Ping Pong – About Time

PING PONG

About Time (1971)

Emiliana Records

 

About Time è il primo album realizzato da Mauro Falzoni (chitarra, voce), Celso Valli (tastiere), Paride Sforza (sax, clarino), Alan Taylor (basso, voce) e Vittorio Volpe (batteria) con il nuovo nome dato alla band: Ping Pong (precedentemente erano i The Eden Rocs).

Visto l’anno di pubblicazione, 1971, di certo non possiamo pretendere di essere al cospetto di una pietra miliare del progressivo italiano, ma alcuni spunti vanno apprezzati senza ombra di dubbio.

L’anima del disco, non del tutto uniforme, affonda le sue radici soprattutto nel mondo anglosassone, avvicinandosi a tratti, tra gli altri, alle opere dei Caravan o, un po’ meno, a Camel e Jethro Tull (vedi, per esempio la title track), con una forte componente jazz, che troveremo di frequente in diverse band italiane, ed elementi sixties sempre provenienti da oltremanica. Accanto a questi spiccano anche dei momenti più dolci come nei brani Someway e Diamond Seller. Va evidenziata, inoltre, la notevole bravura dei musicisti, su tutti fiati e ritmiche, e la qualità del prodotto.

Tutti i brani sono cantati in inglese, probabilmente una scelta figlia della volontà di avvicinarsi ancor di più ai propri modelli di riferimento, così come l’assenza di informazioni all’interno del disco è stata forse voluta intenzionalmente dall’etichetta per conferire quel minimo di mistero, spacciando la band per anglosassone, e creare maggiore appeal sul pubblico (purtroppo non funzionò e l’album ebbe pochissimo successo).

L’avvio del brano d’apertura, About Time, può esser stato creato senza problemi dalla penna di Ian Anderson e soci, con un bel lavoro di flauto e poi il cantato molto british. Grande lo stacco di flauto e chitarra appena la voce, con un urlo, esce di scena. Poi il brano muta, diventa più dolce. Cambio che trae in inganno perché, poco dopo, il flauto riprende in mano la scena creando di nuovo i presupposti per il ritorno della voce (il tutto è una riproposizione del segmento iniziale). Degno di nota il finale.

Partenza molto morbida per You and Me, con giochi di voce che richiamano alla mente quelli dei Concerto Grosso dei New Trolls, e sottofondo che funge da supporto quasi “invisibile”. A seguire breve stacco più vivace (che ritorna anche nel finale) effettuato soprattutto dal clarino e dalle percussioni, poi ritorna la dolcezza.

Dark Morning Skies. Gran esempio di jazz affidato a piano e batteria, in seguito anche flauto, prima che Falzoni inizi il suo canto. Anche in questo caso i richiami d’oltremanica sono netti. Non poteva mancare il momento in cui il flauto emerge sugli altri, poi sostituito dal sax.

Un riff rockeggiante apre Daft. L’atmosfera resta tale per circa metà brano, poi, anche qui, la mano del flauto si fa sentire. Con lui sulla scena, il brano cambia completamente registro, prima di tornare al punto di partenza.

Confusion. Nuovo frammento jazz. Ritmiche e piano aprono le danze, poi, dal cielo, piove l’immancabile flauto. La base jazzata funge anche da sottofondo per la voce. Questa volta, finalmente, il segmento centrale è affidato ad un altro strumento: il piano.

Drinking. Ancora un brano molto anglosassone. Intorno al primo minuto l’atmosfera diventa quasi psichedelica/sognante (quasi perché la batteria ha un volume troppo alto e ci “tiene svegli”). Poi solo di chitarra, prima della ripresa collettiva (voce inclusa).

Una soave chitarra acustica e la voce molto morbida danno il via a Someway. A metà brano la svolta prog, come sempre capitanata dal flauto. La pace torna nel finale.

Banshee. Avvio leggero, questa volta affidato a flauto e ritmiche, quasi una prosecuzione del brano precedente. La svolta movimentata avviene prima, dopo i trenta secondi. La voce qui diventa più scura e graffiante. Più avanti si ripresenta anche il sax: sarà protagonista dell’ultimo minuto del brano. Ancora una bella prova tendenzialmente british.

Partenza che richiama molto Someway per Diamond Seller, in questo caso, però, la dolcezza pervade l’intero brano. Una sorta di mix tra un brano dei Pink Floyd e uno dei Bealtes.

Con Funny Wife torniamo alla vivacità jazzistica grazie alle ritmiche e al sax preso in prestito da un brano di Fred Buscaglione. La batteria avrà il suo momento di gloria dopo il primo giro di lancette con un bel solo, lungo ben due minuti, prima del rientro sulla scena dei colleghi precedenti.

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