Verganti – Atlas

VERGANTI

Atlas (2017)

Autoproduzione

2017: a due anni dalla loro formazione, i Verganti mettono la propria firma nella grande discografia del Prog italiano con Atlas. Adolfo Pacchioni (chitarre e cori), Gianni Vazzana (tastiere e cori), Gigi Morello (batteria), Giulia Cardia (voce solista e cori), Paolo Bellardi (basso) e Savino De Palo (voce solista), prendendo spunto dalla lettura del libro “L’enigma di Atlantide”, opera in cui si fa cenno a teorie secondo le quali i fondatori della Civiltà scomparsa sarebbero stati di fatto una colonia di alieni provenienti dallo Spazio, e “rinforzandolo” con la lettura di un secondo libro, “La Bibbia non parla di Dio” di Mauro Biglino, opera che afferma che il testo sacro non è un libro religioso o spirituale ma un libro “storico”, danno vita, attraverso una fortunata campagna di crowdfunding, al concept album Atlas.

I Verganti tracciano nel loro concept album “Atlas”, un percorso che svela, con parole, suoni ed emozioni, la strada che l’uomo ha percorso e che deve portare ad una nuova consapevolezza: la coscienza di chi siamo, al di fuori delle favole consolatorie che sono state elaborate per tenere l’umanità chiusa nei recinti che sono rassicuranti ma anche stringenti, perché ci impediscono una vera, piena e concreta realizzazione di noi stessi. I Verganti “vergano” cioè “bacchettano” le persone con gli occhi troppo chiusi, in modo che vedano la verità davanti ai loro occhi: un obiettivo davvero importante (Mauro Biglino).

Con i piedi ben saldi nel mondo analogico e seventies, i Verganti musicalmente si proiettano nel nuovo millennio seguendo le orme di band quali Il Cerchio d’Oro o Nuova Era puntando, ovviamente, molto sui testi che conducono l’ascoltatore, attraverso i dieci capitoli dell’opera, laddove ancora l’uomo e la donna, come li conosciamo oggi, non esistevano.

L’arrivoAnno neurale settimo primo. / Sono nato nel vuoto e tornerò ad esso. / Devo riempire il vuoto prima di esserne risucchiato. / Porto con me particelle neurali da riattivare. / Cerco forme di vita capienti. / Viaggio nel tempo senza spazio. / Possiedo la luce per illuminare il buio. / Creo calore per trasformare il freddo. / Muovo l’acqua per nutrire la vita. / Attivo l’aria per purificare il respiro. / Posso fecondare la terra. / Anno neurale settimo terzo. / Percepisco una stella di calore. / Sento un pianeta d’aria e d’acqua. / Il pianeta è pregno di terra. / Mi fermo. Partenza evocativa per Atlas con la voce dell’ospite Gianni Gaude “narratore celeste” avviluppato da tappeti eterei. Poi l’approdo su un terreno selvaggio con l’ottimo connubio tra ritmiche martellanti, versi animali e chitarra floydiana. Un arpeggio morbido introduce il canto dal timbro caratteristico e molto settantiano di De Palo, prima della deflagrazione collettiva che vive di mutazioni umorali nei minuti a seguire, assumendo un clima teatrale, sinfonico (con barlumi di Latte e Miele), cedendo anche spazio all’assolo drammatico di Pacchioni, prima di una ripresa luminosa sul finale.

Un caleidoscopio di emozioni quello offerto da La creazione. Lo struggente piano di Vazzana, dal tocco nocenziano, che apre il brano, e che torna più volte anche in compagnia di De Palo, è notevole (Lilith signora della vita estrai il mio DNA. / Fai con cura senza fretta l’ominide è pronto di già […]). A “riempire” gli spazi lasciati vuoti dallo stesso ci pensano frammenti densi, atmosferici, ricchi di particolari, a tratti vorticosi, che ricordano Museo Rosenbach e Alphataurus. Il frangente finale, poetico e commovente, che ci presenta anche la voce calda di Giulia Cardia, emana un forte sentore newtrollsiano (Eccolo si muove, ci guarda, è smarrito. / Sorride, non ricorda chi era, ora è pronto per ricominciare […]).

Avvio schizofrenico, crimsoniano, per Eva ([…] oggi è un altro giorno, oggi nasce la metà [..]), poi le dita di Vazzana prendono il sopravvento con i suoi leggiadri tocchi avvolti da suoni seventies, tutto utile nel creare il tappeto sonoro per il canto sofferto di De Palo. E, dopo una nuova scheggia schizoide (e un carezzevole frammento cantato), giunge il momento del ritorno della Cardia, con il brano che assume una fisionomia quasi lineare e spedita, prima del tocco “rinascimentale” di Vazzana che ci introduce in atmosfere cupe, alla Goblin. Il tenero rientro in gioco di De Palo apre l’ultima parte dell’episodio, chiusa da un flusso corposo e scandinavo.

Nei primi minuti di Diverso emerge tutto l’amore per i New Trolls, nel canto appassionato e nella struttura romantica i Verganti mostrano una delle loro peculiarità. Poi il flauto dell’ospite Spartaco Nagliero lancia il seme di una nuova atmosfera, più sostanziosa e articolata, che giunge poco dopo (ottimo il lavoro di chitarra e tastiere) e che si fa evocativa nelle battute finali, prima della tesa marcia conclusiva. Sulla via di Atlas una mano non mano la fermò. / Senza dire una parola l’essere di luce lei guardò. / Un brivido freddo la scosse dentro. / Nei suoi occhi lui leggeva tutto il suo sgomento. / Non aver paura io non ti farò del male / anche se il mio aspetto per te non è reale […] / Ti chiedo solo un’ora del tuo amore. / Lo so non sono un uomo, sono un Dio, e tu hai paura perché sono diverso […] / La notte fu testimone di un atto d’amore diverso.

Grandi protagonisti del primo frammento de La rivolta dell’umano sono l’organo (dal tocco alla Walter Pini della Nuova Era) e le ritmiche: rapidità ed “elasticità” al servizio della band. Poi un velo di tristezza ammanta il lento fluire guidato dal solito intenso canto di De Palo, prima di un finale in cui torna l’elemento sinfonico alla Latte e MieleBasta con gli indugi, dobbiamo reagire noi. / Fine dei sotterfugi, il vero Dio siamo noi […] / Ma la tua rivolta ad un padre che non ti ama lascerà in storia un segno, una lama. / Prometeo sarai nei secoli dei secoli, ribelle fra gli umani contro un Dio che non brami.

La ballad malinconica Il distacco è confezionata con una veste delicata che avvolge il canto ammaliante di Giulia Cardia il quale s’intreccia bene con De Palo ([…] Non aver paura mai di un mondo selvaggio che ti farà dubitar di noi ma ogni istante io sarò con te […]). Anche l’assolo di Pacchioni ricalca lo stato d’animo del brano, prima che i tasti un po’ tesi di Vazzana s’inseriscano nel quadro mutandone i “colori”, deviando verso il Banco (ma solo per un breve frangente).

Si calcano territori cosmici con l’avvio de L’imbarco, con la voce di De Palo che fluttua tra suoni quasi impalpabili. Ci pensa poi il trio Pacchioni/Morelli/Bellardi ad imprimere la svolta, con De Palo che regge egregiamente la sfida. È un crescendo aggressivo cui partecipa attivamente anche Vazzana, prima di ripiombare nella quiete e successivamente risalire la china. […] Non ti fermare neanche un minuto / ogni colore è un ricordo sbiadito / prendi soltanto l’anello di giada, porta se vuoi la tua corona. / Lilith signora del gene di Adam non tralasciare l’elica nuova / prendi la vita col corpo di Eva / nuovi confini da superare.

Avviluppanti i primi momenti de La traversata con le stratificazioni create da Vazzana infrante solo in parte dal tocco di Pacchioni. Poi il cammino si fa spigoloso, ma solo in parte (in seguito si quieta) con la voce espressiva alla Ugo Ponticiello che anticipa la virata hard alla Spettri magistralmente guidata dall’organo indemoniato dello stesso Vazzana, “assecondato” ottimamente dalle frenetiche ritmiche a da Pacchioni. Giorni e giorni, acqua e sale, cielo grigio, vento, inferno […] / Forse ci siamo. / Questa terra di verde e cielo blu non è un sogno ma un mondo nuovo e tu, / con queste acque limpide e dolci, tu potrai ricominciare. / Ominidi, animali, scimmie ancestrali.

Densa e magnetica la partenza di Nuovo inizio, poi il tragitto si normalizza con il “tira e molla” tra De Palo e Cardia ([…] Donna dimmi tu chi sei, parlaci se vuoi nella lingua del tuo re. / Occhi profondi colore del mare mostravan l’anima colma d’amore. / Ominide tu non parli ma percepisci i pensieri dell’anima che sa. / Anime non vi farò del male, io vengo da lontano per cresce con voi). Negli ultimi minuti basso, batteria, chitarra e tastiere aggiungono un pizzico di verve al tutto.

Il tempo. Nel brano di chiusura aleggia ancora a tratti il “fantasma” dei New Trolls. Il canto passionale di De Palo è il protagonista della prima parte del percorso, poi il synth di Vazzana, un po’ alla Premoli, si erge ad attore principale nei minuti finali, prima del commiato di De Palo: Il tempo andrà e il fato non lo può fermare. / Oscurità ma poi luce e calore.

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