Disequazione – Progressiva desolazione urbana

DISEQUAZIONE

Progressiva desolazione urbana (2016)

Andromeda Relix

Un percorso lungo, molto lungo, quello intrapreso dai Disequazione, un percorso che ha inizio nel 1980, quando Giorgio Radi (basso) e Vinicio Marcelli (chitarra) decidono di mettere su una band che suoni “qualcosa di diverso”“Progressive inglese magari?”. Tanti anni, tanti avvicendamenti, anche una collaborazione con Aldo Tagliapietra, ma la possibilità di realizzare un disco mai… almeno sino al 2016, quando finalmente riescono a pubblicare Progressiva desolazione urbana. Nell’album, accanto al duo storico, troviamo Dario Degrassi (tastiere, già nei Disequazione nel periodo 1981-83), Fiodor Cicogna (batteria) e Luca Sparagna (voce).

L’amore per il progressive rock sbocciato in quei primi anni ’80 è rimasto immutato ed è sprigionato dalle note di Progressiva desolazione urbana, un lavoro in cui la sezione ritmica funge da vero e proprio propulsore, imponendo differenziate velocità su cui chitarra e tastiere ricamano cangianti ed interessanti trame, dipingendo un quadro che abbraccia sia il prog delle origini sia quello attuale.

E la progressiva desolazione urbana rivive nell’immagine di copertina realizzata da Marcelli, in quella distesa di grigi palazzi anonimi e spenti, e nelle parole di Eugenio Montale che accompagnano l’artwork (Le innaturali concentrazioni metropolitane non colmano alcun vuoto, anzi lo accentuano. L’uomo che vive in gabbie di cemento, in affollatissime arnie, in asfittiche caserme è un uomo condannato alla solitudine).

Una doppia anima convive in Inutile, brano che apre Progressiva Desolazione Urbana. I primi minuti sono decisamente più vivi, con chitarre aggressive, ritmiche vivaci e tastiere nervose. Anche la voce seventies di Sparagna si adatta ai suoni. Poi un intermezzo mediterraneo e carezzevole introduce la seconda anima in cui, a tratti, il canto dello stesso Sparagna si muove tra Alan Sorrenti e Aldo Tagliapietra e la struttura musicale si fa più lenta, avvolgente e particolareggiata.

La seconda peculiarità emersa nel capitolo d’apertura caratterizza anche la prima parte de Il vaso di Pandora in cui sono gli orditi avviluppanti di Marcelli ad emergere tra i tappeti eterei di Degrassi e i lievi rinforzi di batteria e basso. Una “apparente” accelerata, in seguito, introduce Sparagna. Poi il brano si fa frizzante, Marcelli si scatena, seguito a ruota (e poi superato) da Cicogna e, soprattutto, da Radi, con qualche rimando ai King Crimson degli anni ’80. Infine anche Degrassi si aggiunge al terzetto, prima della “frenata” finale.

Molto fresca e guizzante È giorno ormai, un brano che nei suoni e in alcune soluzioni ricorda Le Orme, mentre nei segmenti cantati la coppia Sparagna-Marcelli si affaccia in territori Lingalad. Da segnalare, lungo tutto il percorso, il gran lavoro al basso di Radi: una macchina instancabile.

L’interessante costruzione che apre Nel giardino del piccolo Gik, dai suoni tipicamente settantiani, richiama piacevolmente alcune soluzioni dei Jumbo. Poi il brano s’inasprisce leggermente introducendo una nota più corposa mentre, a seguire, sono le distorsioni “sporche” di Marcelli e le nette ritmiche di Radi e Cicogna a segnare il passo, in un saliscendi condiviso con i frammenti cantati e acustici, prima di chiudere il cerchio riprendendo i suoni iniziali.

L’album si chiude con la suite strumentale tripartita Progressiva desolazione urbana. Di notevole spessore Parte 1 in cui, a dettare i tempi, in tutti i sensi, troviamo il tarantolato basso di Radi (a tratti ricorda Elio Volpini de L’Uovo di Colombo) e le composite pelli di Cicogna. Sui loro continui cambi umorali si trova a proprio agio la mutevole chitarra di Marcelli che spazia in lungo e largo tra “isterismi”, fluidi andamenti, poetica gilmouriana e tanto altro ancora. Soprattutto nel secondo segmento maggior spazio è concesso alle policrome tastiere di Degrassi, uno spazio ottimamente occupato. Parte 2 è una brevissima scheggia che esce dal seminato. Suoni elettronici ed alienanti alla Kraftwerk utili ad introdurre la lunga Parte 3. I primi minuti ci conducono attraverso paesaggi alla Camel (vedi “The Snow Goose”), tra brevi marce, tastiere cullanti, basso che pulsa in lontananza e chitarre dalle vispe folate alternate a delicati arpeggi (quasi sicuramente nelle intenzioni della band la suddivisione delle ultime due parti della suite doveva essere differente, come riportato dai minutaggi presenti nelle note del disco, e quindi di Parte 2 fanno parte anche i primi cinque minuti circa di Parte 3). La seconda tranche prende il largo spinto dai battiti del duo Radi/Cicogna e dalla grinta di Marcelli, prima del finale in cui torna l’indole cameliana arricchita da elementi purpleiani (vedi il tocco alla John Lord di Degrassi), rapide accelerazioni e altri interessanti tasselli che certificano le qualità dei Disequazione.

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