Saint-Preux – Le piano sous la mer

SAINT-PREUX

Le piano sous la mer (1972)

Héloïse Disques

 

Compositore di fama internazionale, il francese Saint-Preux realizza questa sua seconda opera discografica nel 1972. Enfant prodige, a sei anni ha composto il suo primo brano per organo, raggiunge la fama nel 1969 dopo la partecipazione al festival di Sopot in Polonia e l’uscita del primo album “Concerto pour une voix” che ha raggiunto posizioni importanti nelle classifiche dei dischi venduti in molte parti del mondo.

La sua seconda fatica, Le piano sous la mer, come dicevamo, è datata 1972. Vertigini, ubriachezze, fascino degli amari abissi: il sogno selvaggio, il sogno folle di una musica “Una”, che è tutta la musica presente in un regno incontaminato dei fondali marini…. Così è presentato l’album sul sito ufficiale dell’artista, definito anche racconto musicale, composto dallo stesso nel Golfo di Girolata in Corsica.

Sempre sul suo sito l’artista analizza tutti i brani, legandoli al racconto di questo viaggio sottomarino, con alcuni richiami che sembrano una sorta di rivisitazione di alcuni passi dell’Odissea omerica (su tutti il richiamo delle sirene: L’appel de la sirène).

L’imbarcazione scivola dolcemente guidata da Eolo, con il suo equipaggio di soli strumenti musicali. L’uomo è in esilio. È un equipaggio definito “pop” quello che governa la barca a vela, disturbato nel viaggio da accordi dissonanti (non a caso c’è una netta differenza di stile tra Le départ e Le voyage). Poi il canto maliardo della sirena (L’appel de la sirène) cattura l’equipaggio che si ritrova nel pieno della tempesta (un delirio sonoro ottimamente espresso in La tempête). La barca si rovescia e affonda (Le naufrage). L’equipaggio si ritrova sdraiato su di un letto di sabbia rosa, nel silenzio un piano canta e l’intero equipaggio si unisce alla sua voce, mentre le alghe ballano e le conchiglie sbadigliano (Le piano sous la mer). Il loro primo concerto viene eseguito per anemoni e stelle marine, col pensiero alla terra e al cielo che non vedranno più (Le concert sous-marin). I naufraghi, in questo caso definiti “pop” e “classica”, decidono di proseguire insieme il loro viaggio attraverso il blu immenso (La rencontre). A poco a poco, però, uno strano malessere prende il sopravvento, e il solo violino cosciente conduce al buio dell’abisso (L’ivresse des profondeurs)… l’amaro abisso (Le gouffre amer)… e questo è l’abisso (L’abîme).

Alla registrazione dell’album, oltre a Saint-Preux (piano), hanno preso parte Patrice Mondon (primo violino), Michel Guyot (secondo violino), Alain Dubois (contralto), André Rolland (violoncello), Henry Woitkowiak (contrabbasso), Thomas Prevost (flauto), Claude Engel (chitarra, chitarrista dei Magma), Antoine Rubio (chitarra-basso), Pierre-Alain Dahan (batteria), Christian Padovan (voce), Alain Dubois (realizzatore della partitura di musica concreta). L’orchestra è stata diretta dallo stesso di Saint-Preux.

Il risultato può essere definito come prog sinfonico, ma con l’elemento classico, di eccelso livello, che la fa molto spesso da padrona, e una fugace sortita nella sperimentazione in La tempêteSaint-Preux riesce a fondere musica classica e rock con una facilità estrema. Netti i richiami ai New Trolls, con sprazzi di vero rock anni ’70.

Le départ. Il viaggio comincia su di una spiaggia e, dopo lo sciabordare delle onde, entrano in scena degli archi commoventi, vera e propria musica classica. Uno stato di pace interiore indescrivibile.

Tutt’altra storia con Le voyage. Ad accoglierci è una chitarra funky. Del puro e sano rock ci accompagna poi per l’intera durata del brano, mettendo in evidenza le doti chitarristiche di Engel, in versione hendrixiana.

Con L’appel de la sirène siamo di nuovo in un contesto marino, questa volta circondati da gabbiani, prima che il dolce canto della sirena (Christian Padovan) catturi la nostra attenzione.

La tempête. Atmosfera tetra, con un synth che sembra beffeggiare l’ascoltatore e un crescendo di rumori e suoni scuri. Saint-Preux esce un po’ dal seminato dell’intero album giocando con una sorta di improvvisazione/sperimentazione. Poi gli archi riportano la calma.

Con Le naufrage ci troviamo nuovamente di fronte ad un’intensa esecuzione di archi. Davvero toccante. Niente da invidiare ai “Concerto Grosso” dei New Trolls.

Le piano sous la mer (partie 1). Il piano, suonato dallo stesso Saint-Preux, prosegue quanto di emozionante realizzato nel brano precedente. Poi entrano anche il flauto e la batteria e, a seguire, tornano pure gli archi. È un crescendo. Ad esso partecipano, infine, anche la voce e la chitarra.

Le piano sous la mer (partie 2). La seconda parte di Le piano sous la mer si apre con i vocalizzi già presenti nella precedente. Affascinante il duetto voce-chitarra. Sul filo della dolcezza si piazza anche il piano di metà brano. Poi è un susseguirsi di richiami a quanto già eseguito nelle due parti del brano. Nell’ultimo minuto Engel con la sua chitarra si prende la licenza di “strafare”.

Ne Le concert sous-marin troviamo ancora gli archi (questa volta supportati dalle ritmiche) e ancora un’atmosfera carica. A seguire subentrano gli altri colleghi e il brano prende la piega dei due precedenti.

Gran bella fuga di piano in avvio per La rencontre, poi chitarra e batteria danno un tocco rockeggiante al brano, ma è solo un passaggio. Il piano, con gli archi, riprende in mano la situazione. È un brano ciclico con varie riprese, il tutto, ancora una volta, emotivamente denso.

L’ivresse des profondeurs. Per la prima volta nell’album l’ouverture è concessa all’organo. Non cambia il clima di fondo. Dolci i vocalizzi che sottolineano i passaggi dello stesso strumento a canne.

Ascoltando per la prima volta l’avvio di Le gouffre amer la domanda che molti si farebbero è questa: da quale dei tre “Concerto Grosso” dei New Trolls è tratta? Gli archi, ma anche la struttura dell’intero brano, sono decisamente di stampo newtrollsiano.

L’abîme. Dopo tante partenze solenni e brani toccanti, si passa al puro rock. Le musiche create da Saint-Preux sono anche questo. Le chitarre di Engel e Rubio sono davvero seventies, un po’ Led Zeppelin.

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