Cerchio d’Oro, Il – Il Fuoco sotto la Cenere

IL CERCHIO D’ORO

Il Fuoco sotto la Cenere (2017)

Black Widow Records

La fulgida rinascita de Il Cerchio d’Oro avvenuta nel nuovo millennio si arricchisce di un nuovo prezioso capitolo: a quattro anni di distanza da “Dedalo e Icaro”, ecco giungere, ancora per Black Widow Records, Il Fuoco sotto la Cenere.

Novità importanti col recente passato riguardano la formazione: accanto agli “inossidabili” Franco Piccolini (tastiere), Gino Terribile (batteria, percussioni, voce), Giuseppe Terribile (basso, chitarra, voce) e Piuccio Pradal (chitarra acustica, voce), troviamo oggi Simone Piccolini (tastiere, coro), figlio di Franco, e Massimo Spica (chitarre).

E anche con Il Fuoco sotto la Cenere, Il Cerchio d’Oro conferma le proprie qualità. La complessità “progressiva” (genuina e viscerale) e la melodia, il rock duro e il divertimento, le stratificazioni vocali e la cura dei suoni: tutto è ben congegnato e privo di sbavature, tanti precisi tasselli che si incastrano alla perfezione in un concept album che trova nell’immagine del “fuoco che cova sotto la cenere”, sia esso fisico o metaforico, il filo conduttore. Un’immagine che ha una sua lettura anche nell’artwork “decadente” e descrittivo realizzato da Stefano Scagni.

E come accaduto con “Dedalo e Icaro”, anche in Il Fuoco sotto la Cenere troviamo degli ospiti d’eccezione: Pino Ballarini (voce in Per sempre qui), Giorgio Usai (organo, voce in Il rock e l’inferno) e Paolo Siani (batteria in Il rock e l’inferno).

Viviamo in un mondo che brucia sotto la cenere e, frequentemente, il fuoco esce fuori con violenza. Anche per noi umani è la stessa cosa.

Il fuoco sotto la cenere. L’avvio dell’album è di quelli importanti, un brano articolato, ricco di sfumature e “cambi d’abito”, il tutto ben strutturato. Tra fiamme crepitanti emerge l’intenso intreccio chitarra/piano, mentre, a piccoli passi, “boati” distorti si fanno strada aprendo all’assolo sorretto dal vispo passo dei fratelli Terribile. Ulteriori cambi cromatici introducono il morbido tappeto wilsoniano e il canto graffiato di Pradal. Interessanti le stratificazioni vocali newtrollsiane (ma anche un pizzico alla Garybaldi Gleemen) che lo “sorreggono”. La deflagrazione metal di poco oltre metà percorso muta nuovamente il quadro cedendo poi il passo all’esuberante tastiera di Piccolini e al rapido duo ritmico. E poi ancora ripresa del canto corale, frammenti seventies e tanto altro. Ottimo inizio che ci narra il percorso intimo nella mente di una persona che, come succede a quasi tutti noi, si deve confrontare con le disavventure e le problematiche quotidiane e alla lunga non riesce più a trattenere la rabbia, la propria forza interiore e l’inquietudine che covavano nel proprio animo ([…] Ci sono giorni in cui senti dentro di te / la rabbia che sale su / e una fiamma che fa paura anche se / sta sotto la cenere. / Prima o poi si sa rogo diventerà / e non sarà più governabile / non sarai più tu a decidere).

Molto vivace e fresco l’avvio di Thomas, con Gino e Giuseppe a suonare la carica e Spica e Piccolini a seguirli a ruota. L’acustica mussidiana di Pradal introduce poi un segmento cantato un po’ alla PFM. Il brano prende il volo in seguito grazie ad andature composite in cui il collettivo mostra il meglio di sé lasciando emergere anche il canto infervorato alla Ugo Ponticello degli Spettri o Alvaro Fella dei Jumbo dello stesso Pradal e nuovi giochi vocali corali, prima di “assestarsi” lievemente sul finire. E nelle “immagini” del grande incendio che colpì Londra nel 1666, Il Cerchio d’Oro ci lascia intendere che l’incendio distrugge ma alla fine permette di intraprendere nuovi percorsi e nuova vita. Il fuoco è reale, la cenere anche, ma da questa cenere, rinasce una possibilità… quasi un’araba fenice.

Le Orme rivivono nella straordinaria intro di Per sempre qui, a seguire il percorso si acquieta regolarizzandosi, puntando tutto sull’intensità vocale di Pino Ballarini. Tornano anche i riferimenti ai Garybaldi (di “Storie di un’altra città”) e alle Orme iniziali. Molto luminosa la sezione finale guidata dalle tastiere e poi condita dalle chitarre. Un ipotetico personaggio che ha passato buona parte della sua vita lontano dalla sua terra, dai suoi affetti, in cambio di prosperità e benessere; ma alla fine, il desiderio di tornare alle sue origini, il suo “fuoco sotto la cenere” ha prevalso su tutto il resto e l’ha spinto a ritornare. Se vogliamo, una sorta di moderno “Ma se ghe pensu” meno drammatico, ma intenso!

Altro episodio notevole è I due poli (Il bipolarismo è quasi un passaggio obbligato nei nostri racconti. Chi più di un bipolare ha due aspetti in perenne conflitto tra di loro? Un lato apparente e l’altro è “sotto la cenere” e puntualmente si trasforma in “fuoco” scambiandosi il ruolo. Un percorso destinato ad essere irrisolto ed infinito!). I primi minuti sono davvero dolci e poetici grazie al morbido ordito di chitarra e piano. Poi il canto su doppio registro che segue è davvero suggestivo (Guardarmi curioso allo specchio / cercando su questa faccia / del vecchio sorriso una traccia. / A volte però vedo un uomo / è strano perché m’assomiglia / ha un’aria che sa di famiglia / Davvero difficile adesso / capire chi è il vero / l’autentico, il solo me stesso / risolvere questo mistero […]). É un piano nocenziano ad imprimere una svolta rapida al brano, una sfida subito raccolta da ritmiche, chitarre e tastiere, prima di tornare in territori in cui le stratificazioni vocali e le andature compassate la fanno da padrone.

Storia di una dipendenza (dall’alcool), il tentativo di allontanarsi da questo fuoco che purtroppo, affiora di continuo e sembra sconfiggere il protagonista, pervaso dalla malinconia e dalla consapevolezza di non riuscire a spegnerlo. Episodio superficialmente più “rilassato” Il fuoco nel bicchiere. Il passo misurato e il “tappeto” meno articolato del solito lasciano emergere il canto sofferto di Pradal. Sul finire una corposa chitarra va a “scontrarsi” con i “virili” batteria e tastiere.

Il rock e l’inferno. Come indicato dal titolo, l’anima puramente rock de Il Cerchio d’Oro emerge totalmente nel capitolo conclusivo de Il fuoco sotto la cenere. Sul gran lavoro svolto dalle ritmiche prendono posto complesse evoluzioni chitarristiche e tastieristiche, oltre ai notevoli volteggi vocali di Pradal, tutto arricchito dagli apporti degli ospiti di lusso Giorgio Usai e Paolo Siani. Nei vari cambi umorali che contraddistinguono i cinque minuti e mezzo del brano ciò che si “tocca con mano” è la passione e la gioia di suonare che esplode nelle vene del sestetto. Il rock è associato nella mente di qualcuno a qualcosa di diabolico, infernale, ma è soprattutto una comunicazione, il trasmettere uno stato d’animo. Anche noi del Cerchio, seppure non più giovani, abbiamo dentro questa fiamma e, come nel caso di questo brano, spunta fuori sotto le sembianze di un rock incalzante che ricorda i vecchi tempi.

In coda Il Cerchio d’Oro pone la propria versione di un capolavoro di Ivan Graziani: Fuoco sulla collina. Fondamentalmente la band savonese decide di non stravolgere l’opera di Graziani, infatti la poetica del cantautore emerge immutata nel canto e nelle soluzioni sonore (in cui, ovviamente, si sente il tocco personale del Cerchio).

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