Tacita Intesa – Faro

TACITA INTESA

Faro (2018)

Autoproduzione

 

A quattro anni di distanza dall’esordio discografico, con un nuovo batterista e una fortunata campagna di crowdfunding “in tasca”, tornano i Tacita Intesa.

Non un vero e proprio concept album Faro, anche se un tema comune è presente in buona parte del lavoro: il viaggio. Ed è un viaggio che, per la band, ha inizio già nel 2014, dopo l’uscita dell’omonimo album e l’abbandono di Pasquale Balzano. Senza perdersi d’animo, e con una gran voglia di proseguire e migliorarsi, Alessandro Granelli (chitarra elettrica, chitarra acustica, voce), Filippo Colongo (chitarra elettrica, cori), Daniele Stocchi (organo, piano, sintetizzatori) e Thomas Crocini (basso), con l’ingresso di Davide Boschi (batteria, cori) e la collaborazione di Leonardo Beltramini (sassofono in Cometa e cori in Eureka), prendono “carta e penna” e avviano la stesura dei brani che, tra modifiche e rallentamenti, li porta in studio di registrazione nel gennaio del 2018.

Rispetto all’esordio, con Faro la band è decisamente più focalizzata verso un obiettivo, segue un percorso più omogeneo e giunge ad un prodotto effettivamente privo di “falle”. È un lavoro meticoloso quello fatto dai cinque, con arrangiamenti ricchi di sfumature e colori vibranti che nei momenti strumentali esplodono magnificamente, impreziosito da frangenti melodici ben inseriti nell’impianto graniticamente progressivo e testi decisamente particolari e mai banali.

Polena. Come un’onda improvvisa ed impetuosa arriva la tastiera di Stocchi. Suoni rapidi che s’aggrovigliano fantasticamente al passo incalzante delle ritmiche e agli arabeschi di chitarra, e cui s’affida completamente la voce di Granelli. E dopo uno stacco alla PFM, il percorso si fa “singhiozzante”, con un bizzarro sentore di Tre Allegri Ragazzi Morti. Poi l’assolo di Colongo si prende la scena, prima di ricadere nel vortice iniziale. E il viaggio a bordo della nave spaziale “Tacita Intesa” può iniziare.

Frenetica prende vita Solaris, ispirata all’omonimo libro di Stanislaw Lem. Nella breve introduzione, mentre batteria e basso dispiegano fittamente i propri colpi, le chitarre ne assorbono le energie e le utilizzano per emergere. Con l’avvio del canto, l’atmosfera si fa quasi “sonnolenta”, ma è solo apparenza e, dopo un segmento denso, Stocchi accende la miccia e il brano deflagra. Con un’andatura vertiginosa e una quantità di note indefinibile, i Tacita Intesa ci proiettano in una dimensione in cui la Premiata va a braccetto con gli Accordo dei Contrari. Momento grandioso. I “giri”, quasi naturalmente, calano poco avanti ma solo per accumulare nuova forza da spendere nelle battute finali. E il testo singolare ne accresce ancor più il valore: […] Anima neutrinica, / materia pensante respira. / Amore, specchio di me. / Diversa, eppure uguale a te. / Amo l’idea di te? […].

Riesci a credere / che in fondo all’Universo / si trova un mondo che / è identico al nostro? […]. Ad accoglierci in Terra troviamo il synth di battiatiana memoria suonato da Stocchi. Poi una sorta di “nenia” chitarristica ci trascina verso il canto inizialmente sognante di Granelli. È tutto pronto, si può partire nuovamente verso lande impervie e ricche di forma e sostanza. Sarà un saliscendi che vivrà dell’“indole” della voce, prima di un “tentativo di ipnosi” e della cavalcata impetuosa di Boschi e Crocini.

Molto fresca, con sensazioni quasi pop-rock e canto sognate, si sviluppa la primissima parte di Cometa. È dopo il primo inciso che le ritmiche danno la scossa al gruppo e si inizia a correre tra le fitte trame di tastiera e chitarre. Tutto ciò è Crociera, il primo segmento del brano che narra di una vera missione spaziale della ESA tradotta in una storia d’amore tra le due sonde Philae e Rosetta, sulla rotta verso la cometa 67P/Churyumov–Gerasimenko, attraverso il testo poetico di Granelli: Filo carico d’elettricità / penetra meccanico la cavità. / Rosea, immobile e dolce capsula / avvolge magnetica l’altra metà: / atto d’amore in orbita verso la Cometa. / Tu sei il mio Faro / celestiale / in questo mare, Lo slancio d’amore per volare […]. E poi c’è lo Sbarco. Tutto si fa rarefatto, cosmico, con i due protagonisti che si separano, anche se Rosetta non abbandona Philae che va ad adempiere al suo compito al servizio dell’Umanità, ma rimane invece in orbita per monitorare da lontano la missione, attendendo un suo eventuale ritorno. E il sax romantico di Leonardo Beltramini dà il suo punto di vista sulla storia d’amore. Nella realtà, sarà Rosetta a raggiungere il suo amato atterrando sulla cometa.

È poi la volta di Grazie Sears! e la sua bizzarra “dedica” al “NORAD tracks Santa”, programma nordamericano che “traccia” il percorso di Babbo Natale durante il suo viaggio intorno al mondo per portare i regali ai bambini. È la spumeggiante chitarra acustica di Granelli ad introdurci nell’atmosfera spensierata del brano. Una spensieratezza che, in realtà, è solo “di facciata” (e limitata temporalmente), poiché, come sempre, i cinque sono abili a costruire trame altamente intricate e mai lineari, arricchite da quelle sfuriate hard e quel lungo momento di “tenebre sintetiche” che ti strappano letteralmente via la serenità di dosso.

Imponente prende il via Eureka. Dalle dita di Stocchi scorre un magma che ribolle e che, prima di investire i compagni, ne propizia la fuga. Saranno poi le chitarre frizzanti e le ritmiche agili a prendere il comando dell’episodio, con quegli alti a bassi umorali utili allo sviluppo canoro di Granelli. D’un tratto, a metà percorso, Crocini decide di “mettersi in proprio” e si lancia in un sofisticato virtuosismo di sole corde che trascina dietro sé tutti gli effettivi verso un lungo e corposo finale.

Massacramenti. Rosse le rose / d’un rosso sangue, / di mille rose / mille son uomini, / uomini. / Ho visto scimmie, / scimmie assassine, / di mille scimmie / mille son uomini, / uomini. / Massacramenti / sfanno la Terra, / consacramenti / fatti di guerra. / Abuso della / parola amore, / di fede in Dio / rispetto e onore. / Apache / Apax / Syria / Libya / Kenya / Kalashnikov / Io sono / Charlie Hebdo. / Ho visto scimmie / strappare rose, / di mille rose / mille eran uomini, / uomini. Testo abbastanza esplicito confezionato con una struttura sonora malinconica molto rock che cresce d’intensità assecondando la rabbia vocale di Alessandro. Nella seconda parte tutto si fa evanescente, un po’ post-rock, per poi catapultarsi tra spire scure e avvolgenti alla Daal, terminando, infine, la corsa al punto di partenza. Il titolo è un portmanteau di due parole: massacri e sacramenti.

Il basso corvino di Crocini ci conduce dritti all’interno della scorribanda di suoni alla Calibro 35 che si manifesta nell’intro in Onda nera, brano ispirato all’inondazione di birra avvenuta in un quartiere di Londra nel 1814. Onda nera d’un fiume in piena / scorre endovena nella città. / Forte corrente alcolica annega, / scende asfissiante giù nella gola […]. Con il canto, come d’abitudine, il sostrato sonoro si attenua (ma c’è e non è di certo banale). E quando sei pronto per adagiarti tra le onde placide, ecco che i Tacita Intesa colpiscono forte con un ceffone frastornante, con richiami “poliziotteschi”. Un turbinio da pelle d’oca che Boschi conduce da maestro.

Si chiude con la vivacissima La città che sale, dedicato all’omonimo quadro futurista di Umberto Boccioni (anche se il brano, in realtà, si presenta tripartito, con gli altri due segmenti ispirati ad altri due dipinti dell’artista: “Quelli che restano” e “Quelli che vanno”). Un flusso sostanzioso trascinato dalle ritmiche e decorato da tastiere e chitarre si svolge lungo i quasi sei minuti della traccia finale, con i “saltelli” posti a metà strada e un rallentamento collocato prima della sfuriata finale che aggiungono un “sapore speziato” al tutto. E il viaggio può riprendere: siamo quelli che vanno, insieme all’ascoltatore, e andiamo avanti lasciando tutto e tutti gli altri alle nostre spalle.

Tacita Intesa solca il mare dell’eternità.

Per maggiori info: bandcamp | facebook

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