Voros Georg – Bach to Me

VOROS GEORG

Bach to Me (2014)

Big Drum Records

Il poliedrico batterista sudafricano Georg Voros (musicista, insegnante, autore di libri, fondatore di riviste ed altro ancora), dopo tanti anni di collaborazioni con numerosi artisti (tra gli altri Tom Jones, Vanessa Mae, Level 42, Osibisa, Duran Duran) giunge alla pubblicazione del suo primo album solista solamente nel 2014 e, per farlo, sceglie la via dell’omaggio-rilettura di alcune delle opere di Johann Sebastian Bach: ecco allora Bach to Me.

L’idea di “fagocitare” il Bach classico e renderlo “progressivo” nasce, come tutte le idee di Voros (parole sue), sotto la doccia. Ed è così che Voros parte dalle opere del compositore tedesco per esplorare il mondo del prog sinfonico. In Bach to Me le “trame” bachiane sono ben rispettate e “arricchite” grazie alla nutrita, e di altissimo livello, schiera di collaboratori: Duncan Mackay alle tastiere (Alan Parsons Project, Camel, John Wetton, 10CC, Kate Bush), John Mitchell (It Bites, *Frost, Arena, John Wetton), Dean Marsh (Gandalf’s Fist), Mauritz Lotz, (Chris de Burgh, Dave Matthews, Dave Koz) e Steve Agnew alle chitarre, Keith Hutchinson al piano (Hawk, Johnny Clegg), Robin Phillips (Solstice, Subterraneans, Clive Bunker) e Denny Lalouette al basso.

La lista dei “parallelismi progressivi” che emergono durante l’ascolto, vista la proposta di Voros, ovviamente, è lunga (si va dagli ELP alla PFM, dai New Trolls agli Ekspetion, passando dagli Yes, ecc.), ma al nostro va riconosciuta la capacità di donare al quadro quel tocco personale con cui riesce a tenersi a debita distanza dalla possibilità di “imitazione”.

L’omaggio di Voros a Bach si apre con Jesu – Joy of man’s desiring, il decimo movimento (“Jesus bleibet meine Freude”) della cantata sacra “Herz und Mund und Tat und Leben”. Dopo un avvio orchestrale, e un rapido intervento corale in cui spiccano batteria e chitarra, il brano passa nelle mani di Mackay: alle sue mutevoli tastiere il compito di rendere al meglio (riuscendoci) la soavità dell’opera bachiana.

Molto vivace Trio Sonata in Cm (3rd movement) dove il protagonista indiscusso è Mackay con le sue numerose e agilissime tastiere. È un viaggio verso il prog sinfonico più puro: Mackay gode di una libertà esecutiva illimitata mostrando le sue incredibili qualità, muovendosi tra Rick Wakeman e Tony Banks, e trascinando dietro sé l’ottimo Voros alla batteria.

La suite in sette movimenti For Johann è l’unico brano originale dell’album. Si apre con And so… the appearance of Hamlet e i suoni mesti di Mackay e Voros cui segue la dinamicissima An exhibition  of consequence, movimento in cui Voros dimostra tutta la sua tecnica, rapidità ed inventiva tra le pelli, ricordando un Di Cioccio o un Palmer. Voros continua il suo “affresco” anche nella successiva The Knight of “O”, episodio aperto anche dagli spigolosi basso e chitarra e in cui, in seguito, Mackay introduce il suo contributo “sinistro” (un primo assaggio è presente nei minuti precedenti).  Ecco giungere Ophelia in 7, movimento aperto da una tastiera “ruvida” e una batteria marziale che ricordano le soluzioni dei The Trip. Le cangianti tastiere di Mackay, con l’ausilio del basso e della batteria, vanno poi a “complicare” il tutto. Una massiccia dose di complessità contraddistingue anche Zupfen play, dove è il duo basso/batteria a giganteggiare. La sesta parte, Bach to 4, si apre in modo aggressivo, prima di intraprendere un cammino arioso e “minuzioso” in stile PFM. La suite si chiude malinconicamente con And thus… the exit of Hamlet.

L’album prosegue con i quattro movimenti del Brandenburg concerto No. 1.

1st Movement si apre con un tocco di humour: qualcuno cammina “smarrito” in una stanza chiusa caratterizzata dalla presenza di diverse porte cercando l’uscita (ovvero il brano di Voros in questione) e, prima di trovarla, aprendo le varie porte s’imbatte in un bagno (o almeno così sembra dallo scroscio d’acqua relativo, forse, ad una doccia), nella musica originale di Bach, in un coro, in un frammento sonoro di batteria e in un uomo che ride. Trovata la porta giusta, il brano può partire. Ed è il solito “mutevole” Mackay a condurre le danze: è lui ad assumersi la responsabilità di rendere al meglio il lavoro svolto da archi e fiati nell’opera di Bach. Nelle retrovie svolge un eccellente lavoro il basso di Lalouette, mentre Voros si “limita” a “gestire” il tempo del brano. C’è spazio anche per la chitarra di Agnew.

Uno spesso velo di malinconia ammanta 2nd Movement. Molto intenso il dialogo tra la chitarra di Lotz e le tastiere di Mackay che copre l’intero episodio, sembra quasi provenire da Concerto Grosso dei New Trolls (con il tastierista che fa le “veci” degli archi).

Voros & Co. riprendono slancio con 3rd Movement, muovendosi a “grandi falcate” verso gli ELP, con scambi tra batteria e tastiere davvero interessanti. Il duo Voros/Mackay (e con loro il basso di Phillips) dimostra ancora una volta una tecnica notevolissima. E quasi a metà brano si getta nella mischia anche Agnew con un vorticoso assolo alla McLaughlin.

Brandenburg concerto No. 1 termina con 4th Movement e le sue sette parti. Main Theme 1. Dopo i mille volteggi del brano precedente, Mackay lascia i “tasti” ad Hutchinson che regala una soave sequenza al piano. E se in questo movimento Voros è stato quasi in “disparte”, con 1st Interlude si riprende il suo spazio imponendo un buon ritmo su cui il basso di Phillips, la chitarra di Lotz e le tastiere di Mackay agiscono in piena libertà. Più spedita e regolare Main Theme 2 con i precedenti protagonisti che continuano il loro operato (nonostante l’avvicendamento al basso tra Phillips e Lalouette). Ancor più vispa 2nd Interlude, dove l’intreccio tra tastiera e chitarra, questa volta suonata da Mitchell, si fa sempre più intricato, con Voros che non si tira certo indietro. Main Theme 3 riprende, ovviamente, il tema principale sfociando poi nell’atmosfera rinascimentale e pfmesca di 3rd Interlude, dove troviamo i suggestivi lavori di chitarra acustica, affidata a Lotz, e le solite tastiere di Mackay ad ergersi protagonisti. Si chiude con l’inizialmente nervosa Main Theme finale che poi si apre guidata da tastiere e chitarre, e con Voros e Lalouette che fungono da solite e solide macchine ritmiche.

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