La convenzione

«Nonno, cosa sono quei cerchi di luce?».
«Dove, Tom?».
«Lassù» e il bambino indicò oltre la compatta massa acquifera che sovrastava la calotta vitrea che proteggeva New Boston dalla troposfera.
L’uomo sulla settantina, una manciata di capelli argentei sui lati del cranio, viso rugoso dal colore cereo, così come la poca pelle esposta visibile sul collo e sulle mani, alzò lo sguardo notando una serie di circoli luminescenti inerti nel cielo, visibili nitidamente attraverso il filtro dell’acqua marina.
«Oh dio! La Convenzione!» esclamò allontanandosi rapidamente, abbandonando il nipote a bocca aperta, in procinto di formulare un nuovo quesito, nella veranda che affiancava sul lato ovest l’anonimo villino.

«Nonno, perché sei fuggito via ieri? E cos’è la Convenzione?».
«Dovevo verificare una cosa».
Il giorno dopo la coppia si era riformata nuovamente sotto, e dentro, il sottile strato plastico trasparente dello spazio casalingo esterno.
Intanto i cerchi di luce apparivano ancora stabili sulle loro teste.
«E la Convenzione? Cos’è?» chiese nuovamente Tom, mostrando quelle due finestrelle nell’arcata dentale superiore.
L’uomo, al momento seduto su una sedia di quelle pieghevoli, fece un cenno con la mano al nipote e lo invitò a sedersi sulla seggiola accanto a lui. Appena il piccolo fu pronto, iniziò.
«Io, come te, sono nato qui, a New Boston. E come me, mio padre, mio nonno e tanti altri prima di loro. Ma non sempre l’uomo è vissuto sotto il mare. Centinaia di anni fa l’uomo viveva sulla terra emersa, proprio sopra le nostre teste, tra grattacieli e autostrade, utilizzando apparecchi chiamati aerei per solcare il cielo e spostarsi ovunque e in poco tempo, o navicelle spaziali per perlustrare lo spazio. La tecnologia e il benessere avevano raggiunto livelli inimmaginabili ma…».
«Ma?» chiese Tom non resistendo più di cinque secondi alla pausa del nonno.
«Ma ci fu un prezzo da pagare. Enorme». L’ultima parola fu espressa con fatica, poi l’uomo chinò il capo in avanti portando le due mani dietro la nuca e congiungendo i due gomiti davanti a sé.
Il bambino lo fissò, comprendendo solo in minima parte quell’immagine triste. Impaziente di ascoltare il prosieguo della storia, colpì il nonno con degli schiaffetti sulle gambe invitandolo a riprendere il racconto.
«Tecnologia e benessere, dicevo, ma anche tanto inquinamento ed eccessivo sfruttamento delle risorse del nostro pianeta che causarono un costante mutamento climatico e una serie innumerevole di cataclismi. In pochi decenni la situazione per l’uomo e per la Terra divenne insostenibile, i danni causati al pianeta irreversibili. Poche le soluzioni trovate dagli uomini di potere che, troppo tardi, aprirono i propri occhi chiedendo aiuto agli scienziati e ai vari esperti di settore, tutte racchiuse sotto un unico nome: La Convenzione».
L’uomo allora alzò gli occhi al cielo cercando uno stimolo in quelle forme lucenti per proseguire nella narrazione, mentre il nipote continuava a fissarlo rapito, sempre più desideroso di ascoltare il resto della storia, resa magnetica dalla calda voce dell’anziana figura.
«Tre furono le idee per far fronte all’emergenza ed evitare l’estinzione del genere umano», riprese. «Dopo anni di studio, si convenne che, sulla Terra, l’unico posto sicuro sarebbe stato sotto il mare e allora, celermente, furono edificate diverse città sottomarine, come New Boston, protette dalla pressione dell’acqua, e dall’inospitale mondo esterno, da immense cupole vitree, e fornite di tutta la tecnologia utile per far proseguire la vita, quasi senza conseguenze. Le altre due opzioni furono extraterrestri. Dopo una serie incredibile di analisi, gli scienziati scoprirono che gli unici pianeti del nostro sistema solare che avrebbero permesso all’uomo di vivere ancora sarebbero stati Giove e Venere».
«E dove si trovano?» chiese con la bocca ormai spalancata Tom.
«Molto, molto distante da qui piccolo mio» e gli scompigliò affettuosamente i capelli chiarissimi.
«Oooh!» esclamò stupito il bambino.
«Su Giove e su Venere, quindi. Sul primo pianeta tutto sarebbe stato possibile trasportando delle capsule avveniristiche, una sorta di pianeti in miniatura che potevano contenere migliaia di persone, le quali avrebbero orbitato attorno ad esso. In realtà, dunque, non direttamente sul suo suolo, non propriamente adatto all’uomo. Su Venere, invece, i nostri antenati poterono popolare, quasi in sicurezza, la superficie del corpo celeste, utilizzando tutte le conoscenze e la tecnologia per ripartire rapidamente».
«Deve essere bello abitare su altri pianeti».
«Forse, Tom. Forse. A scuola, comunque, studierai tutto questo e, spero, altro».
«Ma tutto questo cosa c’entra con quei cerchi di luce nel cielo?» chiese il bambino incalzando il nonno.
«Questo è il punto meno certo di tutta la vicenda. Vedi, poco prima del definitivo “trasloco”, sembra che gli scienziati abbiano programmato anche il ritorno sulla Terra, o, almeno, abbiano gettato le basi per un eventuale rientro, senza definirne una data, anche solo ipotetica, perché impossibile allo stato delle cose dell’epoca. Quindi, prima di trasferirsi, pare abbiano lasciato sul nostro pianeta alcuni strumenti per controllarne lo stato di salute, analizzandone i dati dai laboratori creati su Giove e Venere, e, nel momento in cui sarebbe stato possibile tornare sulla Terra, cerchi di luce sarebbero apparsi in cielo».
«E quindi ora possiamo tornare su?» chiese entusiasta Tom.
«Lo spero per te, piccolo mio».

(pubblicato nell’antologia “Note d’inchiostro” – Le Mezzelane, 2020)

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