Onora il padre e la madre

«Stai attento alla curva. Non stringere troppo o ci ammazzerai tutti».
«Lo so, papà».
«Non rispondere e guarda avanti» e lo colpì con un ceffone dietro la nuca facendolo sobbalzare.
Il trattore tremò un po’, poi riprese il cammino previsto.
«Hai visto, idiota? Stavi per buttarci giù!».
«Ma sei tu che mi hai fatto sbandare» rispose il ragazzo sottovoce e intimidito.
«Ti ho detto che non devi mai rispondere!» e gli assestò un nuovo schiaffo.
«Sì, papà».
La scena si ripeteva puntuale, ogni volta che i tre membri della famiglia Smacco si recavano verso i propri terreni agricoli situati in località Sarmento. Dopo aver lasciato il tracciato asfaltato della strada provinciale, il trattore Deleks 40 cavalli con rimorchio s’addentrava un tratturo che, dopo aver superato circa un chilometro di strada sterrata pianeggiante, si sviluppava costeggiando la parete scoscesa di un modesto rilievo. La tortuosa carreggiata permetteva il transito di un solo veicolo per volta e, se sul suo lato Nord era possibile osservare l’esteso rilievo verdeggiante puntellato di olivi, a Sud, invece, in alcuni punti, si apriva un ripido pendio di oltre quaranta metri privo di guardrail.
Alla guida del mezzo Danilo. Diciassette anni, da tre autista ufficiale del mezzo, il ragazzo, con il suo fisico esile e i muscoli lievemente accennati, l’espressione del volto spenta, la bocca piccola con gli angoli rivolti verso il basso, gli occhi scuri ed incavati, il capello non molto lungo e arruffato, soprattutto in quelle occasioni, era costantemente in tensione per la presenza della figura paterna alle spalle, seduta in posa autoritaria sulla sponda anteriore del rimorchio, a stretto contatto col conducente. Sua madre, invece, s’accomodava, a gambe incrociate, all’interno del veicolo trainato.
Annibale, cinquantadue anni, corpo vigoroso, viso rugoso e arcigno, zero emotività, era cresciuto solamente a “pane e campagna” e con la stessa dieta stava allevando suo figlio.
«Allora? Ti sbrighi a scaricare le reti? Tra poco il sole tramonta e noi non abbiamo ancora iniziato a raccogliere le olive».
«Sì, papà».
Nonostante le sette del mattino fossero passate solo da alcuni minuti, nella mente di Annibale il lavoro aveva già subito un grave ritardo.
Sistemate le reti sotto gli alberi e recuperati rastrelli, scale e casse, la raccolta poté iniziare.
Sino a mezzogiorno l’attività fu intensa, senza sosta e priva di comunicazioni, eccezion fatta per nuovi ordini impartiti da Annibale.
«Fa presto a mangiare, dobbiamo riprendere».
«Sì, papà».
L’ora di pranzo era giunta faticosamente. Seduti su tre casse capovolte, in mano un panino realizzato con due fette di pane inframezzate da prosciutto crudo e caciocavallo, tutto rigorosamente fatto in casa Smacco, i tre membri della famiglia diedero il via al silente pasto.
Annibale attaccò violentemente il suo panino e, dopo pochi morsi, la sua sosta poteva dirsi conclusa. Stava ancora masticando l’ultimo boccone ed era già in piedi.
La donna, Ada, un paio di anni più giovane del marito, minuta, viso tondeggiante e rubizzo, occhi chiari e capelli già ampiamente argentati, totalmente succube del marito, si alzò automaticamente. Tra le mani ancora più di metà del pasto.
«Ma quanto ti ci vuole per finire questo pranzo insulso?» domandò l’uomo al figlio colpendolo alla nuca con un buffetto ben assestato.
«Ho quasi finito, papà».
«E io dovrei aspettare ancora i tuoi comodi? Muoviti!».
«Sì, papà» e Danilo lasciò la parte rimanente sulla cassetta.
Poi, a testa bassa, tornò tra gli alberi, afferrò il rastrello e riprese la raccolta.

«Che hai combinato?».
«Io?».
«Il rimorchio si sta abbassando, idiota! Fermati!».
Il terzo giorno di raccolta delle olive era stato ultimato da poco e i tre erano sulla via di casa. Non mancava poi molto all’arrivo quando, inavvertitamente, una delle due ruote del rimorchio incappò in alcuni cocci di vetro.
«Vieni qua. Guarda cos’hai fatto?».
«Scusa, non li ho visti» si giustificò Danilo, chinando il capo dopo aver constatato il problema.
«Perché sei un idiota!» e lo colpì con forza sul viso.
Il ragazzo s’accartocciò difensivo mentre il padre proseguiva a percuoterlo con rabbia.
«Ora mi toccherà comprarne una nuova».
Lentamente, dopo aver preso il comando del mezzo, Annibale riuscì a raggiungere casa, mentre Danilo e Ada proseguirono a piedi.
«Tu ora stai qua e mi aspetti. Vado dal gommista e, per il tuo bene, spera ne abbia una disponibile».
«Sì, papà».
Trascorse quasi un’ora prima del suo ritorno. Danilo restò tutto il tempo nel cortile, in piedi, immobile, ad attenderlo.
«Vieni con me».
«Sì, papa».
«Sei stato fortunato» e, estratta la ruota dal bagagliaio della vettura, la gettò contro il ragazzo.
Danilo s’accorse in ritardo del gesto di suo padre e fu colpito in pieno petto.
«Ma sei proprio un idiota!».
«Scusa» e sfregò le mani sul costato cercando di alleviare il dolore.
«Sai quanto mi sei costato?».
«Non l’ho fatto a posta».
«Zitto, stai zitto» disse l’uomo stringendo rabbioso i pugni.
«Sì, papà».
Senza dire altro, Annibale sparì per alcuni istanti in uno dei due depositi che si aprivano sul lato destro del cortile. Quando tornò aveva in mano la cassetta degli attrezzi.
«Appena te lo dico, alza un po’ il rimorchio e tienilo fermo» disse al figlio, dopo essersi accostato al veicolo.
Il ragazzo annuì.
Individuata la chiave giusta, l’uomo iniziò a svitare l’unico bullone che teneva ancorato la ruota.
«Vai» ordinò pochi secondi dopo.
Danilo allora afferrò la sponda lunga sul lato dello pneumatico da sostituire e spinse verso l’alto quel tanto che bastava per estrarre la gomma.
«Papà, ti ci vuole ancora molto? È pesante» domandò sfiancato dopo aver atteso oltre un minuto senza che qualcosa accadesse.
«Sto crescendo un pappamolla» commentò Annibale che, mani sui fianchi, era alle sue spalle fermo ad osservarlo, testando la prestanza del figlio.
Il ragazzo strinse i denti e, con un ulteriore sforzo, diede uno strattone mentre suo padre s’avvicinava con lo pneumatico nuovo.
Ripeté l’azione pochi attimi dopo ma, questa volta, le braccia cedettero e il rimorchio si piegò sul lato. Annibale, con un salto all’indietro, riuscì ad evitare di essere travolto.
«Che diavolo fai?! Sei un idiota con le mani di cartapesta! Mi volevi ammazzare?» gli sbraitò contro, accompagnando le parole con una serie di schiaffi ben assestati sul viso.
«Scusa, mi è scivolato».
«Non rispondere!» e continuò a colpirlo finché non fu a terra.
L’uomo, sfogata la rabbia, lo fissò torvo in viso. Poi disse: «Rialzati e finiamo il lavoro».
«Sì, papà».
Entrarono in casa meno di un quarto d’ora dopo.
«Allora? Si mangia o no?».
«Sì, Annibale. È tutto pronto».
«E dai, su».
«E tu muoviti a lavarti se non vuoi trovare la cena fredda» ordinò la donna al figlio, dopo aver notato, senza emozione alcuna, il suo volto livido e il sangue che fuoriusciva da un taglio sul sopracciglio.
«Sì, mamma» e, a testa bassa, Danilo prese la via del bagno.

«Dove sta?».
«Chi?».
«Tuo figlio».
«Credo nel recinto dei maiali».
«Chiamalo e fallo venire qui. Subito».
Anticipato dal lezzo che impregnava sino al cuore le fibre dei suoi indumenti malmessi, pochi istanti dopo, Danilo entrò in casa seguendo sua madre.
«Una cosa ti avevo ordinato ieri sera, dar da mangiare alla chioccia con i pulcini appena nati, e non l’hai fatto! E ora sono tutti morti!» gli urlò addosso violento.
«Ieri? Non mi hai dato nessun ordine ieri» rispose il ragazzo, pentendosi subito dell’azione.
«Zitto! Stai zitto!» e lo colpì reiteratamente in viso con foga.
La madre osservò inerme la scena, mentre il ragazzo veniva scaraventato sul pavimento.
«Un figlio, uno solo me ne hai dato ed è pure un incapace» sputò perfido contro la donna, senza guardarla, proseguendo a pestare la sua vittima.
Terminata la sua opera, lasciò il figlio a terra e uscì.
Danilo si rialzò a fatica, senza ricevere il minimo aiuto da Ada. A passo lento, il ragazzo raggiunse il bagno, aprì una delle ante del mobiletto posto sotto il lavandino, estrasse dell’acqua ossigenata e del cotone e curò le lesioni sul volto.

«Papà, posso…».
«No».
«Ma non ho finito la frase».
«Papà, posso. No, non puoi. È sufficiente. E ora lasciami finire di affilare queste cesoie».
Senza aggiungere altro, Danilo lasciò il deposito, tornò in cortile e si sedette a terra, con la schiena appoggiata al grande gelso che svettava solitario al centro dell’area.
Era appena rientrato a casa, dopo aver acquistato nuove scorte per gli animali dal rivenditore di mangimi, l’unico momento di libertà concessa. Quel giorno la raccolta delle olive aveva subito una pausa poiché Annibale era in attesa del veterinario per alcuni controlli sulle mucche.
In attesa del proprio turno, il ragazzo aveva ascoltato curioso il dialogo tra due agricoltori che conosceva solo di vista ma che abitavano non distante da casa sua. Parlavano di una gita fuoriporta che la parrocchia del borgo vicino stava organizzando per i ragazzi.
Danilo, come suo padre, conosceva solo la campagna. I modi violenti della figura paterna, accettati consapevolmente anche da quella materna, il lavoro della terra quale unico pensiero giornaliero, l’assenza di emozioni, erano state le caratteristiche principali del modus operandi di Danilo senior ed erano passate nelle mani di Annibale quale eredità di cui andare, a suo modo, fieri, da tramandare alle generazioni successive. E Annibale stava seguendo le orme di suo padre alla perfezione. In un certo senso aveva già superato il maestro.
Però, ogni tanto, tornavano alla mente quelle due occasioni in cui si era sentito libero, quelle due gite organizzate dalla parrocchia cui aveva preso parte. L’ultima volta era stata poco meno di cinque anni prima. Era stata l’oppressiva insistenza del cognato a costringere Annibale a concedere al figlio, a due anni di distanza l’una dall’altra, quelle due giornate. Poi, all’ennesimo tentativo di “strappargli” il ragazzo, era nato un violento alterco e i rapporti con il cognato erano venuti meno.
E in quella rivendita, ascoltando per caso quel dialogo, era tornato in Danilo nuovamente a galla quel pensiero: libertà.
Sognò ancora per un po’, poi tornò con i piedi per terra ed entrò in casa.
«Mamma, posso chiederti una cosa?».
Ada fece un impercettibile cenno con la testa senza smettere di tagliare le carote.
«Hai chiesto a tuo padre?» domandò lei dopo aver ascoltato la richiesta del figlio, senza mai alzare lo sguardo dal tagliere.
«Ho provato ma ha detto di no, anche se non mi ha lasciato terminare la frase» ammise amaramente.
«E allora fai quello che dice lui».

«Dov’è?».
«Cosa cerchi?».
«Tuo figlio. Dov’è?».
«È uscito poco fa per dar da mangiare ai conigli».
«Fuori non c’è».
Ada non disse altro osservando il marito, appena rientrato a casa dopo aver trascorso oltre tre ore al frantoio in attesa di poter macinare le olive raccolte nei giorni precedenti, spostarsi furioso verso la stanza del ragazzo.
«Dove sei?» urlò dopo aver constatato la sua assenza anche nella misera cameretta.
«Forse so dov’è» disse piatta la donna sbattendo nuovamente nella figura furibonda di suo marito che, intanto, aveva girato a vuoto per casa.
Annibale la fissò interrogativa, tenendo faticosamente a freno un colpo che era già pronto in rampa di lancio.
«Alla gita con la parrocchia» proseguì Ada.
«Cosa vai blaterando?» domandò confuso l’uomo.
E lei gli raccontò del breve dialogo avuto il giorno precedente con il figlio.
«Ma non so se si sarebbe tenuta oggi o un altro giorno».
Terminato di ascoltare le parole della moglie, Annibale uscì rabbiosamente di casa, salì in macchina e s’allontanò.
«Hai visto mio figlio?».
Dopo aver percorso per qualche minuto le strade sterrate che circondavano la sua abitazione, diretto alla parrocchia del borgo, Annibale incrociò uno dei vari contadini che condivideva con lui quelle lande. S’accostò a lui, abbassò il finestrino e chiese.
«No» fu la risposta secca dell’uomo.
Senza aggiungere altro riprese il cammino.
«Don Paolo, hai visto mio figlio?».
«Annibale, quanti anni sono che non ti vedo in chiesa?».
«Forse dal battesimo».
«Simpatico».
Aveva raggiunto l’edificio di culto in poco tempo. Sul piazzale antistante la chiesa, il prete era impegnato in una conversazione con alcune donne. Annibale l’aveva interrotta senza cortesia.
«Ma non dovrebbe esserci una gita fuori porta?» domandò ancora l’uomo.
«Sì, sabato prossimo. Vuoi partecipare?».
«No» e andò via.
Il sacerdote lo guardò entrare in macchina scuotendo la testa. Poi riprese la sua chiacchierata.
«Mi sembra di sì».
Fu il quarto uomo a cui chiese informazioni, incontrato nel continuo peregrinare tra le campagne della zona, a dargli una risposta utile.
«E dove?».
«Al fiume».
Senza ringraziare, Annibale ripartì in tutta fretta lasciando l’uomo a combattere contro il polverone alzato dalla sua vettura.
Raggiunto l’unico punto in tutta l’area in cui era agevole raggiungere la riva del fiume, in realtà un torrente non di rado in secca, l’uomo parcheggiò e, lasciata l’auto, superò a passo svelto lo stretto passaggio circondato da canneti che conduceva alla ridotta striscia di ciottoli che affiancava il letto del canale.
«Volevi scappare di casa?».
Lo individuò molto presto. Danilo se ne stava seduto per terra, a poco meno di cento metri dal sentiero appena percorso dalla figura paterna, a fissare il lentissimo scorrere dell’acqua.
La voce di suo padre lo fece trasalire, ridestandolo da una sorta di condizione estatica. Si voltò di scatto e, incrociata la sua figura, con la lunga ombra creata dal sole alle spalle che, anche metaforicamente, lo oscurava completamente, inizio a tremare.
«Allora? Cosa ci fai qui?».
«Niente, papà».
«E quello zaino?».
Il ragazzo non rispose.
Senza aggiungere altro, Annibale lo afferrò con forza dalla maglietta e lo tirò su. Appena in piedi, Danilo fu raggiunto da una pioggia di colpi violenti al volto.
Il ragazzo terminò a terra e, più volte, fu riportato in posizione eretta da suo padre, solo per essere colpito nuovamente.
Col volto violaceo e completamente tumefatto, alcuni rigagnoli sanguinolenti che principiavano dagli archi sopraccigliari e dalle narici, il ragazzo, ancora una volta steso sui ciottoli in attesa di essere strattonato di nuovo, alzò lo sguardo intercettando gli occhi di suo padre.
L’uomo, gelido, fermò la sua mano e disse solamente: «Alzati. A casa avrai il resto».

«Stai attento alla curva. Non stringere troppo o ci ammazzerai tutti».
«Lo so, papà».
«Non rispondere e guarda avanti» e lo colpì con un ceffone dietro la nuca facendolo sobbalzare.
Una nuova mattina destinata alla raccolta delle olive era iniziata con il solito rituale.
Dopo il colpo, il trattore, come sempre, tremò un po’, poi riprese il cammino previsto.
«Hai visto, idiota? Stavi per buttarci giù!».
«Ma sei tu che mi hai fatto sbandare» rispose, al solito, il ragazzo sottovoce e intimidito.
«Ti ho detto che non devi mai rispondere!» e gli assestò un nuovo schiaffo.
Danilo, questa volta, si voltò. Fissò suo padre e disse: «No, papà».
Poi, d’improvviso, sterzò violentemente. Il trattore, con a bordo la famiglia Smacco, precipitò nel vuoto per oltre quaranta metri schiantandosi al suolo.

(pubblicato nell’antologia “Giallofestival 2020” – Damster Edizioni, 2020)

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