Old Rock City Orchestra – Back to Earth

OLD ROCK CITY ORCHESTRA

Back to Earth (2015)

M.P. & Records

Tre anni dopo il positivo esordio di “Once Upon a Time”, gli Old Rock City Orchestra tornano in “gioco” ancor più consapevoli delle proprie capacità e più “maturi” con il nuovo album Back to Earth.

Confermando la “pista inglese” per le liriche, le ricercate combinazioni sonore e la formazione a quattro con Cinzia Catalucci (voce, tastiere), Raffaele Spanetta (chitarra, voce), Giacomo Cocchiara (basso, cori) e Michele “Mike” Capriolo (batteria, percussioni), questa volta la band orvietana dà “voce e corpo” ad un concept album.

Questo nuovo lavoro è un viaggio introspettivo, al contempo reale e surreale, alla (ri)scoperta del proprio io originario e del Mondo-Natura del quale l’individuo è parte (e non dominatore) e nel quale vive spesso inconsapevolmente. Tale viaggio è reso “concreto” dalla narrazione della storia di un personaggio senza nome il quale, dopo aver “smarrito” se stesso, intraprende un percorso volto alla riscoperta di sé e del mondo che lo circonda. In questo percorso il protagonista è idealmente una pedina costretta a muoversi passivamente su di una scacchiera, rappresentazione della “gabbia” desolante in cui vive. Col trascorrere del tempo (e dei brani) l’uomo vede crescere la propria consapevolezza, la propria forza interiore, riscoprendo il proprio io e il contatto col mondo esterno, sino a superare il “mondo a scacchi” e varcare il cancello che lo riporta verso la terra (Back to Earth), entrando in una sorta di limbo dal quale può vedere il suo pianeta ritrovato, la Terra, senza poterlo raggiungere. Da qui inizierà il suo nuovo viaggio…

Tassello che arricchisce qualitativamente l’opera è lo stimolante artwork di Lucy Ziniac che racchiude nelle sue immagini il concept. È, ovviamente, la scacchiera il filo conduttore visivo del libretto: sulle due facciate principali ritroviamo il percorso buio e tortuoso del protagonista e l’illusorio “lieto fine”, all’interno, invece, tra i vari richiami bianco/neri, anche la band fa la sua apparizione nel “cammino scacchistico” facendosi ritrarre sulla Terrazza Mascagni di Livorno da Eleonora Mocetti.

Sono dieci i brani di Back to Earth, composizioni spesso brevi, dirette. Gli Old Rock City Orchestra arrivano volentieri dritti al “punto” evitando inutili orpelli, mixando sapientemente suoni e parole, creando paesaggi sonori che denotano una “cultura musicale” di tutto rispetto. E quali migliori parole se non quelle dei creatori per descrivere al meglio l’“apparato concettuale” dei vari capitoli dell’album?

When you pick an apple from the treeLa caduta dell’uomo, colpevole di desiderare la conoscenza del bene e del male (una tentazione quella del desiderio in sé connaturata) e la sua vulnerabilità, che coincide con la possibilità della morte, rendono la stessa esistenza umana fragile e bisognosa di un equilibrio di senso, o quantomeno di significato.

Con il brano d’apertura gli Old Rock City Orchestra ci accolgono nella loro “magione” invitandoci a prendere posto su di una comoda poltrona. Intanto, la “oscillante” chitarra di Spanetta, le “disciplinate” ritmiche di Cocchiara e Capriolo e i morbidi vocalizzi della Catalucci ci intrattengono coccolandoci con un morbido loop. E a metà brano il tocco bacaloviano dell’ospite Laurence Cocchiara al violino aggiunge ulteriore qualità alla composizione.

Feelin’ alive è il brano che riassume i vissuti dell’intero racconto, è il vero preambolo che descrive il ricordo del viaggio del protagonista, il percorso mentale che lo porterà alla riscoperta della vita.

Lineare, pulita e senza fronzoli. È il dialogo voce-chitarra a tenere le redini del brano, mentre batteria e basso fungono da “semplici accompagnatori”, con la stessa Catalucci che interviene episodicamente con le sue tastiere.

Rain on a sunny dayTutto accade in una giornata di sole, dove all’improvviso irrompe una metaforica tempesta che destabilizza l’equilibrio già precario dell’esistenza del nostro personaggio.

Molto intrigante questo breve brano. L’alternanza di segmenti magnetici e “misteriosi” con altri rapidi, acidi e pienamente sixties/seventies (un po’ alla Balletto di Bronzo di “Sirio 2222”) è una scelta vincente e convincente.

Mr ShadowDa quel momento in poi solo “Mr Shadow”, il signore oscuro, l’oblio, accompagnerà la vita dell’uomo senza tratti, sprofondato in una dimensione di totale disperazione e senso di morte.

Continua la pista acida e retrò grazie al lungo virtuosismo di Raffaele Spanetta (forte l’assonanza col tocco di “Bambi” Fossati) e al clima che sa di Garybaldi con voce femminile graffiante e in “simbiosi” col collega.

MelissaIspirata da un fatto reale di cronaca, è la “novella inserita” del disco, il racconto di una scomparsa prematura ad opera dell’insensatezza umana, che ribadisce il clima di totale disorientamento e non senso nel quale vive ormai il protagonista.

Il canto struggente di Spanetta emerge tra il suo delicato arpeggio e i tappeti incorporei della Catalucci. Struttura e pathos ricordano i brani più intensi di Beatles o New Trolls. Molto commovente l’intero quadro arricchito dalle parole: Melissa / As every morning going to school, you were walking / Melissa / Full of life, believing in tomorrow, darling / Melissa / You, so young to leave us forever, my darling / Melissa / A cruel blast was waiting for you at school / Melissa / And a noisy fire burnt your sweet heart […] / Now you’re flying like an angel without any reason […] / You just dreamt a better future for you, dreaming / Melissa / There’s price to be paid, but why you? Lovely / Melissa / You were only going to school, so why you? […]. A interrompere la poesia per qualche attimo ci pensa uno stacco rapido e spigoloso, un po’ alla Banco.

Lady Viper è la “donna vipera”, perché in grado di avvelenare e stordire la moralità dell’essere umano. La canzone è incentrata sul rapporto tra il tentare e l’essere tentati. Cedere o meno alla tentazione? Rinunciare anche solo per un instante alla moralità o preservare l’assoluto rigore? E se fosse necessaria una mediazione tra i due estremi? È proprio nel gioco diabolico della tentazione che forse risiede il segreto della stabilità dinamica.

Ancora un tuffo a cavallo tra ’60 e ’70 con la frizzante Lady Viper. Le vispe ritmiche di Cocchiara e Capriolo supportano i gradevoli giochi di chitarra e tastiere e il doppio canto del duo Catalucci/Spanetta, dipingendo un quadro che si muove tra Procol Harum, The Who e The Velvet Underground.

Proprio quando sembrava ormai sopraggiungere la fine, un moto vitale interiore spinge l’uomo senza tratti a intraprendere un viaggio nei più reconditi angoli della sua psiche. Giorno dopo giorno, notte dopo notte, egli riscopre la propria natura di essere umano, un individuo sì razionale, ma al tempo stesso bisognoso di ripristinare un contatto tra sé e la propria connaturata istintività. Dopo aver preso in considerazione il fatto che “la virtù” possa risiedere “al centro”, un centro non statico, bensì continuamente dinamico, e che il percorso da compiere è inevitabilmente mortale, ma al tempo stesso valevole di essere vissuto, è la volta della riscoperta dell’amore come via del senso, come faro guida del proprio esistere. Amore inteso come Eros, come linfa vitale, come relazione tra l’io e l’alterità, certamente non eterna in termini di temporalità, ma infinita dal punto di vista della percezione; uno stato emozionale a volte non facile da riconoscere e apprezzare, ma indispensabile per un’esistenza attiva. Questo è il tema dei brani My love e Tonight, tomorrow and forever.

La ballad “Southern rock” alla Lynyrd Skynyrd My love è affidata alla voce di Spanetta. Belle le prove di chitarra e piano (che si tiene nelle retrovie) i quali costruiscono un interessante ordito. Batteria e basso come sempre precisi. L’ultimo minuto si tinge di stimolante psichedelia.

Più energica e “ondeggiante” Tonight, tomorrow and forever col suo flusso sonoro compatto e articolato: quattro strumenti, un’unica strada hard. E sui suoni vintage di chitarra e tastiera, e i vibranti batteria e basso, si fa strada l’ispirata voce di Cinzia Catalucci.

Why life rappresenta invece la riflessione sulla fugacità della vita in sé, mancante di senso se vissuta in una solitudine priva di socialità e condivisione. Obbligato a vivere e quindi condannato alla morte, il protagonista non si interroga più sul perché del viaggio. La sua attenzione ricade ora sul come affrontare questo viaggio. Il dualismo tra bene e male, tra razionalità e istinto, sono sempre vivi in lui, ma il fine ultimo di questo viaggio introspettivo e allo stesso tempo concreto e surreale non sta nell’eliminazione dei due opposti, ma in un equilibrio dinamico tra i due poli.

Brano sognante ed avvolgente, giocato soprattutto sull’intenso intreccio vocale creato da Catalucci e Spanetta, su cui s’incastra alla perfezione l’arpeggio, vagamente alla Diaframma, sempre di Spanetta, le tastiere diluite della stessa Catalucci e le ritmiche sussurrate della coppia Cocchiara-Capriolo. Il tutto è arricchito da un’affascinante testo che si apre con i versi Life is like a rose and like a butterlfy / When she learns to fly it’s time to die.

Back to EarthLa consapevolezza di una necessaria complementarietà tra passione e ragione per una buona riuscita del percorso e l’importanza del contesto naturale e sociale, il mondo circostante originario che da sempre ospita l’uomo e la sua esistenza, sono le due conquiste che trascinano fuori dall’oblio il protagonista del ritorno alla Terra. E così, abbandonato il suo status di alieno e riconquistato sé stesso, l’uomo senza tratti è pronto a far ritorno sul quel pianeta che rappresenta “il mondo della vita”.

La sfaccettata title track chiude l’album. Dopo un breve avvio che odora di jazz-funk, ecco riemergere la vena acida e “datata” degli Old Rock City Orchestra, arricchita dal solo alla B.B.King di Spanetta. Il tutto è funzionale all’ingresso sulla scena della Catalucci e il suo doppio “tocco” celestiale (voce-tastiera): molto suggestivo questo lungo frammento in cui una voce alla Bjork incontra un tappeto dalle tinte space.

Un album che conferma le qualità di una band che sa destreggiarsi tra i generi rendendo attuali atmosfere care al passato.

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