Intervista a Il Cerchio d’Oro

Diamo il benvenuto a Franco Piccolini (F.P.), Gino Terribile (Gin.T.), Giuseppe Terribile (Giu.T.), Piuccio Pradal (P.P.), Simone Piccolini (S.P.) e Massimo Spica (M.S.): Il Cerchio d’Oro.

Il Cerchio d’OroIl piacere è nostro! Grazie!

La storia de  Il Cerchio d’Oro ha ormai superato i quarant’anni, un traguardo certamente invidiabile. Come non di rado accade in ambito prog, però, le notizie riguardanti la nascita e lo sviluppo di un progetto musicale non sono sempre precise e dettagliate. Come nasce, dunque, in quel lontano 1974 Il Cerchio d’Oro? Come cade la scelta su tale nome e quali sono gli artisti che hanno dato “linfa” alle vostre prime note?

F.P.: Gino, Giuseppe ed io ci conoscevamo da quando avevamo 14 anni e qualche cosa avevamo già fatto insieme ad altri musicisti più o meno coetanei. Crescendo e affinando le nostre esigenze eravamo giunti, infine, ad una formazione niente male, così si decise di cambiare registro e provare a realizzare qualcosa di più concreto. Qualche idea l’avevamo e c’era bisogno di un nome per la band che potesse  esprimere l’unità d’intenti nel creare un prodotto musicale; dopo tante riflessioni e proposte, siamo arrivati alla scelta definitiva  sia perché un pochino esoterica, come di moda allora (anche  se eravamo lontani dal conoscere i racconti di Tolkien, il simbolo era noto già tra antiche culture), ma, soprattutto, il cerchio d’oro per eccellenza, la fede, secondo i nostri intenti, rappresentava l’unione e la coesione necessaria ad una band. Riguardo agli artisti, insomma, se pensiamo a quegli anni, i riferimenti erano talmente tanti e validi che risulta difficile identificarne qualcuno in particolare, ma Le Orme, i New Trolls, la Nuova Idea, i Trip (parlando degli Italiani) e Deep Purple, Genesis, Emerson Lake & Palmer e per alcuni aspetti i Beatles, ci fornivano grandi spunti di riflessione, ma non solo loro!

Gin.T.: Per me e mio fratello la passione per la musica è sbocciata molto presto. Ricordo che a 11 anni abbiamo cominciato a comprare i primi 45 giri (già Beatles e Beach Boys…) e l’avvenimento che ci ha scatenato la voglia di cominciare a suonare è stato il Cantagiro 1966, con l’esplosione dei gruppi beat italiani. In seguito si passa dal beat al prog con altri riferimenti, troppi da citare, ma aggiungerei per quanto riguarda gli italiani la Formula 3 (forse per la presenza di un batterista cantante, ma anche perché ho letteralmente consumato il vinile di “Sognando e Risognando”) e per gli stranieri i Gentle Giant e i primi Yes.

Giu.T.: Come sempre in questi casi la mente torna indietro nel tempo e i ricordi possono essere un po’ diversi… A me sembra che eravamo attorno ad un tavolo proprio per decidere del nome, avendo cambiato formazione e decidemmo di fare anche brani nostri. Onestamente non ricordo chi fu a suggerire “Il Cerchio d’Oro” che piacque subito per la nobiltà del metallo, perché suonava bene ed in linea coi nomi in voga all’epoca.

La prima “fase di vita” della band dura sino al 1979, un periodo in cui pubblicate tre singoli il cui sound non è prettamente progressivo, mentre altre registrazioni resteranno nel cassetto sino al 1999. Come nasce la scelta di “virare” musicalmente e cosa sancisce la fine temporanea del progetto?

F.P.: Bisogna considerare che in quegli anni l’ondata di quello che oggi chiamiamo “prog” stava finendo e non c’era futuro per una nuova band che avesse tali propositi, quindi si decise di farci notare con una musica più orecchiabile e commerciale, che potesse servire come biglietto da visita per suonare in giro. Essendo impossibile per noi fare i musicisti a tempo pieno e quindi tentare un approccio “aggressivo” al mondo musicale, riuscimmo a malapena a dare vita a quei tre singoli. I risultati furono modesti, ci si sentiva un po’ soffocati in quel ruolo e, personalmente, l’idea di orientarmi verso un’altra forma musicale non mi entusiasmava, per cui serenamente e in amicizia, salutai gli amici e “appesi le tastiere al chiodo”. Il gruppo nei primi tempi modificò un po’ lo stile e la formazione che durarono comunque poco, ma confluirono poi in qualcosa di più concreto in breve tempo: i Black Out in prima battuta e subito dopo, cambiando sostanzialmente musicisti e stile, i Cavern.

Giu.T.: Purtroppo, sarebbe stato meglio se fossimo nati (anagraficamente) qualche annetto prima, forse saremmo riusciti a farci pubblicare le cose che ci piacevano. Invece nel ’76 il prog stava morendo e a parte il primo singolo che registrammo appunto in quell’anno, che aveva ancora qualche atmosfera prog, dovemmo spostarci un po’ sul pop e disco.

C’è qualche aneddoto che vi va di condividere su questo primo periodo? Come ricordate quegli anni?

F.P.: I ricordi sono belli, struggenti ed intimi, quelli della nostra adolescenza! Nel bene e nel male momenti irripetibili e ci vorrebbero delle pagine per descriverli!

Gin.T.: Ovviamente da ventenni si vede tutto in modo particolare, i ricordi sono comunque bellissimi, per l’entusiasmo (a volte condito da ingenuità) che ci contraddistingueva. Un aneddoto? Posso dire che non essendo iscritti alla Siae i nostri brani originali non li abbiamo potuti firmare… Ebbene nei singoli potete leggere accreditati, oltre a Pino Paolino, (nostro storico paroliere, tuttora collaboratore di alcuni testi) anche Delfino e Damele (anche con pseudonimi): erano i titolari del recording studio dove abbiamo registrato i brani. Delfino era anche il fonico (oltre che il leader delle Volpi Blu, poi Signori della Galassia). Ma d’altro canto c’è da dire che quello di firmare i brani dei gruppi che incidevano dischi era una prassi dell’epoca: pensate che Damele risulta coautore anche di “Senti l’estate che torna” delle Orme!

Giu.T.: Certamente ne abbiamo vissuti di momenti memorabili, riuscendo ad osservare all’epoca dal vivo gruppi come la PFM, gli Osanna, New Trolls, Orme e perfino gli Atomic Rooster di Vincent Crane, che il nostro amico concittadino Joe Vescovi ricordava bene avendo avuto in un’occasione il proprio Hammond “accoltellato” da Vincent! Poi le inevitabili e varie “spiate” alle prove del Giro Strano, Sigillo di Horus, Corte dei Miracoli, ecc. Con elementi quasi tutti nostri amici con cui abbiamo condiviso varie jam sessions.

Gli anni seguenti vi vedono sempre attivi in ambito musicale con i progetti Black Out e Cavern. Mi parlate di queste esperienze?

Gin.T.: I Black Out sono stati l’evoluzione hard rock de Il Cerchio d’Oro: infatti cambiando 2 elementi (due nuovi chitarristi tra cui Valerio Piccioli che aveva all’attivo un intero album registrato con Celentano) abbiamo cambiato nome e genere e, sfruttando ancora il contratto con la Golden Record, abbiamo prodotto nel 1981 un singolo, “Crisi”, molto quotato a livello collezionistico. Nel 1982 io e Giuseppe siamo fuoriusciti dai Black Out per costituire con l’ex Il Cerchio d’Oro Roberto Giordana e l’ex Signori della Galassia Paolo Marcelli il primo gruppo in Italia dedito alle musiche dei Beatles, i Cavern.

Giu.T.: Sì, Valerio tra l’altro fu nell’ultima formazione della Corte dei Miracoli, ma più a suo agio nell’hard, così come Giorgio Pagnacco (fratello di Sergio dei Vanexa) a differenza di Franco, tastierista più prog sinfonico, che non rimase nel progetto Black Out. Per quanto riguarda i Cavern tantissimi concerti in Italia e all’estero (ne cito due a Torino con Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese del Banco) e alcune pubblicazioni discografiche. Ricordo lo sfortunato Stefano Fazio (quinto elemento per dieci anni), deceduto in un incidente stradale, poi sostituito da Carlo Venturino, titolare dello studio dove abbiamo registrato il nuovo album.

P.P.: Io sono rimasto nei Black Out fino a fine 1983, per poi ritirarmi dall’attività musicale (fino al 2006…). Voglio solo aggiungere che talvolta eseguiamo “Crisi” (ancora molto attuale) nei concerti de Il Cerchio d’Oro (anche nell’applauditissima occasione del festival ProgToRock a Torino nel 2015) e che, nel 2014, è stato pubblicato un LP dal titolo “33” (33 anni dopo…) dalla Ace di Roma contenente su una facciata il materiale della prima formazione, compresi i brani del singolo e l’altra facciata con brani inediti della seconda formazione del 1982.

De Il Cerchio d’Oro si torna a parlare nel 1999 quando la Mellow Records pubblica l’album “Il Cerchio d’Oro”, una raccolta che contiene registrazioni inedite degli anni ’70 e i singoli pubblicati sul finire di quel decennio (un’operazione simile si ripeterà nel 2005 con l’album “La quadratura del cerchio”, uscito per Psych-Out). Come avete vissuto questo rinnovato interesse nei confronti della vostra musica e come nascono le due iniziative?

F.P.: Personalmente, non sapendo nulla dell’operazione Mellow Record (ricordo che allora ero musicalmente fermo) quando mi sono trovato fra le mani il CD che i miei amici mi hanno portato, ho provato molta tenerezza… era un po’ come aprire un album di vecchi ricordi e pensavo che il prodotto fosse ristretto a nostro uso e consumo, invece riuscì anche a trovare degli ammiratori. Storia diversa per “La quadratura del cerchio”. Avevo ripreso i contatti con i gemelli Terribile nella possibilità di rifare qualcosa insieme ma onestamente ero molto perplesso riguardo alla scelta del materiale da pubblicare. Voglio essere sincero, la copertina è bellissima con un particolare recuperato da un disegno che un nostro amico aveva fatto per la batteria di Gino negli anni d’oro, ma il resto per me era inascoltabile e improponibile, registrato (male) con i mezzi a disposizione negli anni ‘70, cassette e bobine e suonato… da prove! Devo dire che Gino e Giuseppe, buoni conoscitori del mercato discografico di nicchia oltre che ottimi collezionisti di vinili rari e non, mi convinsero ad accettarne la pubblicazione. Rimango del mio parere, però quel disco ha il pregio di dimostrare che la musica che facevamo in saletta era diversa da quella che era andata a finire sui 45 giri, in pratica c’era quella vena che poi ha portato a costruire la nuova fase de Il Cerchio d’Oro… il fuoco rimasto sotto la cenere per così tanti anni…

Gin.T.: Per quanto concerne la Mellow Records conoscemmo il “patron” Mauro Moroni a Milano a una fiera del disco, presentatoci da Paolo Barotto (cultore e scrittore prog). Per quanto riguarda “La quadratura del cerchio” contattai io Cosimino Pecere della Psych Out (e fu proprio lui a scegliere il titolo dell’album). La qualità delle registrazioni non è impeccabile, ma questi lavori hanno il merito (oltre ad essere un bel ricordo dei nostri anni giovanili) di averci posto all’attenzione di critici, produttori e semplici appassionati di prog.

Giu.T.: Beh c’era stato un rinnovato interesse nella musica progressiva italiana e, oltre ai singoli pubblicati fornimmo alcuni nastri inediti (perlopiù demo, non certo destinati ad un album) alla Mellow Records.

Il Cerchio d’Oro ritorna prepotentemente nel 2006. Con quale spirito vi siete lanciati in questa nuova avventura e chi ha dato l’input per la “ripartenza”?

Gin.T.: Scusate la “modestia”, ma ci tengo a dire che l’input l’ho dato io. Dopo la pubblicazione del cd Mellow Records nel 1999 e poi ancora dell’LP “La quadratura del cerchio” nel 2005, mi sono chiesto: visto l’interesse nei nostri confronti, perché non riprovarci? A quel punto, con mio fratello Giuseppe, abbiamo contattato tutti i sette musicisti originali delle due formazioni degli anni ‘70: a parte Giorgio Pagnacco (secondo tastierista della prima formazione) e Maurizio Bocchino (chitarrista della seconda line up) tutti gli altri hanno accolto con entusiasmo l’idea di ricostituirsi.

Giu.T.: Confermo che Gino fu basilare per la ricostituzione della band, però anche gli altri non si sono fatti pregare molto: i tempi erano maturi, bastava solo togliere un po’ di ruggine…

P.P.: Ricordo bene quel lontano pomeriggio del 2005 quando rientrato a casa dal lavoro ricevetti la visita del mio ex compagno della vecchia band facendomi la proposta di ritornare a far parte de Il Cerchio d’Oro. Sono rimasto sorpreso e perplesso dalla richiesta e mi sono preso un po’ di tempo, non sapevo se rimettermi in gioco fosse la scelta più giusta vista la lunga assenza di circa 25 anni. Dopo qualche giorno di riflessione mi sono detto: accetto, se mi hanno cercato vuol dire che c’è bisogno anche di me… ed eccomi qua soddisfatto della mia scelta e contento di aver ritrovato Gino, Giuseppe e Franco, vecchi componenti storici de Il Cerchio d’Oro e altrettanto contento dei nuovi ragazzi Massimo e Simone. La mia voce forse propende più verso l’hard rock ma si integra bene con quelle di Gino e Giuseppe e contribuisce a caratterizzare il sound del gruppo.

Nel 2008, finalmente, il primo album: “Il viaggio di Colombo”. Vi va di raccontare la genesi di quest’opera? Quante delle idee degli anni ’70 troviamo in questo lavoro?

F.P.: Come ho già ricordato, non mi sono interessato attivamente di musica per più di 25 anni ma qualche idea in testa ce l’avevo e non solo dal punto di vista compositivo; conseguentemente ho proposto il “concept” ai miei compagni di avventura e così ci siamo decisi… a salpare le ancore. Trovarmi nuovamente insieme agli amici di un tempo, con strumentazioni più efficaci, suoni giusti, la possibilità di liberare la fantasia e le dita arrugginite, mi ha dato una grande forza che ha innescato una specie di reazione a catena. Tutti avevamo idee, voglia di fare, a volte si discuteva pure (il mio carattere è un po’ “esuberante” diciamo), ma diamine… era il lavoro della nostra rinascita e volevamo metterci in gioco al meglio; alla fine… ci siamo accorti che il Viaggio di Colombo era proprio il nostro viaggio. Quello che abbiamo proposto nel disco era ciò che avevamo in testa negli anni della nostra adolescenza, idee nuove perché non erano mai venute alla luce, ma che partivano da lontano, subendo soltanto leggere contaminazioni dovute inevitabilmente ad aver ascoltato negli anni cose più recenti.

Gin.T.: Per la genesi dell’album hanno già risposto. Per quanto concerne le idee, ebbene l’unica idea non originale perché proveniente dagli anni ‘70 è il riff iniziale del brano “Sognando la meta” (in pratica il primo dopo l’ “Ouverture”) tutto  il resto dell’album, diciamo  il 99%, è composto assolutamente da idee nuove (seppure col nostro sound vintage).

Con “Il viaggio di Colombo” nasce anche la collaborazione, che prosegue tutt’oggi, con la Black Widow Records. Quando avviene l’incontro con la sempre attenta etichetta genovese?

Gin.T.: Conoscevamo Massimo Gasperini e Pino Pintabona, ma solo perché qualche volta ci siamo incrociati come spettatori di qualche concerto oppure frequentando le fiere del disco di Milano. Quando gli telefonammo chiedemmo: “Conoscete Il Cerchio d’Oro?”. E loro: “Certo, abbiamo in negozio il vostro LP, quello con le cover delle Orme…”, e noi: “Abbiamo del nuovo materiale, vi può interessare?”, “Sicuramente” fu la risposta. E noi: “Per dovere di precisione non suoniamo un prog moderno, tanto meno metal, a noi piace il sound vintage anni ’70”, e la risposta fu: “È proprio ciò che ci interessa!”.

Giu.T.: Ricordo di aver visto nel loro negozio “La quadratura del cerchio” e quando andammo a fare ascoltare la nostra nuova produzione eravamo eccitati quasi come 30 anni prima: finalmente avevamo l’opportunità di proporre un intero LP!

Nel 2013 concedete il bis con “Dedalo e Icaro”. Quali sono le differenze sostanziali con il precedente lavoro?

F.P.: Continuando la nostra ritrovata voglia di suonare, abbiamo avuto modo di riprendere l’affiatamento del gruppo, recuperare e perfezionare la tecnica, siamo diventati più esigenti e, non ultimo, volevamo dimostrare a noi stessi e ai nostri riconquistati sostenitori che “Il Viaggio di Colombo” non era stata una cosa sporadica. Le recensioni positive e la buona considerazione generale nell’ambiente sembravano spingerci verso una decisione inconfutabile. Così abbiamo deciso di riprovarci e siamo partiti cercando e trovando un’idea valida, un concept non banale, rileggendo a nostro modo non una parte di storia, come nel precedente album, ma una leggenda ben conosciuta ed affascinante. Venendo alla domanda specifica, le cose che ho detto prima portano a spiegare che il nostro approccio al secondo album è stato più maturo, riflessivo, sicuramente meno spontaneo ma più raffinato, anche nella registrazione. Avevamo fatto centro con il primo disco mantenendo le sonorità vintage che ci sono così care e anche quelle sono state riproposte cercando di migliorarle qualitativamente ma integrandole con qualche novità. Il risultato, a mio avviso, grazie al lavoro di tutti è stato un prodotto forse meno spontaneo, ma sicuramente più intenso ed incisivo rispetto a “Il viaggio di Colombo”.

P.P.: Il modo di creare è rimasto pressoché invariato. Per quanto riguarda le musiche, le menti creative sono Giuseppe e Franco (con qualche contributo di Gino) e anche per i testi che sono opera di Pino Paolino (nostro storico collaboratore dai tempi del primo singolo e di tutto il periodo Black Out) e di Gino e Giuseppe. Per gli arrangiamenti si tratta di un lavoro di gruppo, avvenuto in parte in sala prove e in parte in studio. Per gli arrangiamenti vocali ci vedevamo a casa mia con Gino e Giuseppe. Le armonizzazioni erano studiate per metterle su disco ma anche per essere riproposte uguali dal vivo. Non abbiamo mai usato basi, tuttalpiù Simone e Massimo ci aiutano in qualche occasione.

E poi giunge anche il terzo album: “Il Fuoco sotto la Cenere” (2017). Com’è stato accolto da pubblico e critica? Siete soddisfatti del lavoro compiuto?

F.P.: Credo che in questo album sia stato fatto un passo in avanti riguardo alle sonorità e l’arrivo di Massimo alla chitarra, insieme all’inserimento anche compositivo di Simone, ritengo abbiano fornito spunti nuovi e interessanti. Gli arrangiamenti sono stati oggetto di particolare cura. Anche l’aspetto narrativo, meno didascalico rispetto al precedente, mi pare sia una piccola evoluzione.

Gin.T.: Tutti gli artisti possono dire di essere molto soddisfatti di un album appena prodotto, per poi dire, magari qualche tempo dopo, che qualcosa, tornando indietro, andava fatto diversamente. È ovvio che si può sempre ottenere qualcosa di migliore sia a livello compositivo che di arrangiamenti o di recording e missaggi, ma comunque in linea di massima siamo contenti di quanto realizzato.

Giu.T.: Non conosco artista che sia rimasto soddisfatto al 100% del risultato ottenuto, quindi senz’altro ci sono sempre negli album cose che (forse) avresti fatto diversamente. Detto questo, ci piace molto com’è stato il responso di pubblico e critica, poi il tempo dirà l’effettiva bontà del prodotto.

P.P.: Le prime recensioni riportano buoni (a volte ottimi) riscontri, ce ne saranno tante altre, la Black Widow in questo senso ci fa veramente fare il giro del mondo: non c’è un paese che si interessi di prog (in Europa, come in Giappone o in America) che non ci recensisca gli album. Questo perché inviano materialmente i cd (e non gli mp3) ai siti specializzati più importanti.

M.S.: Stanno arrivando recensioni lusinghiere: fa piacere, ovviamente, ed è sempre molto stimolante.

Una novità importante riguarda la formazione che vede l’ingresso di Simone Piccolini, figlio di Franco, e Massimo Spica (non c’è più Bruno Govone entrato nella band dopo “Il viaggio di Colombo”). Come sono stati accolti i due nuovi musicisti? E, per Simone, com’è suonare con tuo padre?

F.P.: Per me l’incontro con Massimo è stato positivo fin dalla prima prova; uno stile diverso da quello a cui ero abituato, ma molto stimolante. Anche caratterialmente (cosa per me importante) è stato un incontro molto positivo, non solo un nuovo membro nella band, ma un amico in più. Non volendo sembrare di parte lascio ai miei amici i commenti relativi a mio figlio, tengo solo a precisare che Simone mi ha affiancato musicalmente fino dai primi “live” de “Il Viaggio di Colombo”. Infatti, avendo “scaricato” in modo un po’ eccessivo la mia astinenza musicale nella registrazione dell’album, avevo adoperato molte tastiere che non sarei riuscito a riprodurre dal vivo se non attraverso basi, cosa che non piace a nessuno di noi; da qui la richiesta d’aiuto a Simone che ben conosceva la nostra musica e il nostro stile.

Gin.T.: Due ottimi musicisti e persone con precedenti esperienze prog: Simone nei Night Cloud (2 cd all’attivo) e Massimo nei Nathan (lunga esperienza, fatta di concerti per lo più di riproposizioni cover).

Giu.T.: Simone era già stato nel gruppo quando proponemmo “live” il primo album. È un ottimo musicista con la sensibilità e gusti giusti (DNA del padre?). Oltretutto, oltre alle tastiere, ci dà una mano anche con la voce e la chitarra. Massimo è un vero amante e conoscitore del prog, chitarrista creativo, si è inserito ottimamente e siamo contenti.

S.P.: Suonare con mio padre è sicuramente un privilegio, penso che in pochi abbiano la fortuna di condividere esperienze del genere con il proprio “vecchio”! Ciò non vuol dire che sia sempre facile, sia per lui che per me, di sicuro il DNA comune (come giustamente ha suggerito Giuseppe) ci è d’aiuto per far sì che la mia musicalità si integri con lo stile del Cerchio e, perché no, anche viceversa. È anche vero che appartenendo a diverse generazioni alle volte le cose si complicano e gli scambi di opinioni diventano un po’ più “coloriti” ma troviamo sempre il compromesso che accontenta tutti. Mi sento anche in dovere di aggiungere che per me il Cerchio è comunque una sorta di famiglia, mi hanno visto crescere e io a mia volta sono cresciuto con la loro musica in casa, quindi l’interazione è stata una cosa molto naturale, per lo meno dal mio punto di vista. Per me è stato un onore accettare la loro richiesta di unirmi alla storica band de Il Cerchio d’Oro!

M.S.: Io ho avuto la fortuna di conoscere persone davvero speciali, musicisti preparati e molto stimolanti in sala prove e nella fase compositiva. Del resto, sono entrato in una squadra già molto affiatata e ben collaudata.

Concept albumartwork, ospiti: tre elementi importanti nel vostro cammino del nuovo millennio. Vi viene naturale realizzare album che abbiano un filo conduttore tematico? Come nasce l’intesa con Stefano Scagni e quanto di vostro c’è nelle sue opere grafiche? Come nascono le collaborazioni (in realtà non presenti nel primo album) con musicisti quali Pino Sinnone, Ettore Vigo, Martin Grice, Giorgio “Fico” Piazza, Pino Ballarini, Giorgio Usai e Paolo Siani?

F.P.: La scelta di realizzare un album con filo tematico è una scelta di base; infatti si discute abbastanza sul tema da scegliere affinché piaccia a tutti e possa permettere di sviluppare un racconto coerente e possibilmente non banale, sia musicalmente che per quanto riguarda le liriche.

Gin.T.: Non abbiamo ancora avuto il piacere di conoscere Stefano Scagni di persona. Ce lo aveva proposto la Black Widow per il primo album “Il viaggio di Colombo” e poi dal momento che amiamo il suo stile pittorico, il sodalizio è continuato per “Dedalo e Icaro” e per “Il Fuoco sotto la Cenere”.

Giu.T.: Le copertine sono molto importanti, specie quelle per i vinili. La Black Widow le cura sempre molto bene, facendo anche edizioni limitate particolari. Del nostro “Dedalo e Icaro” è stata pubblicata una edizione limitata di 100 copie in vinile giallo con inserti aggiuntivi. Gli ospiti sono un’occasione di stimolo reciproco, siamo soddisfatti del contributo che tutti ci hanno dato e del tempo trascorso insieme, in ogni caso un arricchimento per tutti noi.

P.P.: Conoscevamo bene Ettore Vigo e Martin Grice per aver diviso il palco con i Delirium alcune volte in occasione dei concerti relativi alla promozione de “Il viaggio di Colombo” e del loro “Il nome del vento”.  Gino si è occupato del “drummer guest” Pino Sinnone e Giuseppe del bassista Fico Piazza. Per il nuovo album abbiamo contattato Giorgio Usai e Paolo Siani che avevamo conosciuto una decina di anni fa in occasione di un “incontro prog” in un club a Genova. A Pino Ballarini ci siamo arrivati tramite la Black Widow. Ci teniamo a dire che tutti gli ospiti sono stati scelti in base alla stima professionale e alla vicinanza di gusto e stile col nostro sound.

M.S.: Suonare con musicisti così esperti, dei miti, beh… una gioia immensa ed uno stimolo costante a fare le cose al meglio.

Com’ è cresciuto e com’è cambiato, dunque, Il Cerchio d’Oro dal momento del suo ritorno in campo?

F.P.: Come ho detto precedentemente, Il nostro disco del ritorno in campo è stato fatto con tanta voglia di tirare fuori quello che avevamo tenuto dentro per lungo tempo, con irruenza e con qualche ingenuità. Sarei pronto a rifarlo oggi e sono sicuro che mettendo a posto alcune leggerezze e lavorando sulla qualità generale, potrebbe essere ancora più gradito che all’esordio e suonare comunque “fresco”.  Nel tempo trascorso in sala prove e nei nostri (pochi) live ci siamo tolti un po’ di ruggine e abbiamo affinato la nostra tecnica, abbiamo cercato di avere più consapevolezza e di capire meglio le nostre potenzialità; sono passati dieci anni, anni nei quali siamo maturati musicalmente, ci siamo confrontati con altri musicisti, abbiamo imparato molto da tutti e speriamo di aver modo di imparare ancora. In aggiunta abbiamo cercato di dare una stabilità alla formazione: Govone ha purtroppo dei seri problemi di salute e Giordana, frenato nella disponibilità da impegni di lavoro e familiari, non poteva garantire un lavoro costante. Ottimi elementi con i quali siamo contenti di aver fatto un pezzo di storia musicale insieme. Bisogna aggiungere che la presenza fin dagli esordi del paroliere ed amico Pino Paolino, autore di buona parte dei testi, e l’aiuto tecnico di Enzo Albertazzi, preparatissimo e pignolo Ingegnere del suono (tra l’altro non professionista), hanno rappresentato un nostro valore aggiunto. Fondamentalmente, però, siamo sempre il solito Cerchio d’Oro, pregi e difetti, una band legata al prog che ci riempiva il cuore e la mente nella nostra gioventù e che ha seguito un lento processo di affinamento… un po’ come il buon vino, sperando però di evitare che diventi aceto! Certo… gli anni sono passati anche per il fisico e un po’ di pigrizia bussa alle nostre porte… Cercheremo di sconfiggerla grazie alla nuova linfa innestata nel gruppo e continuando ad imparare dagli errori e da ciò che di buono viene proposto in giro!

Gin.T.: Aggiungo solo che i cambiamenti sono inevitabili ma una cosa che ci fa sempre piacere sentirci dire è: “È Il Cerchio d’Oro! È il vostro sound!”. Essere riconoscibili è una cosa importantissima.

Giu.T.: La maturità dovuta agli anni è una cosa positiva, si riesce meglio a controllare l’esuberanza della gioventù che in certi casi ti faceva strafare, invece ora ci si basa più sul gusto, sugli arrangiamenti, non necessariamente una cosa deve essere difficile per essere bella, l’ostentazione della tecnica è una cosa che mi annoia, preferisco poche cose ma che arrivino al cuore e allo stomaco, oltre che alla mente.

S.P.: Come ascoltatore prima e membro effettivo poi, posso dire che questi “ragazzi” hanno fatto un bellissimo percorso, hanno saputo rimettersi in gioco tirando fuori idee originali ma con uno stile vintage e comunque una certa ricerca sonora e compositiva. Di certo questo gli rende onore e non fa che accrescere la mia stima nei loro confronti.

M.S.:  Come dice Simone, anch’io ascoltando i brani precedenti e suonando quelli dell’ultimo disco, percepisco una crescita, un’evoluzione del gruppo, senza perdere assolutamente le peculiarità storiche.

Cosa prevede il 2018, in particolare, e il prossimo futuro, in generale, de Il Cerchio d’Oro? C’è qualcosa in cantiere? 

F.P.: “Futuro Prossimo” è il lato B del nostro primo 45 giri… quindi… è il passato (nota criptica). Vabbè, ci stiamo pensando, combattuti fra la voglia di fermarci raccogliendo le soddisfazioni del nostro ultimo lavoro (e dei precedenti) e quella di sfidare ancora una volta la sorte (e la nicchia). Ma non mi piace granché come sta proseguendo il discorso Progressive, sia come mercato che come tendenze, troppe “resurrezioni” da una parte e troppa sofisticatezza dall’altra: tutti molto bravi e sicuramente più “progressivi”, virtuosi e sperimentali, ma lontani anni luce da quella commistione tutta italiana fra melodia, sonorità e tecnica che ha dato vita al nostro genere di riferimento. Quindi… sono curioso di vedere cosa proporranno i miei colleghi!

Giu.T.: Speriamo di sì, oltre a qualche concerto e partecipazione, si potrebbe pensare ad un’altra produzione… Perché no!

P.P.: Intanto un importante concerto che si terrà nella nostra città il 16 febbraio al Teatro Don Bosco. In quella occasione divideremo il palco con i nostri amici dei Nathan, l’altra formazione prog storica di Savona, con cui proprio recentemente abbiamo registrato un video “Almeno un attimo – Il natale degli altri” col patrocinio dei Lions: un progetto di solidarietà per l’acquisto di una incubatrice da trasporto per l’Ospedale San Paolo di Savona. Al video hanno partecipato anche personaggi savonesi illustri del mondo dello sport e dello spettacolo e istituzionale.

M.S.: Cercheremo di fare qualche concerto per far conoscere a tanti il nuovo disco e poi lasciamo fare all’ispirazione, sperando di averne ancora tanta.

Grazie per l’estrema disponibilità e la piacevole chiacchierata.

F.P.: È sempre un piacere, grazie a te!

Gin.T.: Davvero grazie a te!

Giu.T.: Un grosso grazie a te per la competenza, l’interesse nei nostri confronti e l’opportunità di questa piacevole chiacchierata!

P.P.: Grazie grazie!

S.P.: Grazie!

M.S.: Grazie di cuore. Prog on!

(Gennaio 2018)

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