Machines Dream – Black Science

MACHINES DREAM

Black Science (2017)

Progressive Gears

Il 12 giugno 2017 la band canadese dei Machines Dream ha pubblicato il suo terzo album in studio: Black Science. L’ormai collaudato quintetto formato da Craig West (voce, basso), Rob Coleman (chitarra), Brian Holmes (piano, synth), Jake Rendell (chitarra acustica, seconda voce) e Ken Coulter (batteria), anche nel nuovo lavoro tiene fede al proprio sound scuro ed energico puntando molto sui testi che danno vita ad un concept che lascia spazio a profonde ed amare riflessioni. Dagli orrori delle guerre mondiali all’“isolamento umano” della società contemporanea, i Machines Dream indagano il lato oscuro dell’umanità e della tecnologia invitandoci ad aprire gli occhi per cercare di costruire un futuro migliore.

A collaborare alla riuscita dell’opera troviamo Jakub Olejnik (voce in Airfield on Sunwick (For Wojtek)), Jenny Gauvreau (seconda voce in Heavy Water), Chris Belsito (seconda voce in Airfield on Sunwick (For Wojtek)) e Josh Norling (sax in Black Science e Noise to Signal).

L’artwork, aperto dalla candida innocenza di una bambina sola tra macerie, confusione e un corvo nero che la sorveglia, e che al suo interno descrive ottimamente per immagini le tematiche dell’album, è opera di Monique Holmes.

Il trittico di brani che dà il via all’album mette in scena tre idee (la guerra, la prostituzione politica e l’industria militare) che mostrano come la società dei primi decenni del novecento abbia contribuito nel rendere il fascismo razionale: l’ultimo momento della Prima Guerra Mondiale, la miseria e la disperazione economica nella Repubblica di Weimar e la costante fame di profitti di guerra.

Suoni elettronico-industrial aprono Black Science, con la breve Armistice Day che emana forti sentori Nine Inch Nails sfociando poi in Weimar. Dopo una strizzatina d’occhio al prog metal dalle venature melodiche, il brano passa nelle mani della magnetica voce di West. Ad avvolgere il canto un flusso floydiano molto descrittivo e poetico. A seguire l’atmosfera muta di netto con il “botta e riposta” tra quella che è a tutti gli effetti una frizzante spinetta e delle massicce distorsioni, prima del volteggio solitario di Coleman e il ritorno di “Waters & Co.”. Buon finale. Welcome, ladies and gents. To the wind of prostitution / Welcome, baby, to your new constitutions / A gentleman does what a gentleman wants / and gentleman wants in you / A gentleman does what a gentleman should / and a gentlemen are making the rules / Welcome children and saints, to a new kind of pollution / Welcome, beggars, to your new contribution […].

Il nero e affascinante avvio di The Cannons Cry si muove tra gli episodi più scuri dei Depeche Mode, grazie anche alla gran voce di West. Tra due “ali” così caratterizzate trova spazio anche un frangente alla Porcupine Tree, prima che la scena venga catalizzata dal sample di Eisenhower tratto dal suo discorso d’addio, che torna anche oltre, mentre il quintetto “lotta” con i suoni.

Puro magnetismo che si muove tra Pink Floyd e Steven Wilson occupa i primi minuti di Heavy Water, dove troviamo l’ottimo lavoro svolto dall’intenso piano di Holmes e il solito canto ammaliante di West. Un pizzico di verve lo aggiunge Coulter prima della deflagrazione di Coleman e l’intensa stratificazione corale cui partecipa anche l’ospite Jenny Gauvreau. Il riuscito schema si ripete, con alcune piccole variazioni, prima del veemente e denso finale. Davvero un episodio notevole. Il brano nasce dalla visione di un documentario sul lancio della prima bomba atomica su Hiroshima e prova ad immagine gli stati d’animo vissuti dagli uomini a bordo dell’Enola Gay.

Airfield on Sunwick (For Wojtek). Ballata musicalmente malinconica, che vive sull’interessante tessitura creata da piano, chitarra acustica e ritmiche, con la “staffetta vocale” West-Jakub Olejnik (uno degli ospiti, vocalist dei polacchi Maze of Sound) che la “indossa” perfettamente, e che s’impenna nella parte centrale grazie allo slancio sintetico di Holmes, lambendo per alcuni istanti anche territori PFM. Il brano è dedicato a Wojtek, un orso bruno siriano adottato dai soldati della 22ª Compagnia di rifornimento dell’artiglieria nel II Corpo d’armata polacco durante la Seconda Guerra Mondiale.

Torna l’atmosfera floydiana con Black Science, il suo impianto a prima vista può sembrare semplice ma una serie di piccoli dettagli concorrono nel plasmare un percorso non rapido ma interessante, tutto condito dalla solita voce affascinante di West. L’orecchiabile refrain alla Grus Paridae fa della title track un brano dalla facile presa. Anche il sax suonato dall’ospite Josh Norling, sul finire, si adatta al clima di fondo. E nelle parole di West scorre la summa concettuale dell’intero album: uno sguardo al ventesimo secolo e alle sue nefandezze che risaltano decisamente di più rispetto alle cose da ricordare (serial killers, egoismo, economia neoliberale, culto del denaro, distruzione dell’ambiente, apartheid, guerre).

Ricompare l’indole nera dei Machine Dreams con UXB, brano che nei suoni, atmosfere e soluzioni sonore richiama a tratti le solide intelaiature di band quali Karnivool o Mother of Millions, ma anche le opere di Trent Reznor e soci, eccezion fatta per l’apertura di synth e basso, prima della “botta rock” di Coleman e della coda classicheggiante. Il testo, in quest’occasione, è stato scritto da Eugene Rogers e si rifà ai contrasti politico-sociali e ai morti provocati dalle bombe in Irlanda del Nord (Without cause / Without god / Without pause / Without choice).

La registrazione di un vecchio cinegiornale con la voce del giornalista Edward Murrow apre Noise to Signal, il capitolo finale di Black Science. Poi largo spazio a passaggi cupi, claustrofobici, con le distorsioni compatte e i colpi netti e continui di Coulter e West ad aprire la strada ad atmosfere evocative alla Annot Rhül di “Leviathan”. A metà percorso tutto muta, il piano di Holmes s’impossessa della scena, condividendola con il mellifluo canto di West, in un clima sereno, quasi solare, che acquista nel tempo vivacità e cromatismi più scuri con l’ingresso di batteria, chitarra e sax. Il testo del brano finale guarda al presente “finto e solitario”, ad internet, alla sovraesposizione dei media, alle fake news e a tutto ciò che ha portato l’uomo contemporaneo al distacco dalla realtà e dai rapporti umani diretti, con una speranza per il futuro: “Shut down the noise, become the signal”.

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