Ancient Veil – Unplugged Live

ANCIENT VEIL

Unplugged Live (2020)

Lizard Records / Eden Production

 

Un album live è sempre un rischio, tante le variabili che possono compromettere la riuscita del progetto. Ma quando dalla propria parte si ha la qualità della proposta, le doti tecniche e, soprattutto, la passione, allora non c’è nulla che possa intaccare la riuscita di un’operazione del genere e così è stato per Unplugged Live, ultimo lavoro dal vivo degli Ancient Veil.

La prima parola che viene in mente al primo ascolto (ma anche ai successivi) di Unplugged Live è “eleganza”. L’eleganza dei suoni, delle atmosfere, delle soluzioni adottate, degli arrangiamenti dei brani del repertorio storico di Eris Pluvia e Ancient Veil (e degli inediti A clouded mind, Return to the past e You’ll become rain part two) ma anche l’eleganza esecutiva e interpretativa dei musicisti sul palco (visibile sul canale Youtube della band).

Registrati in tre occasioni diverse, i due concerti presso La Claque a Genova (12 maggio e 11 novembre 2017) e quello de La Casa di Alex a Milano (19 gennaio 2019), Unplugged Live ha visto sul palco Alessandro Serri (voce, chitarra acustica ed elettrica), Edmondo Romano (sopranino, flauto alto e basso, sax soprano, clarinetto, low whistle, harmonizer, stompin), Fabio Serri (voce, piano, tastiere), Massimo Palermo (basso elettrico), Marco Fuliano (batteria) e l’ospite Marco Gnecco all’oboe nei brani Only when they’re broken, New e Creature of the lake.

Eleganza dicevo, ma anche atmosfere raffinate, sognanti, arrangiamenti perfetti curati sino al minimo dettaglio in cui il prog, che è nel DNA del gruppo, si fonde in modo sublime con un’essenza folk e una sostanza canterburyana. Nei suoni c’è un po’ di quell’elemento magnetico dei Pentangle (ma molto meno “spigoloso”), dell’anima folk/acustica degli O.A.K. e dei Jethro Tull più “bucolici”, ma c’è soprattutto tanta magia targata Ancient Veil.

Ad accompagnare ancora una volta graficamente l’opera degli Ancient Veil troviamo un nuovo dipinto, anzi, tre dipinti affascinanti ed onirici di Francesca Ghizzardi che vanno ad aggiungere altra classe ad un lavoro di pregio.

Infine, va detto, c’è anche una pecca, l’unica in tutta l’opera: termina troppo presto!

Come un fluido sognante che avviluppa le membra e i sensi prende vita la “rivisitata” Rings of earthly light (suite), con i suoi tre movimenti Earthcore, Portrait e Sell my feelings. Il primo movimento corre via delicatamente tra i voli leggiadri del fiato di Romano, i ricami chitarristici di Alessandro Serri e il canto dolce di quest’ultimo, in alcuni punti un po’ Alan Sorrenti. Poi tutto cambia, si vivacizza, si fa canterburyano. Tocca anche a Fabio Serri apportare il suo contributo al piano e, ovviamente, non si tira indietro, “combattendo col sorriso” contro il “soffio” di Romano. E dopo un pizzico di tensione a metà percorso, gli Ancient Veil riprendono il tracciato portandosi sempre più verso territori tulliani, sino a raggiungere picchi emozionali incredibili. Poi tutto scorre via tra le note di Edmondo Romano e Fabio Serri. Partenza da brividi.

Proseguendo sulla stessa onda emotiva ecco giungere Only when they’re broken. Un nuovo ordito soave, fatto di corde, fiati (tra cui l’oboe dell’ospite Gnecco) e piano, con le note del basso di Palermo quasi appoggiate sullo sfondo, senza “far rumore”, e le stratificazioni vocali dei fratelli Serri a condire il tutto romanticamente. Una pennellata dai toni caldi che, con un solo tocco, riempie l’intera “tela” intitolata Only when they’re broken.

Più vivace The way home, con il tocco mediterraneo dell’acustica di Alessandro Serri, ottimo compagno del canto, arricchito dagli interventi guizzanti del flauto di Romano e da quell’essenza cinematografica che permea interamente il breve episodio.

Un po’ di tensione nelle prime note di Chime of the times, nei suoni di chitarra e di flauto che s’intrecciano “guardandosi le spalle”. Poi tutto si stempera con l’ingresso in scena del canto di Alessandro e la melodia si fa tenera, avvolgendolo completamente. Il segmento “saltellante” posto a metà percorso, ottimamente guidato da Romano, dà una sensazione che si muove tra Angelo Branduardi e la PFM con De André. E poi l’inaspettato: le ritmiche irrompono in scena, possenti, con tanto di tastiera seventies da contorno, e il clima muta completamente, si fa corvino, con il fiato di Romano che, nonostante tutto, riesce a farsi largo sino a “sconfiggere” tutti.

Malinconica la breve A clouded mind. Un nuovo intreccio di corde, fiati e tasti, morbido ma inestricabile, tutto ammantato da un velo di poetica tristezza.

I suoni degli Ancient Veil tornano a “brillare” con Feast of the puppets, brioso episodio solare, brano che sprizza vitalità in ogni minimo anfratto, con le ritmiche di Palermo e Fuliano trascinatrici ma mai invadenti, gli immensi volteggi di Romano e i soliti orditi ammalianti dei fratelli Serri, tutto utile a descrivere un quadro che ha un po’ di sapore PFM.

Vellutata, quasi una carezza, New, altro momento “lampo” in cui la calda e tenera voce di Alessandro Serri si amalgama dolcemente con le corde della chitarra, mentre Gnecco quasi “sussurra” col suo strumento.

Struggente l’avvio di Return to the past affidato soprattutto a Romano. E anche quanto inizia il canto, l’emozione non viene meno. Poi le tastiere di Fabio Serri accendono una flebile “miccia”, subito smorzata dal sax che, lentamente, ci conduce verso la conclusione, sovrastando quanto, nelle retrovie, costruisce soprattutto la chitarra.

Partenza immediata per Creature of the lake, con quella percepibile essenza “bucolica” alla Jethro Tull, resa più tenera dal gruppo italiano. È un flusso sonoro denso e romantico quello dei primi minuti, con la voce che danza sulle note della chitarra, del piano e del basso. Poi ci pensa Romano, con uno dei suoi fiati, a dare un guizzo al tutto (che si fa magnetico). E con la voce che riemerge, tutto trova il definitivo compimento.

Carica malinconica palpabile per You’ll become rain, dove la voce di Alessandro, ispiratissima e duttile (e che raggiunge nuovi punti di contatto con Alan Sorrenti), guida fiera il sostrato sonoro fatto soprattutto di chitarra e piano, due strumenti quasi accarezzati dai legittimi proprietari. Una poetica sonora da pelle d’oca. Solo sul finale Fuliano imprime il suo tocco ritmico che conduce il quintetto nella successiva You’ll become rain part two, sezione decisamente più dinamica, dove gli Ancient Veil si lasciano andare totalmente. Ad aprire le danze il sax indemoniato di Romano, poi è la volta del piano di Fabio, mentre nelle retrovie Palermo e Fuliano non cedono un centimetro. E poi si vola, magicamente, verso territori prog più puri, di quelli da far impallidire anche la Premiata. E i lunghi applausi finali sono ampiamente meritati.

 

 

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