Paradiso a Basso Prezzo – Paradiso a Basso Prezzo

PARADISO A BASSO PREZZO

Paradiso a Basso Prezzo (1992)

Mellow Records

Anche la Valle d’Aosta ha inserito la sua tessera nell’immenso puzzle del progressivo italiano anni ’70, purtroppo non grazie ad un disco vero, ma ad una registrazione live ripescata nel 1992 dalla maestra del settore qual è la Mellow Records (non li ringrazieremo mai abbastanza per questi incredibili “recuperi”). Stiamo parlando dei Paradiso a Basso Prezzo.

Nati nel 1971, la formazione, dopo alcuni cambi, si assesta l’anno seguente con Ugo Wuillermin (piano, chitarra acustica, flauto, voce), Paolo Manfrin (organo, Moog, piano, voce), Maurizio Baldassarri (chitarra elettrica ed acustica, voce), Sergio Cardellina (basso) e Guido Gressani (batteria).

Molto attivi dal punto di vista live (partecipano tra gli altri anche al Festival d’Avanguardia e Nuove Tendenze di Napoli del 1973), compongono molto presto i brani che sarebbero dovuti entrare a far parte all’album “Pika Don Hiroshima” il quale, però, non vedrà mai la luce.

Questi brani, proposti nei live, vengono fortunatamente registrati durante il concerto tenutosi presso l’Arc-en-ciel di Saint Vincent il 26 dicembre del 1973 e sono questi i brani recuperati e pubblicati dalla Mellow nel 1992 nell’album Paradiso a Basso Prezzo.

Ovviamente, trattandosi di una registrazione live di quarant’anni fa, la qualità audio è molto bassa ma si notano comunque delle buone capacità tecniche da parte dei musicisti. Influenze anglosassoni (ma non solo) con importanti sfumature jazz, notevole utilizzo di tastiere e flauto (oltre alle voci newtrollsiane) e dilatazioni sonore dovute al contesto live che molto spesso “costringe” la band a non limitarsi al “compitino” del brano versione studio (che in questo caso “fisicamente” non esiste ma concettualmente si), sono alcune delle caratteristiche del lavoro.

Voci provenienti dal pubblico, colpi di tosse, applausi, prove di strumenti, presentazione dei brani e fischi emessi dalle casse aiutano ad immergersi totalmente nell’atmosfera live dei primi anni ’70.

Una difficoltà è emersa nell’analisi del disco cioè quella nel definire esattamente a chi appartenga la voce nei vari brani vista la presenza di tre “addetti alla voce” nei credits dell’album senza alcuna specifica ulteriore.

Preludio e catastrofe apre l’album. I primi minuti krautrock sono caratterizzati da cinguettii, “rumori” e suoni space. Col passare dei secondi l’atmosfera si fa cupa e le sonorità si dilatano. Ai quattro minuti è la batteria di Gressani a dare la scossa e il brano si anima. Subentra anche Manfrin con il suo organo (oltre a basso e chitarra) e il clima diventa un po’ metamorfosiano. Più avanti entrano in scena anche le voci, una via di mezzo tra New Trolls più oscuri e Latte e Miele. La seconda parte del brano è più ariosa. Interessanti le accelerate di basso, organo e batteria.

Ai raggi del sole morente. Per oltre metà della sua lunghezza il brano si muove su sonorità quasi eteree, con il solo piano che accompagna la voce narrante di Gianni Bruna (voce della band sino al 1972 e ospite di questa serata). Sporadicamente abbiamo sprazzi corali. Il flauto di Wuillermin poi ci mette del suo nel rendere più onirica l’atmosfera (ben coadiuvato dalla voce, le quali urla sembrano sempre più vicine a quelle di Nico Di Palo miste a Ian Gillian).  Verso i nove minuti entra in scena l’intera band senza mai spingere più di tanto. Nel finale torna il piano iniziale, affiancato da organo, voce narrante e cori. Il testo è adattato sul componimento poetico Spleen LXXVI di Baudelaire, tratto da I Fiori del male.

Altro episodio interessante e multiforme di questo album è Danza di zingara con i suoi diciassette minuti. La band lascia libero spazio alla fantasia in questo brano dal sentore jam con atmosfere jazz. La batteria di Gressani, molto precisa e costante, crea un’ottima base per le evoluzioni organistiche di Manfrin e, soprattutto, del basso indemoniato di Cardellina (ricorda molto da vicino Annibale Vanetti dei Cincinnato ne “Il ribelle ubriaco”). Ai sette minuti partecipa alla festa anche Baldassarri, con il suo assolo alla Radius/Hendrix. Dopo una breve sosta psichedelica il brano riprende il volo. Uno dei momenti più alti dell’album. Gli ultimi minuti s’incupiscono, il brano si tinge leggermente di dark alla Jacula/Antonius Rex.

Suggestivo l’avvio di Spleen LXXVII con l’intreccio di spinetta o clavicembalo (non riportata nei credits) e flauto. Poi quest’ultimo, con batteria, basso, chitarra e organo, ravviva l’aria con un bel segmento jazzato. Il brano cambia ancora poco avanti diventando sognante con la voce che riesce ad accentuare quest’atmosfera. Sul finale batteria, piano ed organo riportano brio alla composizione. Il titolo richiama ancora Baudelaire e il testo è ispirato al componimento citato.

Caino nel tempo. L’ultimo brano ha inizialmente una struttura più melodica rispetto ai brani precedenti. Nel primo minuto un dolce piano supporta la voce che sembra sempre più Nico Di Palo. A seguire la melodia muta con l’ingresso di batteria e chitarra distorta. L’urlo ai due minuti è esplicitamente il cantante dei New Trolls. Dopo un solo lento, Baldassarri prende quota insieme ad organo, basso e batteria. Un tocco orientale e gli ultimi “squilli” dei musicisti chiudono l’album.

È un peccato non essere riusciti a dare sostanza (ossia registrare un disco) a questi brani. Idee interessanti e capacità tecniche c’erano tutte.

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