Ekseption – Trinity

EKSEPTION

Trinity (1973)

Philips

Sesto album in studio per la prolifica band olandese (il primo album, omonimo, è datato 1969).

Dopo il tour europeo seguito all’album “5” e l’abbandono del gruppo da parte di Dick Remelink e Peter de Leeuwe (causa dissidi interni), i “sopravvissuti” Rein Van Den Broek (tromba, flicorno), Cor Dekker (basso) e Rick Van Der Linden (piano, organo, spinetta, ARP2600, synth, mellotron), insieme ai nuovi Jan Vennik (sax soprano e tenore, flauto) e Pieter Voogt (batteria, percussioni) registrano e danno alle stampe, nel 1973, l’album Trinity.

Come avvenuto negli album precedenti, gli Ekseption ci mostrano le proprie incredibili capacità nel destrutturare brani classici realizzando nuove creature indipendenti dalle genitrici (vedi Toccata e Romance). Il risultato è un mix di musica classica, prog e venature jazz, sulla scia dei propri primi cinque album e di alcune creazioni dei The Nice. Accanto a queste ci sono anche brani originali scritti soprattutto da Van Der Linden che richiamano le medesime sonorità.

L’album si apre con Toccata. Le prime note, precise e impeccabili, della Toccata e fuga in RE minore di Bach (sul modello seguito, per esempio, nel brano d’apertura dell’album omonimo del 1969, The 5th, ispirata alla Quinta Sinfonia di Beethoven) eseguite dall’organo di Van Der Linden ci lasciano intendere sin da subito le potenzialità e l’”offerta musicale”degli Ekseption. Un minuto di puro classicismo, poi la batteria e i fiati cominciano le proprie divagazioni, mentre l’organo tenta più volte di riportare il brano sulla “retta via”. Ci riesce a metà brano, mettendo a tacere tutti con le note iniziali. Un avvio da dieci e lode.

The Peruvian flute ha come base di partenza un brano della tradizione peruviana, ma lo sviluppo ha molte facce. Dopo un breve avvio affidato all’organo, i fiati prendono il sopravvento. È soprattutto il flauto di Vennik (un po’ alla Ivano Fossati) a farla da padrone nella prima parte del brano. Poi gli ottoni danno un breve tocco alla Blues Brothers (già accennato nei primi secondi). Dopo i due minuti un piano teso ci immette in un segmento più dolce e melodico. Alcuni minuti più tardi è la tromba a riportare un pizzico di vivacità con un sound jazzato, prima del “ritorno alle origini”.

Dreams è una creatura dell’ex sassofonista della band Tony Vos. Poco più di un minuto e mezzo interamente dedicato ai fiati. I primi secondi sono occupati da sinistri suoni di ottoni, poi è il flauto di Vennik, molto romantico e leggiadro, a occupare la scena sino al termine.

Smile è il primo brano dell’album scritto da Van Der Linden. È una ballata romantica, con una leggera digressione nella parte centrale, affidata soprattutto al rassicurante suono del flicorno di Van Den Broek. Anche il tappeto sonoro ricreato dal resto della band emana la stessa sensazione.

Con Lonely chase l’organo di Van Der Linden torna padrone incontrastato. Tre minuti in cui le doti del musicista vengono mostrate con la veste migliore. Sicuramente Van Der Linden è meno “folle” di Hiro Yanagida dei Food Brain o dell’immenso Keith Emerson, ma tecnicamente non è di certo inferiore.

Come accaduto per il brano d’apertura, anche con Romance gli Ekseption si divertono a creare evoluzioni partendo da una base nota: la Romanza per violino e orchestra No.2 In FA maggiore Op.50 di Beethoven, che troviamo riproposta in avvio e in chiusura del brano. Tra questi due segmenti ci sono circa un minuto e mezzo in cui fiati, organo e batteria danno libero sfogo alla fantasia, con repentini cambi di ritmo e atmosfere prog-jazz.

Improvisation è un contenitore di soliloqui. Ad aprire le danze, dopo un intro collettivo, è Vennik con il suo flauto tulliano. A seguire c’è Dekker e i suoi tre minuti di basso martellante. Dopo alcuni secondi concessi a Voogt e alla sua batteria, torna in scena Vennik che intraprende un fitto dialogo con lo stesso Voogt. Van Der Linden non poteva mancare alla festa: eccolo prendere il volo poco prima dei sei minuti. Ultimo ma non ultimo Van Den Broek e la sua tromba, anche se gli è concesso poco spazio. Nel finale torna l’allegra combriccola.

Meddle è un breve frammento di poco più di un minuto dal sapore medievale realizzato con spinetta e flauto.

Altro banco di prova superato col massimo dei voti è Flight of the bumble bee, la rivisitazione de Il volo del calabrone di Nikolai Rimsky-Korsakov. Van Der Linden col suo organo, coadiuvato da piano, batteria e fiati, inizialmente fa brevi accenni al volo prima di “spiccarlo” definitivamente. Da pelle d’oca. E per confermare le loro capacità di “stravolgimento” c’è anche lo spazio per un assolo di sax, su sottofondo jazz, che cambia completamente il volto del brano. Nell’ultima parte del brano si torna a “volare”.

Finale III è l’unico brano in cui ascoltiamo delle voci, quelle del Dutch Chamber Choir. L’avvio di organo solenne richiama a tratti i Procol Harum, poi il coro rende l’atmosfera ancora più carica ed emozionante (sembra di ascoltare un brano tratto da “La Passion” di Saint-Preux). Tutto davvero commovente.

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