Intervista a I Viaggi di Madeleine

Un caro benvenuto a Francesco Carella (F.C.) e Giuseppe Quarta (G.Q.): I Viaggi di Madeleine.

F.C.: Grazie a te Donato per la tua intervista e per esserti interessato al nostro progetto musicale.

G.Q.: Ciao Donato e grazie per averci concesso quest’intervista.

Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nasce il progetto I Viaggi di Madeleine e cosa c’è prima de I Viaggi di Madeleine nelle vite di Francesco e Giuseppe?

F.C.: Allora, devi sapere che, io e il chitarrista Giuseppe Cascarano, ci conosciamo sin dall’età adolescenziale e in quel periodo, nella cantina dove suonavamo insieme, tastiera, chitarra e voce, sono nate molte idee compositive e alcune di queste si sono successivamente riversate nel progetto de I Viaggi di Madeleine.

I brani che ho scritto in età adolescenziale con la collaborazione di Giuseppe Cascarano alla chitarra elettrica, sono rimasti sospesi e mai pubblicati, fino a quando nel 2013, dopo vent’anni, io e Cascarano ci siamo rincontrati a Lecce e così abbiamo deciso che quelle canzoni rimaste inespresse dovevano riprendere vita.

Presi dall’entusiasmo del ritrovato fuoco di giovinezza, ci siamo messi subito a lavoro e così in un piccolo studio di registrazione, grazie all’amico Rodolfo Mannara, anche lui musicista, grazie all’ausilio di una batteria elettronica e un basso synth, abbiamo inciso due demo, “Sul limite dell’orizzonte” e “Ribelle” che, in seguito, ci sono servite per far circolare, su Lecce e dintorni, il nostro rock e per cercare altri componenti per la formazione di un gruppo.

Dopo l’annuncio per la ricerca di un bassista e un batterista, a novembre del 2014, si è presentato Giuseppe Quarta batterista, con cui abbiamo provato assieme due mesi, dopo di che agli inizi del 2015, nonostante la mancanza di un bassista, si è formato ufficialmente il trio rock “I Viaggi di Madeleine” con Francesco Carella alle tastiere, basso synth e voce, Giuseppe Cascarano alla chitarra elettrica e Giuseppe Quarta alla batteria.

Madeleine rappresenta l’anima adolescente che nonostante tutto il marcio, resiste cercando di rimanere intatta: mi ha molto colpito questa vostra presentazione. Ma come avviene, appunto, la scelta del nome della band? E perché proprio Madeleine?

F.C.: Cercavamo un nome originale da dare a quest’anima rappresentativa dell’adolescenza e Madeleine è venuta fuori perché suonava bene, ci è piaciuto il suono contenuto nel nome.

G.Q.: Madeleine, l’anima adolescente che è presente in ognuno di noi, quella pura, casta, che non ha subito “le incrostazioni” di un mondo che il più delle volte non gira come noi vorremmo. Ecco che Madeleine, icona del gruppo, cerca di resistere a tutte le avversità che la vita di ogni giorno comporta, sul piano politico, sociale, cercando di portare avanti quell’anelito di libertà che ognuno di noi ha e che è pronto a preservare di fronte a qualsiasi ingiustizia.

Pochi mesi di “rodaggio” e siete già pronti per registrare la vostra prima demo che contiene quattro brani (è il 2015). Quali idee troviamo in questa prima produzione? E quanto di questo materiale verrà ripescato più in avanti per il vostro esordio discografico?

F.C.: Sì, i quattro brani della demo fanno parte delle composizioni rock scritte in età adolescenziale. Erano i brani rimasti sospesi, che abbiamo semplicemente provato e riarrangiato con la batteria. Nel lavoro successivo, che spontaneamente è nato dall’improvvisazione, dalla sperimentazione, dall’empatia, abbiamo tenuto conto solo di alcune parti cantate dei precedenti brani. Ad esempio, in “Kamaloka” la parte cantata proviene da “Terra Infernale”, brano presente nelle demo. Ovviamente questi ripescaggi non sono stati casuali o di riempimento ma si sono integrati nel nuovo, in maniera naturale e con una certa logica emotiva dovuta alla scelta dei testi delle canzoni.

G.Q.: Sì, i quattro brani della demo (“Sul limite dell’orizzonte”, “Suona povero”, “Terra Infernale” e “Ribelle”) sono brani prettamente rock/hard rock e le idee presenti in questi pezzi, al di là della musica che, in qualche maniera ricalca lo spirito della new wave e del rock italiano di fine anni ‘80 inizi ’90, sono da ricercare nei testi che inquadrano già una certa rivendicazione di libertà in un mondo che comincia ad andare un po’ stretto in tutti i sensi. Sono tematiche sociali che, in qualche modo, Madeleine nel corso della sua produzione non ha abbandonato, sino alla genesi del primo cd, anche se quest’ultimo metaforizza in maniera apocalittica il disagio dei tempi in cui viviamo. Si tratta, quindi, di materiale che quantomeno, nello spirito dei testi, ci è servito per la composizione del primo disco che ha virato musicalmente sul genere Rock Progressivo. Tengo a precisare che questo genere è stato da noi partorito in maniera del tutto inconsapevole, in quanto nasce da una serie di contaminazioni musicali, presenti nel nostro bagaglio culturale, che inevitabilmente si sono fuse e convogliate nel Rock Progressivo, tramite quell’approccio sperimentale alla musica che ci contraddistingue.

Negli anni seguenti vi dividete tra composizione e palco, sino a giungere alla pubblicazione de “I Viaggi di Madeleine” (2019). Mi raccontate la genesi dell’album?

F.C.: Il primo brano, nato esclusivamente dall’empatia formatasi tra noi tre, è stato “Mendicante”, che ha attirato l’attenzione di tutti i musicisti salentini che suonano a un certo “livello” e che, a un certo punto della loro vita, si sono chiesti: Ma questi, chi (ca..o) sono? E poi a catena abbiamo risvegliato l’attenzione di tutti gli amanti del rock ricercato e di tutti gli ascoltatori del Progressive Rock. Evidentemente era da tempo che in Salento non si sentiva roba “seria” e fuori dai canoni commerciali. Con “Mendicante” abbiamo raggiunto una certa notorietà anche perché, il 30 agosto 2016, è diventata colonna sonora di una piccola opera rock chiamata “Storia di un eretico rinato Mendicante”, di cui trovate è possibile trovare il video su YouTube, messa in scena con la mia regia e grazie alla collaborazione dell’attore Vladimiro Santi Spanna, della danzatrice Simona Storm, della performer Florenza Mongelli, dello scultore Roberto Pernorio e dell’illustratore Simone Lomartire, nell’ultima serata dell’“Amo Festival della Canapa”, alla Masseria Carmine di Taranto.

Nonostante di questi tempi sia difficilissimo per una band, che non ha alle spalle un’agenzia di promozione musicale e che propone solo inediti, suonare dal vivo, siamo comunque riusciti, grazie alla tenace ricerca di punti di contatto con pub e gestori di locali, a piazzare diverse date nella provincia di Lecce, Taranto, Bari e Brindisi e man mano che i nostri concerti si sono diffusi, abbiamo cominciato a sentire un vivo interesse nei nostri confronti. Aggiungo un’altra cosa, se non avessimo avuto una base economica personale, non avremmo potuto fare tutto quello che abbiamo fatto, il resto lo lascio dire a Giuseppe.

G.Q.: L’album, in realtà, nasce come prodotto di una composizione musicale e concettuale avviatasi nel corso del 2016, quando, ha visto la luce “Mendicante” una suite di tredici minuti, suddivisa in un percorso immaginativo sonoro di sette atti: 1) Intro, La Selva della Paura, 2) Il Linguaggio del Cuore, 3) La Marcia nel Nulla, 4) Psicosi Post-Moderna, 5) Mendicante, 6) Apolitica Demografica, 7) Atto Finale: Fuga dalla Città. Un brano che viene alla luce proprio dal desiderio di sperimentazione senza condizionamenti legati a una produzione commerciale. Esprimevamo noi stessi in quello che era il nostro bagaglio musicale ma anche e soprattutto di pensiero, concettuale. Dopo dure prove, tanto impegno e tanto materiale che registravamo dando importanza alle parti che ci convincevano di più e appagavano tutti noi, è venuto fuori “Mendicante”, brano veramente complesso soprattutto dal punto di vista tecnico. Una fusione di rock, hard rock, psichedelia, jazz, connotata da ritmi e tempi differenti. Successivamente, sempre sull’onda dell’ispirazione sperimentale, abbiamo partorito e pubblicato, nel febbraio 2017, “Contrappunti d’autunno”, un brano anch’esso complesso dal punto di vista strutturale ma più melodico. “Il Viaggio”, brano di matrice rock psichedelica, che è un continuo crescendo “in un’altra dimensione spazio temporale”. Questo brano, in realtà, faceva parte del nostro repertorio musicale sin dai tempi di “Mendicante”, anche se solo in un momento successivo abbiamo deciso di registrarlo insieme agli altri pezzi del disco. “Gods of distant worlds”, brano che per sonorità è più vicino a un rock/hard rock più moderno, mantenendo, in alcune parti, dei richiami al rock sinfonico settantiano. In ultimo il brano “Kamaloka” che è una vera e propria cavalcata hard rock con parti connotate da scambi tra chitarre e tastiere, nonché ritmi e tempi differenti. Il tutto è confluito nell’album omonimo che è stato pubblicato nel 2019 ed ha avuto ottime recensioni, oltre che discrete vendite nei più disparati luoghi del mondo.

Molto importanti, nell’economia dell’album, sono i testi. Vi va di parlare un po’ del loro contenuto e delle fonti d’ispirazione?

F.C.: Certamente! Ovviamente si possono accennare solo alcune cose, non vorrei togliere agli ascoltatori il gusto e la libertà di immaginare. Il testo di “Kamaloka”, come già accennato, prende spunto da una canzone scritta in età adolescenziale, dove “Madeleine”, con capacità veggenti, ci mostra una realtà spirituale demoniaca che si cela oltre il velo della realtà fisica. Il testo di “Contrappunti d’Autunno” è stato scritto a due mani, da me e Giuseppe Quarta, e una volta reso asciutto e fluido nel canto, è stato scelto per la parte centrale del brano. Il testo de “Il Viaggio” prospetta la visione di uno sconfinamento trascendentale che risulta essere la risposta ricevuta sulla vetta di una montagna. Nel testo di “Mendicante”, con una parte in “inglese” e una parte in italiano, la parte in “inglese” è intitolata “Il Linguaggio del Cuore” e nasce da un’improvvisazione vocale che usa un linguaggio ricco di somiglianze fonetiche con la lingua inglese, come ispirazione dal “Grammelot”. In seguito, dopo la registrazione in studio, abbiamo scoperto con meraviglia che quella pronuncia aveva un vero significato, se pur simbolico, e così è diventato testo. La parte in italiano, invece, proviene da un brano mai pubblicato e scritto in età adolescenziale, e la sua fonte parte dalla mia ricerca interiore della verità. “Gods of distant worlds”, testo scritto da Giuseppe Quarta, con l’aiuto della traduzione in inglese da parte di Giuseppe Cascarano. Per mia opinione personale, il motivo del transumanesimo centra moltissimo con l’ispirazione di questo brano e credo che l’invasione sia in atto, solo che non ci stiamo capendo niente e continuiamo a non capirci niente!

G.Q.: Sì, i testi dell’album sono importanti in quanto nella loro totalità rappresenterebbero una metafora della vita e delle miserie dell’uomo che si trova, o a dover combattere contro un mondo che delle volte non accetta, o a rialzarsi nel momento in cui, soggiogato dalla realtà, cade nel “male”.

Aggiungo che “Mendicante” rappresenterebbe l’uomo che cerca la verità nel cuore dell’umanità diventando messaggero di salvezza e pace umana, dopo un lungo percorso di vita, tra difficoltà e pericoli che tracciano il suo sentiero. “Contrappunti d’autunno”, è un brano che rappresenta una metafora della vita, in cui talvolta si perde la retta via, per approdare in mondi che non ci appartengono, metaforicamente surreali, con la speranza però di ritrovarsi e conquistare l’agognata felicità. “Il Viaggio” è un viaggio spazio-temporale che potrebbe essere rappresentato, sul piano esistenziale, dalla voglia di fuggire dalla realtà, da un mondo non conforme alle nostre aspettative, dall’angoscia del quotidiano. “Gods of distant worlds” è un brano, con testo da me scritto, che nasce da un sogno, meglio un incubo, in cui degli esseri sconosciuti, provenienti da mondi lontani, minacciavano di annullare l’umanità per sottometterla al loro potere in quanto ritenevano che gli uomini non fossero in grado di condurre le loro esistenze. Ognuno, poi, interpreti il significato di questo testo come meglio crede, potrebbe essere calato perfettamente in tante situazioni che viviamo sul piano politico e sociale. “Kamaloka” è una sorta di discesa negli inferi, in un “non luogo” dove tutto è sospeso e l’uomo si trova in una situazione di stallo, può salvarsi dai propri peccati o precipitare nelle tenebre più profonde. Si può notare che i testi sono apocalittici, con scenari non proprio piacevoli, ma in cui vi sono sprazzi di luce che possono essere raggiunti per riscattarsi e in qualche modo salvarsi; insomma, c’è sempre un messaggio di speranza.

Ma anche musicalmente, appunto, non vi tirate di certo indietro e, anche se in tre (con Giuseppe Cascarano, sulla scia di alcuni grandi nomi del passato), siete riusciti a “sfornare” una prova notevole che si muove senza patemi tra vari generi (dal Prog alla psichedelia, dal jazz alla sperimentazione, solo per citarne alcuni). Anche in questo caso, cosa ha ispirato e “sorretto” le vostre creazioni?

F.C.: Be’, posso dire in generale che nel calderone delle nostre esperienze da musicisti c’è sicuramente una certa esperienza depositata, una buona tecnica strumentale e l’ascolto musicale a tutto tondo. In più, parlando di me stesso, per un periodo della mia vita mi sono dedicato esclusivamente all’improvvisazione musicale e quindi credo che sia riuscito a trasferire, ai due Giuseppe, qualcosa di questa tecnica. Ma la cosa importante per una buona ispirazione è l’Empatia: se essa rimane costante, allora il gruppo risulta ben amalgamato e affiatato, quando finisce questa magia allora si spezzano anche i legami interpersonali tra i componenti del gruppo.

G.Q.: Ciò che ha sorretto le nostre creazioni è confluito in un mix di sperimentazione ed energia che ha condotto a questo piacevole risultato. Non avevamo, come ho sempre sostenuto, l’intenzione di rifarci ad un genere musicale ben preciso, come in questo caso il Rock Progressivo. Ognuno di noi aveva delle provenienze musicali rock, ed è stata la creatività e la voglia di uscire dal consueto che ha convogliato il tutto in una musica che di diritto si colloca nel genere Progressive. Ognuno, poi, è libero di dare la propria interpretazione su ciò che noi abbiamo suonato, ma di sicuro tutto ciò che si ritrova nei nostri brani, volendolo definire dal punto di vista di un genere, non può che collocarsi nel Progressive Rock. Ovviamente, ripeto, il nostro bagaglio musicale ha contribuito in maniera notevole. Francesco Carella, ad esempio, come ha ricordato, già componeva musica sperimentale e suonava rock, oltre ad avere una bella voce, quindi il suo apporto è stato fondamentale. Giuseppe Cascarano è un chitarrista hard rock con delle influenze heavy, che certamente possono notarsi in tutte le parti suonate da lui nel disco. Io ho un bagaglio musicale rock molto anni ‘60 e ‘70, i miei ascolti navigano in tutto ciò che in quel periodo è stato prodotto, dal rock all’hard rock, al blues, al Rock Progressivo, al jazz-rock, ecc. e questo lo si può vedere anche dal modo in cui suono la batteria. Insomma, si può notare una miscela di stili e generi che alla fine è risultata vincente.

Intrigante l’idea di anticipare ogni brano con una breve introduzione parlata (affidata a Elena Selleri e Mauro Bux). Come nasce questa intuizione?

F.C.: Finito il lavoro di registrazione dei brani, ho cominciato a “parlare con Madeleine”, era lei che mi suggeriva quello che dovevo fare, che il nome dell’album doveva essere omonimo poiché ogni canzone rappresenta il viaggio immaginifico di Madeleine, che l’ordine dei brani doveva avere una sorta di collegamento non razionale d’inizio e fine e, per ultimo, che i brani fossero capiti in tutto il mondo e queste brevi introduzioni davanti ad ogni composizione sono diventate delle chiavi di lettura per l’ascoltatore. Ne ho parlato insieme con i ragazzi e quindi, subito dopo, l’idea è diventata operativa, soprattutto grazie agli amici attori Mauro Bux ed Elena Selleri della compagnia “Improvvisart” di Lecce.

Com’è stato accolto l’album da pubblico e critica?

F.C.: Molto, molto bene! La nostra musica è andata in giro per il mondo ed abbiamo venduto in Quebec (Canada), North Carolina (USA), Giappone, Olanda, Norvegia, Italia e Brasile. In Italia e Brasile siamo passati spesso in radio dedicate al Progressive Rock, specialmente in Brasile, tant’è che qualche mese prima della pandemia, stavamo progettando un piccolo viaggio/tour in Brasile, poi purtroppo il destino ci ha fermato.

G.Q.: Devo dire che l’album ha avuto un buon successo di pubblico e critica. Gli addetti ai lavori, gli appassionati del genere Rock Progressive, sia in Italia ma soprattutto all’estero, hanno apprezzato il nostro lavoro e numerose sono state le recensioni positive rilasciate da riviste online, blog, siti specializzati, per i quali rimando ai link postati sulla biografia del gruppo nell’apposita pagina FB. Nelle relative rubriche dedicate al Prog hanno mandato in onda più volte i brani del nostro disco, specialmente “Contrappunti d’autunno”, il pezzo a mio avviso più blasonato.

Nel 2021 realizzate un nuovo brano, “Sul limite dell’orizzonte”, con sonorità più orientate verso il rock e con la partecipazione di Mauro Bux al basso. Mi raccontate la sua storia decisamente particolare e a forte impatto emotivo?

F.C.: “Sul limite dell’orizzonte” nasce dalla mia esperienza diretta, fatta in gioventù, di un incidente stradale, per questo a forte impatto emotivo. È un brano che abbiamo sempre suonato nei nostri concerti, e con esso abbiamo cercato di aprirci ad un pubblico più rock allargando le nostre possibilità di ascolto. Con Mauro Bux l’amicizia nasce durante il periodo della scuola d’improvvisazione teatrale che abbiamo frequentato insieme per quattro anni la. Vista la sua precedente partecipazione come voce narrante nel nostro primo disco, e il fatto che suonava il basso, gli chiesi se voleva partecipare a questa riedizione di “Sul limite dell’orizzonte”. Accettò mostrandosi entusiasta.

Prima della pandemia, come accennato, siete stati abbastanza attivi sul fronte live. Ma come sono I Viaggi di Madeleine sul palco? Cosa c’è da aspettarsi da un vostro concerto?

F.C.: Be’, all’inizio eravamo un po’ acerbi, poi pian piano ci siamo “sintonizzati” a livello di anima e suono, e dal 2016 in poi abbiamo emanato una grande energia.

G.Q.: Sì, prima della pandemia, che è stata una vera e propria “disgrazia” in qualsiasi ambito sociale e lavorativo (e soprattutto nella musica e nelle esibizioni live), eravamo attivi, ovviamente in contesti adatti al nostro genere e, quindi, più settoriali. I Viaggi di Madeleine sul palco sono un mix di energia pura, sprigionata dalla voglia di suonare, far conoscere la propria musica in un panorama troppo commerciale e che, per certi versi, penalizza i veri musicisti, ossia coloro che vogliono ancora esprimersi attraverso la loro creatività e che hanno qualcosa di vero da dire. Credo, comunque, che la nostra arma vincente sia stata la sintonia che ci ha contraddistinto a livello di band e che, come detto, è confluita nel disco prodotto. Da un nostro concerto c’è da aspettarsi molto a livello musicale, tecnico, insomma di energia che sappiamo trasmettere attraverso i nostri brani, ma anche a livello scenico in quanto performer dei nostri strumenti.

Recentemente uno dei tre membri fondatori, Giuseppe Cascarano, ha lasciato il progetto. Posso chiedervi come mai? È già pronto il sostituto?

F.C.: Preferisco non rispondere a questa domanda, posso dire solo che si è persa l’empatia con Giuseppe Cascarano e che al momento non c’è un suo sostituto. La fortuna dei moderni gruppi Progressive è quella di avere dei grandi esempi dal passato da cui assorbire le sonorità, e credo che una delle caratteristiche de I Viaggi di Madeleine è quella di avere saputo assorbire queste sonorità anni Settanta, riformulandole e dandoli un’impronta originale e diversificata nei contenuti. I nostri nuovi brani avranno un sound diverso dal primo album e poi contiamo di collaborare con musicisti nuovi che possano trovare empatia con noi attraverso i diversi stili musicali che si possono integrare nel Progressive.

Ultimissima novità in casa I Viaggi di Madeleine è il singolo “Un Nuovo Mondo”. Vi va di spendere qualche parola al riguardo? C’è, dunque, un nuovo album all’orizzonte?

G.Q.: Sì, “Un Nuovo Mondo” è un brano che già faceva parte del nostro repertorio, solo l’anno scorso abbiamo deciso di inciderlo e, quindi, pubblicarlo come singolo. Diciamo che è un brano rock melodico ma con delle inflessioni Rock Progressive che possono notarsi specialmente nella parte centrale, oltre che, ovviamente, nel testo che inneggia a un mondo diverso, in cui sperare, che poi è un po’ il leitmotiv del messaggio di “Madeleine”, icona della band. È, inoltre, l’ultimo brano che vede la partecipazione di Giuseppe Cascarano alla chitarra, oltre che al basso. “Un Nuovo Mondo” abbiamo deciso di pubblicarlo come singolo a sé, quindi non farà parte del nostro prossimo album sul quale siamo già al lavoro. Questa è una scelta legata anche e soprattutto al motivo per cui vogliamo dare un nuovo corso alla nostra storia, nel senso di pubblicare un nuovo disco con canzoni nuove che non fanno parte del precedente repertorio.

Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?

F.C.: È difficile rispondere a questa domanda! Mi verrebbe subito da dire una cosa, oggi per colpa del web, non si vendono più tanti dischi perché la gente ascolta e cerca la musica collegandosi, ad esempio, a YouTube, e quindi a cosa servono più il CD o il vinile? Non c’è più una cultura della ricerca musicale, siamo in un periodo “non musicale”, sono ormai poche le persone che possiedono un bell’impianto stereo e che si prendono il tempo per ascoltarsi un bel disco semplicemente stando seduti in poltrona chiacchierando con un amico. Certo il web, d’altra parte, ti dà la possibilità di arrivare in tutto il mondo e più velocemente. Se non fosse stato per il web non avremmo avuto molte possibilità di vendere il nostro CD anche all’estero. Ci sono i pro e i contro, ma secondo me sono più i contro.

G.Q.: Certamente i pro legati al mondo del web e dei social sono tanti. Innanzitutto la possibilità per un gruppo di poter raggiungere in tempo reale tante persone e, quindi, far conoscere la propria musica in ogni parte del mondo. La possibilità di interagire con esse che magari esprimono apprezzamenti sui tuoi lavori, inviando messaggi sia personalmente sia alla band tramite le nostre pagine Facebook. La possibilità di promuovere la propria musica e ottenere recensioni da parte di blog, siti, riviste on line del settore. Insomma, il web è senz’altro importante ma ha anche molti lati negativi, legati ad esempio alla possibilità di scaricare qualsiasi brano attraverso appositi programmi e, ciò, a detrimento del valore commerciale della musica e del musicista che vive del suo lavoro. Il web, a mio avviso, molte volte mistifica le reali capacità musicali di una band, nel senso che in rete magari potrai ascoltare un brano che ti lascia una buona impressione dal punto di vista della qualità tecnica dei musicisti che, però, ascoltati dal vivo deludono ogni aspettativa. Da questo punto di vista il web è senz’altro un mezzo di diffusione che porta facilmente alla ribalta band mediocri. In passato tutto ciò non esisteva per cui era la gavetta che faceva la differenza, la musica suonata dal vivo nei locali, nelle piazze. Ogni band aveva la sua storia e si portava dietro un bagaglio musicale senz’altro notevole rispetto alle attuali band.

E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo il cammino?

F.C.: I Viaggi di Madeleine sono partiti dall’idea di comporre musica per il puro piacere di suonare insieme. Nel nostro umile progetto, all’inizio, non c’era intenzione di fare un album, per questo, secondo me, siamo riusciti a dare una certa originalità al nostro lavoro. Poi, però, come si dice, “L’appetito vien mangiando”, e visto che a qualcuno i nostri brani erano piaciuti, ci siamo dati coraggio e abbiamo investito tempo e soldi, soprattutto per le registrazioni in studio e così, dopo cinque anni, la soddisfazione più grande è stata quella di avere tra le mani il nostro CD, poi tutto il resto è arrivato come conseguenza.

G.Q.: Diciamo che per una band che si autoproduce le difficoltà sono innumerevoli, specie quando non è conosciuta dal mercato, in quanto giovane e, come nel nostro caso, dedita a creare musica sperimentale, quindi di “nicchia”. Ovviamente nessuno si sognerebbe mai di finanziare i nostri lavori, poiché oggi la logica che domina nella musica è quella del guadagno. I produttori si orientano verso ciò che è gradito al mercato, che rientra nel mainstream musicale, non certamente verso una band Rock Progressive, a meno che tu non sia la PFM o altre grandi band. Noi, quindi, abbiamo prodotto di tasca nostra il nostro primo album, sostenendo costi non indifferenti che, in parte, comunque, siamo riusciti a recuperare con la vendita del CD e grazie anche al sostegno del nostro editore.

Il vostro album, dopo aver visto la luce con le vostre sole forze, è poi entrato a far parte delle famiglie Micio Poldo Edizioni Musicali (per la sua edizione) e G.T. Music Distribution (per la sua distribuzione). Come nascono e si sviluppano queste due collaborazioni?

F.C.: Be’, prima di tutto abbiamo cercato un distributore adatto per il nostro genere musicale ed essendo il nostro prodotto un’autoproduzione, ci hanno consigliato la Lizard e la G.T. Music Distribution. La scelta sulla G.T. Music è avvenuta con il primo contatto di Giuseppe Quarta con Vannuccio Zanella, poi, per una sorta di coincidenza, abbiamo scelto G.T. e adesso ti racconto un po’ com’è avvenuto. Proprio nel periodo della stampa dei CD, dovevo recarmi nella provincia di Padova per un incontro di “Antropocrazia”, una nuova idea di patto sociale per l’Italia, ed ho scoperto che Tombolo, la sede della G.T. Music, era praticamente a pochi chilometri da dove si teneva questo incontro, così ho pensato “Non può essere una coincidenza”. Prima di partire ho preso appuntamento con Vannuccio Zanella e Antonino Destra, dopodiché ci siamo incontrati nei pressi di Tombolo per conoscerci, parlare e discutere del contratto. Abbiamo optato subito per un contratto di distribuzione e, a pochi mesi di distanza, abbiamo firmato anche un contratto per cinque anni con la Micio Poldo Edizioni Musicali. Grazie a Vannuccio e Antonino siamo riusciti ad arrivare nei più remoti angoli del mondo, perché sono persone di esperienza e hanno diversi contatti, proprio lì dove il Rock Progressive è seguito, e questo ci ha giovato nella vendita all’estero del nostro album.

G.Q.: Una volta inciso il nostro disco, visto anche il riscontro positivo che nel frattempo stavano ottenendo i nostri brani ed anche i live che facevamo in giro, abbiamo deciso di affidarci, appunto, per quanto riguarda la distribuzione a G.T. Music Distribution e, in un secondo tempo, alla Micio Poldo Edizioni Musicali per l’edizione. Questa collaborazione nasce da un semplice messaggio che inviai a Vannuccio Zanella con cui gli chiesi, in nome del gruppo, di volere passare sotto etichetta discografica. Zanella accettò, dopo avere ascoltato il nostro disco, proponendoci le diverse soluzioni tra distribuzione e edizione. Come detto, in un primo momento abbiamo deciso per la distribuzione del CD e, solo dopo, anche per l’edizione, visto che avevamo già in mente di produrre un nuovo album, per cui ci serviva un editore. Zanella non l’abbiamo scelto così per caso, ma in quanto è molto noto nell’ambito dell’edizione e promozione di musica di qualità e, quindi, Prog Rock. È stato Francesco Carella che, successivamente al mio contatto, come ha raccontato, ha incontrato Zanella personalmente in quel di Padova.

Qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?

F.C.: Dico subito una cosa, le band più famose del Progressive Italiano, quelle che provengono dal passato e che ancora oggi suonano, dovrebbero aiutare le nuove band Progressive a emergere e, invece, per egoismo o per vanità, ognuno continua a coltivare il proprio orticello. I grandi del passato dovrebbero aiutare i giovani, perché così ci sarebbe una staffetta tra vecchio e giovane, com’è naturale che sia, ma purtroppo questo non succede e di questo ne sono molto dispiaciuto. Di nuove band Progressive c’è qualcosa che mi piace ma è poca roba rispetto ai gruppi del passato. Mi piacciono i F.E.M., Instant Curtain, ArcaMiri, Hora Prima, Phoenix Again, Opra Mediterranea. Mi piacciono alcuni brani di questi nuovi gruppi Progressive. C’è modo di collaborare? Molto difficile. In Puglia ci sono sei o sette band che fanno Progressive e prima che entrassimo in emergenza Covid, si pensava ad un festival Prog in Puglia, invitando magari qualche nome forte del Progressive Italiano. Purtroppo con questa situazione ti passa la voglia e le prospettive future si annebbiano. Ci sono pochissimi spazi per proporre la propria musica, specialmente perché c’è un problema di ascolto della musica inedita e specialmente della musica rock in generale.

G.Q.: Diciamo che la scena Progressiva Italiana attualmente vede diverse realtà musicali, alcune emergenti altre di vecchia data che continuano a portare avanti il loro nome. In realtà, però, occorre dire che c’è poca possibilità di collaborazioni con altre band poiché il Rock Progressive è “un mondo difficile”, nel senso che i gruppi che suonano questo tipo di musica hanno già delle difficoltà organizzative, anche economiche, per andare avanti e cercare di proporsi sulla scena musicale, per cui è evidente che il tempo per collaborare e soprattutto trovare delle collaborazioni che siano valide con altre band è veramente pochissimo; per non parlare poi del fatto che talvolta è anche la distanza geografica che ci separa a far da ostacolo. Se dovessimo preparare un live insieme ad un’altra band, per fare un esempio, piemontese, è logico che per provare occorrerebbe trasferirsi dove risiede l’altra band o viceversa. Come vedi non è facile. Il discorso collaborazioni, se può essere solo pensato con riguardo a band giovani come la nostra che cercano di andare avanti ogni giorno, non si pone proprio con le band più blasonate. È impensabile trovare collaborazioni con band importanti né queste danno spazio o possibilità di crescita a quelle giovani e più talentuose. Per quanto riguarda gli spazi per proporre musica dal vivo, intendiamoci, un certo tipo di musica, quella di “qualità”, occorre dire che sono veramente pochi. La maggior parte degli spazi dove si suona musica live sono gestiti da persone che farebbero suonare volentieri una cover band non una band di musica inedita, ancor meno Rock Progressive. Noi abbiamo suonato in piazze, locali i cui gestori (che sono molto rari) davano spazio a un certo tipo di musica, associazioni culturali. Il gestore di un locale vuole solo che tu porti gente al suo capezzale, per incrementare i guadagni della serata, per cui non si sognerebbe mai di far suonare un gruppo come il nostro. Come vedi è tutto molto difficile, lo era ai tempi anche per una super band come gli Area, figuriamoci per noi.

Esulando per un attimo dal mondo I Viaggi di Madeleine e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nel quotidiano?

F.C.: Fino a qualche tempo fa facevo teatro, ero impegnato presso la scuola d’improvvisazione teatrale a Lecce, poi ho lasciato e mi sono dato alla comicità, costruendo dei personaggi comici da portare in scena, ma mi son fermato per la pandemia. La mia passione per il teatro d’improvvisazione parte dalla ricerca di rapportare insieme musica e teatro attraverso l’improvvisazione. Tutto ciò nasce dalla scoperta del compositore americano John Cage, di cui ho approfondito il concetto di Happening. Nel 2012 ho fondato il gruppo “Toda Arte” che mira a far collaborare le diverse discipline artistiche attraverso la pratica dell’improvvisazione libera. Il progetto è andato avanti fino al 2018. Mi occupo anche di altre cose ma la domanda è rivolta alle attività artistiche, quindi mi fermo qui.

G.Q.: Personalmente collaboro con altre band e mi dedico allo studio del mio strumento, la batteria.

E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?

F.C.: Non si può fare una classifica vera e propria, perché, a seconda del mio stato d’animo, ascolto un determinato tipo di musica, però posso elencare i miei maggiori ascolti Progressive. Ai primi posti ci sono, i Genesis, i Soft Machine, il Volo, la PFM, Le Orme, gli ELP, gli Yes, i King Crimson, i Camel, i Pink Floyd, gli Area, il Banco del Mutuo Soccorso e poi tutti gli altri. Ascolto anche musica classica, musica etnica, musica celtica, musica Indiana, cantautorato italiano e rock in genere.

G.Q.: Le mie radici musicali sono il rock and roll, il blues, il rock blues, il rock psichedelico, l’hard rock. Ricordo che tutto il mio periodo adolescenziale è stato scandito dalla musica dei Deep Purple, Led Zeppelin, Hendrix, ecc. Successivamente sono passato al Rock Progressivo, approfondendo il discorso, al jazz-rock e alla fusion.

Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?

F.C.: Be’, io sono uno studioso di Antroposofia e Antropocrazia, quindi vi consiglierei di leggere “La Filosofia della Libertà” di Rudolf Steiner e “Verso L’Antropocrazia” di Nicolò Bellia. E poi vi consiglierei di leggere “Fanculo Pensiero” dello scrittore e artista Maksim Cristan, mio carissimo amico, che insieme a Daria Spada, la sua dolce metà, hanno fondato a Torino, l’evento culturale del Concertino dal Balconcino, da seguire.

G.Q.: Per quanto mi riguarda, dal punto di vista musicale, più che un artista in particolare, raccomanderei di approfondire tutto ciò che, bene o male, hanno rappresentato gli anni ’60, i movimenti culturali che hanno accompagnato la musica del tempo, il fatto che una nuova generazione stesse esprimendo i propri disagi e il desiderio di ribellione e libertà di fronte ad una società sempre più omologata. La musica, a quei tempi, ha accompagnato la rivoluzione sociale e culturale e, questo, storicamente è un dato non trascurabile se si vuole capire, ad esempio, tutto ciò che poi ha espresso il panorama musicale degli anni ‘70 e buona parte degli ‘80. In poche parole, non si può dissociare l’evoluzione storica da quella musicale, hanno viaggiato di pari passo, ma sino ad un certo punto. Oggi credo che in parte questo legame si sia spezzato.

Tornando al giorno d’oggi, personalmente e artisticamente, come avete affrontato e reagito al “periodo buio” della pandemia che abbiamo vissuto recentemente (e che, in parte, stiamo ancora vivendo)? Pensate che l’arte e la musica, in Italia e a livello globale, siano state solo “ferite di striscio” o abbiano subito un “colpo mortale”?

F.C.: Nei primi periodi della pandemia, essendo chiuso in casa, mi sono concentrato sulla composizione. Poi, man mano che ci son stati degli spiragli di riapertura, abbiamo ricominciato a provare e il 5 agosto 2021 abbiamo fatto l’unica esibizione dell’anno, durante il quale ho lavorato alla programmazione del video di “Sul limite dell’orizzonte” che è uscito a luglio 2021, e tutto questo è servito a tenere accesa la fiamma. Bisogna sempre tenere la fiamma accesa, altrimenti questo tempo oscuro ti risucchia e ti spegne definitivamente. Se la musica diviene una delle tue ragioni di vita, allora non ti puoi fermare, neanche durante un’Apocalisse! Penso che l’arte, quella vera, viva sempre, può subire dei brutti colpi ma poi rinasce, spunta fuori da qualche parte, perché la sua energia è di natura spirituale e quindi immortale.

G.Q.: Alla pandemia abbiamo reagito come tutti, nel senso che, durante il periodo di stop legato alla diffusione del virus, abbiamo sospeso la nostra attività musicale, sebbene comunque rimanendo sempre in stretto contatto per organizzarci al meglio e cercare di trovare nuove idee per le nostre successive composizioni. Difatti, successivamente al primo lockdown, con la prima riapertura, abbiamo sfruttato l’occasione per incidere “Sul limite dell’orizzonte”, con annesso video, e “Un nuovo Mondo”. A mio avviso ritengo che la musica e l’arte abbiano subito un duro colpo, certo non mortale, ma comunque non trascurabile. Gli effetti della pandemia hanno ovviamente inciso negativamente su tutti gli artisti che, nel loro piccolo, vivono della loro arte, meno su quelli che, godendo di notorietà e fama, hanno in qualche modo affrontato il tutto con maggiore serenità.

Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri anni di attività?

G.Q.: Ricordo con simpatia quando ci esibimmo in un festival a Bitritto in provincia di Bari. Iniziammo a suonare “Il Viaggio” e, dopo circa otto minuti di brano, il monitor che diffondeva alle mie spalle il suono degli altri strumenti, prese fuoco. Ci siamo fermati, ci siamo guardati e ci siamo fatti una bella risata. Quando il tutto venne ripristinato, ci diedero la possibilità di risuonarlo. È rimasto impresso questo episodio poiché evoca un po’ altri fatti simili accaduti a grandi band sul palco. Lo ricordiamo con simpatia.

E per chiudere: c’è qualche altra novità sul prossimo futuro de I Viaggi di Madeleine che vi è possibile anticipare?

F.C.: Siamo a lavoro per un nuovo album ma, purtroppo, nonostante la nostra motivazione, andiamo un po’ a rilento. Spero che il prossimo lavoro sia ricco di collaborazioni con altri artisti e spero che sia più colorato e frizzante. Ci indirizziamo verso un approfondimento di altri stili come il free jazz, la fusion, il blues e altro.

G.Q.: Andremo avanti con la nostra musica proponendo dei lavori originali e di qualità come abbiamo sempre fatto, cercando di suonare quanto più possibile dal vivo. Speriamo bene!

Grazie mille ragazzi!

F.C.: Grazie a te Donato e un saluto affettuoso a tutti coloro che leggeranno questa intervista.

G.Q.: Ciao Donato e grazie a te!

(Marzo, 2022)

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