e anche nella crescita dei singoli membri attuali della band. Segno di maturità che speriamo cresca sempre di più nei progetti futuri.

Sia in “Quanah!” sia in “Suite degli Animali Fantastici” sono presenti brani che nascono con i primi Quanah Parker. Come nasce il “bisogno” di recuperare quei brani? E quali sono le difficoltà (se ci sono) che s’incontrano nell’“attualizzare” composizioni nate decenni prima?

R.S.: Il bisogno di recuperare i vecchi brani nasce dal fatto che li ritengo molto validi, e sarebbe stato davvero un peccato lasciarli lì “nel cassetto”, inediti. Tra l’altro, sono anche una sorta di documento della musica suonata dai Quanah nei primi anni ‘80, quindi anni decisamente pioneristici per il Neo-Prog. E non abbiamo trovato particolari difficoltà nell’“attualizzarli”, anzi è stata una grande gioia riprenderli in mano e vedere quali miglioramenti e ulteriori sviluppi potevamo dargli. Un bell’esempio in tal senso è Death Of A Deer nel secondo album, e nel primo album Asleep, che originariamente era una “simple song” per piano e voce, e che i Quanah odierni hanno saputo sviluppare perfettamente, in direzione Prog, con le possibilità offerte da un’intera band.

E.M.: Per quanto mi riguarda, le difficoltà sono state affrontare tonalità molto lontane dal mio range (in quanto prettamente maschili) e adattarvi un’espressività che risultasse quantomeno credibile. Ma pare comunque che il pubblico abbia accolto bene il risultato.

G.P.: Non ho trovato difficoltà nel prendere in mano le prime bozze musicali, anzi è stato molto stimolante sentire come venivano intese le melodie e come venivano sviluppati i momenti più dilatati dei brani: un conto è vedere la musica scritta su spartito, ma sentire le registrazioni su nastro è ovviamente un’altra cosa. Personalmente, quando dieci anni fa è stata riformata la band ho iniziato subito con grande entusiasmo questa avventura musicale, e non essendo all’epoca il Prog un genere che suonavo, per me era anche una sfida, vista la complessità dei brani.

P.O.: Già dalle origini i Quanah Parker avevano dell’ottimo materiale da proporre alla scena musicale e quindi… perché lasciarlo chiuso in un cassetto? Da qui è nata la voglia di riproporre live i vecchi brani, e poi il bisogno di farli conoscere al mondo grazie a “Quanah!”, un album che ci ha dato molte soddisfazioni e motivazioni anche per il futuro. Personalmente, le difficoltà iniziali sono state toste: provenivo dall’ambito Progressive Metal, quindi da uno stile totalmente diverso nel suonare ed esprimere il Prog. Devo dire che i Quanah sono stati una grande scuola a livello di crescita personale e stilistica, che musicalmente mi ha dato modo di spaziare sempre di più, e di questo mi sento molto onorato e orgoglioso.

Tutti i brani presenti nei due album sono composti da Riccardo Scivales. Ci racconti come nasce un brano? Alcuni di essi, inoltre, sono creazioni comparse su riviste specializzate quali “Keyboard Classics & Piano Stylist” e “Piano Today”. Come avviene la loro trasformazione parkeriana?

R.S.: Difficile dire come nasce un brano… dipende da tanti fattori, come l’ispirazione, il contesto, e ovviamente l’abilità e la preparazione del compositore e di chi lavora con lui. Nel mio caso, alcuni brani nascono di getto, completi di tutti i loro elementi, e vengono poi ulteriormente “completati” e abbelliti dalla band: è il caso di A Big Francesco, che ho scritto subito dopo la tragica scomparsa del compianto Francesco Di Giacomo. Dal punto di vista compositivo, questo brano era già completo quando l’ho proposto alla band, che però lo ha valorizzato molto nell’arrangiamento quando Giovanni ci ha aggiunto un bellissimo assolo e poi un controcanto alla chitarra, e Paolo la sua magnifica parte di batteria. In altri brani, come From Distant Lands e la prima metà di Danza di un Mattino, oltre ai temi scritti sono previste delle improvvisazioni su un basso ostinato, che possono prendere direzioni inaspettate e molto interessanti, anche estemporaneamente, durante le prove o in studio di registrazione. Altri brani sono molto più “meditati” nel tempo: hai dei buoni spunti e continui a rielaborarli giorno dopo giorno, da solo o insieme alla band, finché non arrivi a una versione che finalmente ti soddisfa del tutto e non ti sembra ulteriormente migliorabile: è il caso di Déjà Vu Fantastico o della parte ritmata prima del finale di Ritorno alla Mente, con i suoi continui cambi di tempo e i suoi complicati incastri di parti diverse… ci abbiamo sudato molto sopra per renderla finalmente fluida come volevamo, e il risultato ci sembra buono. Certi brani, o alcune parti di essi, possono nascere anche come rielaborazione creativa di spunti tratti da diversi brani preesistenti. E’ questo il caso della prima sezione di Flight (uno dei miei primi pezzi, incluso in “Quanah!”): qui il tema è mio originale, ma è costruito sui due famosi accordi modali di So What, con una linea di basso che riprende quella dell’inizio di Señor Mouse di Chick Corea, trasformata però in tempo 7/4. Per quanto riguarda i miei pezzi pubblicati in “Piano Today” e “Keyboard Classics”, non si può parlare di una loro “trasformazione parkeriana”. Questi brani, infatti, sono stati pubblicati come versioni per solo pianoforte di brani che avevo già composto precedentemente per i Quanah, e che quindi avevo già arrangiato e inciso con la band. Fa eccezione Chant Of The Sea-Horse (primo brano di “Quanah!”), che già originariamente era un piano solo con brevi inserti vocali, e che abbiamo ripreso identico da una mia vecchia registrazione. Ci tengo anche a sottolineare che aver collaborato per oltre vent’anni alle riviste “Piano Today” e “Keyboard Classics” è per me un motivo di grandissimo orgoglio: erano riviste davvero straordinarie e a “tutto campo”, perché grazie all’apertura mentale del loro direttore Edward J. Shanaphy e del suo editor Stuart Isacoff (entrambi ottimi musicisti) spaziavano senza preconcetti dalla musica classica a quella jazz e Latin (di tutte le epoche), e anche al… Prog! E fatte le debite proporzioni, è stato molto emozionante vedere gli spartiti dei miei “Quanahbrani” (e le mie trascrizioni pianistiche di brani degli Yes o di Wakeman come South Side Of The Sky e Merlin The Magician) pubblicati accanto ai capolavori dei più grandi compositori classici e di immensi pianisti jazz. La chiusura di queste riviste, dopo una brillante carriera di circa trent’anni (durata comunque invidiabile…), è stata una grandissima perdita per il mondo della musica. Senza contare, inoltre, che queste riviste avrebbero potuto diffondere ulteriormente la musica dei Quanah in futuro. Peccato davvero.

Elisabetta, oltre alla tua incredibile voce, nei due album abbiamo molto apprezzato anche il lavoro grafico da te curato. Come nascono le idee per i due artwork?

E.M.: La prima copertina (quella di “Quanah!”) è stata ispirata da un bellissimo libro di Marco Massignan, La danza del Sole dei Lakota (ed. Xenia). Ciò che mi ha colpito profondamente è la tradizione pellerossa di organizzare i propri rituali sul terreno battuto: “i danzatori del Sole creano un teepee invisibile di preghiera e di sacrificio sulla terra”.

Pensando (da sempre) che il fare musica fosse il rituale concesso alle nostre identità di uomini “moderni”, ho voluto danzare anch’io sul terreno battuto di un foglio poverissimo con una tecnica pittorica molto cruda e un solo colore “terroso”. Ne è uscita la copertina (e anche altre illustrazioni che sono state usate per il booklet), a metà strada tra un logo e una grafica informale. Il gruppo ne è stato molto contento e abbiamo deciso di usarla per la pubblicazione del cd.

Diversa e molto più articolata la genesi del secondo lavoro, la “Suite”. Avendo trovato delle affinità notevoli tra decorazioni celtiche e grafismi pellerossa, ho voluto creare un mondo da intravvedere oltre le lettere attorcigliate delle miniature medievali. Le lettere (in stile Ottoniano) sono proposte come immense cancellate (già custodite da mostri e creature fantastiche), che preludono agli incontri che accompagneranno l’ascoltatore durante la scoperta di questo nuovo mondo musicale. Le cancellate-lettere fluttuano in uno spazio vibrante che crea una sorta di continuità con il terreno grezzo del primo cd. Nel booklet ci sono i paesaggi suggeriti dai testi e gli “animali fantastici” emersi da ricerche fatte su codici miniati e materiale di arte etnica; non ci sono tutti, però! E’ stato bellissimo scoprire come molti amici (e non) emozionati dall’ascolto, abbiano disegnato le loro personali versioni di Animale Multiforme!

Alessandro, dopo aver co-prodotto “Quanah!”, cosa ti ha spinto a collaborare con i Quanah Parker per la realizzazione di “Suite degli Animali Fantastici”?

A.M.: Sono stato spronato dalla proposta fatta quasi per gioco dall’editore americano di Riccardo: comporre una suite ispirata agli animali mitologici… una tematica “prog” irresistibile! Beh, all’inizio avevo preso la cosa con ironia, poi ad un certo punto il tutto è uscito per magia dalle nostre teste e mi sono divertito moltissimo a comporre i testi in italiano. Sono cresciuto con Orme, BMS, The Trip e sentivo di avere un certo debito di riconoscenza con chi mi aveva fatto conoscere la bellezza della musica. E poi avevo la certezza che l’interpretazione vocale di Betty avrebbe dato un senso a tutto, e così è stato.

Alberto Palù, dopo la realizzazione e l’uscita di “Suite degli Animali Fantastici”, nel gennaio 2015 sei entrato nei Quanah Parker come loro bassista, “assimilando” quasi tutto il loro repertorio e suonandolo spesso dal vivo. Puoi descrivere le impressioni che hai avuto nell’entrare a far parte della band, suonando con essa e rapportandoti con i tuoi nuovi compagni e con le parti di basso originali?

A.P.: Ciao, e grazie per l’attenzione che ci state dando! Dunque, dal punto di vista “umano” non potevo chiedere di meglio: mi sono sentito accolto in una famiglia, più che in un gruppo. Diciamo pure che i Quanah Parker sono una “famiglia musicale”. 🙂 Dal punto di vista musicale è stata una sfida che ricorderò per molto tempo; mi sono dedicato fin da subito all’ascolto di entrambi i dischi, per entrare nel mood del gruppo. Sai, ogni band ha la propria pasta, ed entrarci è sempre difficile. Per quanto riguarda le parti di basso originali, non è stato semplice, in quanto ho dovuto fare un grosso lavoro per dare la mia impronta a spartiti che sentivo poco affini al mio stile. Detto questo, è stato bellissimo, e mi sembra che il risultato soddisfi anche gli altri Quanah.

Cambiando per un attimo discorso, com’è la situazione attuale della musica, in generale, e del Progressive Rock, in particolare, in Italia secondo il vostro punto di vista? E, Riccardo e Alessandro, quali sono le differenze con gli anni ’80?

R.S.: Sulla situazione attuale della musica in generale preferisco sorvolare… anzi, direi che è meglio incrociare le dita. Almeno a quanto vedo sul web, riviste ecc., la situazione del Prog odierno, invece, mi sembra sorprendentemente ricca e vivace. Amo ripetere che questo è un genere che sembra rinascere e rinnovarsi di continuo, e inoltre ha un notevole “zoccolo duro” di appassionati e praticanti. Certo non siamo ai fasti dei primi anni ’70, ma è curioso vedere come la parola “Prog”, una volta un termine da evitare e di cui quasi “vergognarsi”, attualmente sembra quasi di moda e viene usato volentieri da molte band (anche non propriamente Prog) quasi come fosse un sinonimo e una garanzia di “buona musica”. Ed è bellissimo vedere come molti giovani allievi musicisti si entusiasmano non appena li accosti ai capolavori Prog! Riguardo alle differenze con gli anni ‘80, sicuramente è cambiato il modo di fruire, acquistare e ascoltare la musica: questo è davvero un grande problema, sul quale sarebbe troppo lungo addentrarci.

A.M.: Oggi è cambiato tutto dal punto di vista sociale e politico: non esiste più quel “movimento” culturale che abbiamo vissuto da ragazzi. La televisione negli anni ha giocato un ruolo determinante nell’appiattire l’immaginazione della gente… ma allo stesso tempo internet ha dato possibilità un tempo sconosciute. Oggi tutto è a portata di un “click”, ma si corre il rischio di perdersi nel mare di informazioni: si tratta di saper usare la tecnologia per veicolare nel miglior modo possibile il proprio lavoro. Sono certo che stiamo vivendo un periodo drammatico di transizione a tutti i livelli…

E.M.: Lascio parlare chi ne sa di più! 😉

G.P.: Siamo nell’era dell’MP3, dove anche la discografia si è adattata a questo, e sembra che sia più importante archiviare che ascoltare. Puoi tranquillamente passeggiare avendo in tasca l’intera discografia di Zappa, Yes, Genesis e avere ancora spazio per Santana e i Pink Floyd. Ma come è possibile metabolizzare tutto in quattro passi? Penso che il rock progressivo italiano sia un genere da esportazione, un vero “made in Italy” che tutto il mondo ci invidia, e anche noi Quanah, nel nostro piccolo, abbiamo venduto i nostri album in più continenti, segno questo che gli appassionati di Prog tengono in grande considerazione il Progressive italiano.

P.O.: Per parlare della situazione musicale attuale, in generale, ci vorrebbe un libro… ma per quanto riguarda il panorama Progressive Rock, devo dire che si respira aria buona. Qui la musica è davvero “a 360°” per intreccio di stili e generi, c’è una grossa crescita e interesse da parte di musicisti e ascoltatori, e tutto questo ha risvegliato anime del passato e ha stimolato nuove proposte sempre più in crescita. Amo questo genere fin da quando ero ragazzino e ho sempre creduto nella scena culturale e musicale italiana, che in passato ha fatto risuonare la sua voce nel mondo anche col Progressive Rock. Ora vorrei che si potesse continuare a far sentire questa voce anche nel futuro!

Chiudiamo con una domanda “scontata”: progetti per il futuro?

R.S.: In questi mesi abbiamo provato il nostro repertorio “live” col nostro nuovo bassista, il giovane e bravissimo Alberto Palù, e siamo stati impegnati con la promozione e i live showcase del nuovo CD. Attualmente stiamo preparando un concerto/spettacolo che espanderà ulteriormente il brano Suite degli Animali Fantastici, collegandolo (senza soluzione di continuità e con dei brevi narrati di raccordo) agli altri brani di questo CD e a molti brani dell’album precedente. Inoltre, ho già scritto molti nuovi brani che sto proponendo alla band per il nostro prossimo disco, un concept album il cui titolo provvisorio è “Nel castello delle fate”. Posso anche dirvi che siamo molto contenti perché il CD “Suite degli Animali Fantastici” sta andando molto bene come vendite e ha avuto un’eccellente programmazione radiofonica in Italia, USA e Canada. Insieme alla M.P. & Records stiamo anche pensando a una sua eventuale uscita in vinile, e per far questo vorremmo riprendere completamente in mano la registrazione, per creare (e credo che saremmo i primi ad avere questo tipo di delicatezza nei confronti degli ascoltatori) una versione che ripristini le vere sonorità adatte al vinile. Stiamo inoltre pensando di organizzare un piccolo Festival Prog qui in zona.

E.M.: Attualmente sto lavorando per dei “fondali animati” che andranno a punteggiare le nostre esibizioni live; ci sarà un’ulteriore fusione di stili!

G.P.: Sicuramente andremo avanti con la promozione dell’album “Suite”, e come ti avrà già detto Riccardo, presto ci saranno delle novità…

A.P.: Credo sia fondamentale continuare la promozione del nostro secondo album, che già ora sta riscuotendo un ottimo successo. Oltre a questo, sembra che qualcosa bolla in pentola, chissà! 🙂

P.O.: Stiamo continuando la promozione di “Suite degli Animali Fantastici” e stiamo sviluppando uno spettacolo da proporre nei teatri. Abbiamo anche molte idee per sviluppare i nuovi brani che ha scritto Riccardo… la sete di un terzo album è tanta!

Grazie per l’estrema disponibilità e la piacevole chiacchierata!

R.S.: Grazie e… Prog on! 🙂

(Settembre 2015)

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