Intervista a Barbara Rubin

Un caro benvenuto alla cantautrice e polistrumentista Barbara Rubin.

B.R.: Grazie Donato! È un grande piacere poter parlare un po’ con te e i tuoi lettori.

Iniziamo la nostra chiacchierata dalle origini. Quali sono i tuoi primissimi passi nel mondo della musica e i primi “amori”? E quando arriva il “richiamo” del Conservatorio?

B.R.: Non è difficile per me rispondere a questa domanda perché, ogni volta che mi soffermo a ricordare della mia infanzia, trovo una colonna sonora ad accompagnare quei ricordi. Sono nata negli anni ’70 e ho vissuto l’adolescenza negli ’80, un ventennio in cui la musica era una presenza molto forte nella vita di tutti. Non vengo da una famiglia di musicisti, i miei genitori erano operai ma leggevano molto e ascoltavano molta musica… ricordo i nastri e i dischi di Mario Del Monaco, James Last, Branduardi e del meraviglioso repertorio leggero italiano degli anni ’60. Io ero molto attratta dal mondo degli strumenti musicali già da bambina, e non mancavo di farmene regalare ad ogni occasione, anche se in forma di giocattolo. I miei gusti hanno cominciato a formarsi verso i 10 anni, grazie ad una cugina, Cristina, che mi ha introdotta alla musica dei Beatles ed al Rock ‘n Roll dei Kiss. Nonostante l’amore per il Rock, che non è mai finito, ho scoperto la musica classica dagli ascolti che l’insegnante di musica delle scuole medie ci proponeva e questo interesse si è consolidato perché in quegli anni ho cominciato a cantare in un coro polifonico. La bellezza delle architetture armoniche della musica corale e sinfonica mi ha coinvolta così tanto che ho espresso il desiderio di studiare in Conservatorio ed ho avuto la fortuna di essere accontentata.

Barbara Rubin inizia ad “amalgamare” la propria preparazione classica con sonorità più moderne nel 1991, cominciando un’intensa e continuativa attività come cantante e violinista in varie formazioni, spaziando tra i più disparati generi musicali (classica, leggera, pop, metal, progressive rock). Quali ricordi hai di questi tuoi primi anni?

B.R.: La mia prima esperienza su un palco, come cantante, fu proprio nel 1991, con un’orchestra da ballo. Fu molto importante, perché fino a quel momento, non avevo mai pensato di fare la cantante. Scrivevo canzoni più che altro per me e cantavo in funzione di quello. Cominciare l’attività con un’orchestra piuttosto attiva e itinerante, sicuramente mi ha insegnato la disciplina che è necessaria per lavorare con una formazione così, che per altro era composta da musicisti di ottimo livello, alcuni dei quali avevano trascorsi Rock e Progressive, che negli anni ’80, a livello di musica dal vivo, erano un po’ in crisi.

Nel 1994 è stata la volta della mia prima cover band rock e fu un’esperienza entusiasmante! Frequentavo un po’ di gente che cantava e suonava in Rock band e devo dire che desideravo molto poter entrare in quel giro, ma sembrava essere un mondo prevalentemente maschile. Ogni volta che mi proponevo per una band che cercava un cantante mi sentivo rispondere “ma veramente noi preferiremmo un uomo”, se ci ripenso mi scappa da ridere, però alla fine sono riuscita ad entrare in diverse formazioni e a trascorrere 25 anni sui palchi.

Dal 2003, intanto, inizi a partecipare ad una serie di concorsi musicali, ottenendo non di rado ampi consensi (vedi il primo posto in “Talenti Italiani”, categoria Cantautori, nel 2003, e in “Young Emergent Music” nel 2010). Come ricordi quelle occasioni? Partecipare a tali contest è davvero un modo utile per far conoscere la propria musica, secondo il tuo punto di vista?

B.R.: In tutti questi anni ho partecipato solo a 5 concorsi, arrivando 3 volte in finale e vincendone due e dalla mia esperienza personale, non hanno avuto un grande ruolo nella diffusione della mia musica, a parte in un caso, quello di Young Emergent Music, patrocinato da Radio Web Italia. In seguito alla vittoria del concorso, ho potuto presentare il mio album di allora “Under The Ice”, al Mondadori Multi Center di Milano e devo dire che la Radio ha fatto molto per promuovermi con tanti airplay e una buona promozione sui social. Lo staff era veramente molto motivato a spingere la musica emergente e tutto senza l’esborso di un solo euro da parte mia. Purtroppo credo che, da quando la pubblicità ha preso in mano i palinsesti di tutti i canali del mainstream, sia impossibile entrarci solo con il talento o con un certo valore artistico. Gli altri concorsi ai quali ho preso parte, cominciavano e finivano con il concorso stesso. Riguardo ai talent, sono molto scettica. Quelli che seguiamo in TV, in quasi 20 anni, hanno distrutto più talenti di quanti ne hanno creati. Se contiamo i cantanti che sono emersi da questi format, non arriviamo a usare tutte le dita delle mani. Per lo più, finita la stagione, finisce anche la carriera e questo probabilmente perché gli sponsor perdono interesse nei loro confronti, per concentrarsi sulla stagione nuova. Con tutto questo scetticismo però, un paio di mesi fa ho inviato una canzone del mini-album “Luna Nuova” ad un contest che si chiama “Promuovi La tua Musica”. Ho visto il promo su FB e, visto che era stato cliccato da persone che stimo, senza troppe aspettative ho mandato il brano e sono stata selezionata. Perciò a novembre andrò a Milano per l’esibizione.

Le tue prime esperienze discografiche si rintracciano in “Swimming In The Sand” degli Arcansiel (2005) e “Low Fare Flight to the Earth” di Paolo Baltaro (2007), due album cui hai partecipato. Ti va di parlarmi delle due esperienze?

B.R.: Conosco Paolo Baltaro dal 2000. Stava preparando dei suoi brani in inglese di cui fare la versione in italiano, perciò mi aveva coinvolta. Da lì, per diversi anni, ho partecipato a molti suoi lavori come corista e violinista e tra questi, anche il suo album da solista “Low Fare Flight to the Earth” e “Swimming in the sand”, che è un remake dei più celebri brani degli Arcansiel con l’aggiunta di un inedito. Dopo la pubblicazione di quest’album, ho preso parte a diversi eventi live con questa band, come tastierista, violinista e corista. Tra questi voglio ricordare il Prog Farm Festival in Olanda del 2005.

E nel 2009 prende il via il tuo percorso con la band prog metal LoreWeaver, con cui pubblichi i lavori “Imperviae Auditiones” (2011) e “Italic” (2014). Come nasce il progetto? E quanto di te c’è nei due lavori? Ti va di presentarli brevemente?

B.R.: Nel 2009 fui contattata dal batterista di questa formazione, che aveva già scritto tutta la parte strumentale e i testi per un intero album, eccetto un brano che era completo anche di linea vocale. Nonostante fossi nel clou dei lavori per la pubblicazione di “Under The Ice”, andai a incontrarli per ascoltare quello che avevano registrato e ne rimasi affascinata, così accettai di partecipare e di comporre le linee melodiche per i testi. Si rivelò subito un’esperienza entusiasmante sotto tanti punti di vista. Seguirono tanti concerti, un nuovo album “Italic”, del quale ho composto anche i testi e la partecipazione a due festival inglesi: il Fused Festival a Lydney nel 2011 e il Cambridge Rock Festival del 2013.

È con la vittoria dello Young Emergent Music del 2010, grazie alla toccante “Eyelids”, che, immagino, prenda definitivamente il via la tua carriera solista. Cos’è che ti ha spinto a “metterti in proprio”? E posso chiederti a chi è dedicato il brano?

B.R.: La mia carriera da solista comincia qualche mese prima con la pubblicazione di “Under the Ice”. Ho sempre scritto molta musica, molte canzoni ed è sempre stata una mia esigenza individuale, per parlare di me, per esprimermi. In realtà trovo più complicato scrivere con altri, in questo caso, la condizione che mi favorisce di più, è subentrare e dare il mio apporto ad un lavoro già in fase di sviluppo, come ho fatto con i LoreWeaver, perché mi permette di poter fare il mio lavoro in solitudine. Mi spiego meglio, non sono il tipo di musicista che si chiude in una stanza con altri e compone coralmente. Devo avere i miei tempi e la mia tranquillità. Sicuramente preferisco un tipo di lavoro individuale.

“Eyelids” è un brano che mi descrive come una persona che conserva preziosamente i ricordi, in maniera un po’ malinconica, forse, ma tenendoli sempre presenti come suggerimenti per vivere il presente. I ricordi di infanzia, i tramonti, le storie incominciate o finite. A volte mi chiedo come facciano certe persone a dimenticare tutto e a vivere i sentimenti in maniera superficiale e da questo prende spunto il ritornello: “Tu come fai a dimenticare il sole, a deridere l’amore?…”.

Nello stesso anno, appunto, pubblichi il tuo primo album solista “Under the Ice”. Mi narri la sua genesi?

B.R.:  I brani di “Under the Ice” cominciano a prendere vita dopo l’esperienza con gli Arcansiel, la prima nel mondo del Progressive. Paolo Baltaro voleva affidarmi la direzione artistica della band, di conseguenza assegnandomi la composizione dei brani per un nuovo album. Così mi cimentai a scrivere in quel modo nuovo per me, utilizzando delle battute irregolari e una struttura più libera, tipica del Prog. La prima canzone a nascere da queste novità fu la title track “Under the Ice” e mi ci affezionai talmente tanto che decisi di tenerla per me e includerla in una serie di altri brani che stavano nascendo, undici alla fine, tra canzoni e interludi. L’album non è lunghissimo ma segna l’inizio di un cambio di marcia per quanto riguarda la composizione, che fino a quel momento avevo dedicato ad un tipo di canzone più convenzionale. Questa serie di brani aveva un filo conduttore stilistico che mi ha permesso di confezionare un album che mi ha offerto molte possibilità di farmi conoscere da un pubblico che è sicuramente tra i più appassionati e curiosi del panorama musicale.

Nel 2011, invece, in occasione dell’Earthday Brasil, viene selezionato un tuo remake del brano “Change we must” di Jon Anderson. Mi parli dell’esperienza? Come si è svolta? E come mai la scelta di un brano del cantante degli Yes?

B.R.: Il brano fu scelto dal direttore artistico di Earthday Brasil, che propose a molti artisti di tutto il mondo. Ognuno di noi fece una versione diversa e nel video da loro confezionato, c’è un estratto di ognuno di questi video.

“Opera Uno” con Veronica Fasanelli (2014) e “Luna Nuova…il coraggio che non ho mai avuto prima” con Simona Sottocornola (2017), sono due lavori in “coabitazione” tutti al femminile. Il primo parte da ricerche fatte sul repertorio romantico e tardo-romantico di compositrici donne (tra cui Clara Schumann, Fanny Mendelssohn e Germaine Tailleferre), l’altro affronta un argomento forte quale la violenza nei confronti dell’universo femminile. Come nascono le collaborazioni e la scelta delle tematiche? E quanto differiscono, se differiscono, dalle tue opere in solitaria?

B.R.: La collaborazione con Veronica Fasanelli nasce molti anni fa perché insegnavamo nella stessa scuola, la Scuola Civica di Mortara (PV). Da tempo pensavamo di mettere su un duo per suonare in concerto e ci affascinava l’idea di divulgare la musica delle compositrici, per il grande pubblico, quasi sconosciuta, anche se di recente, comincia a comparire qualche incisione di queste opere per lo più pianistiche o cameristiche.  Dopo un periodo di preparazione non troppo lungo, ci siamo fatte prendere dall’idea di comporre qualcosa di nostro. Anche Veronica è compositrice e tutte e due avevamo già un po’ di musica per violino e pianoforte. Abbiamo scritto un altro brano in collaborazione ed abbiamo deciso di registrare un album al quale poi sono seguiti diversi concerti e partecipazioni a recital di poesia o mostre d’arte. È un tipo di musica che si presta a questo tipo di eventi, noi stesse, insieme a Simona Sottocornola, ne presentammo uno dal titolo “Painted Sounds”, con l’esposizione delle foto di Simona ed è proprio lei uno dei fili conduttori tra questi due progetti perché è la co-ideatrice del Progetto Luna Nuova. Un altro punto in comune è sicuramente il mondo femminile e il tentativo, per il primo sotto il punto di vista artistico, per il secondo sotto il punto di vista personale e psicologico, di limitare le possibilità espressive delle donne.

Il mondo è cambiato, nonostante ciò, nel nostro paese gli episodi di violenza sono una terribile attualità. Così un giorno, una nostra amica, militante in alcune associazioni antiviolenza, propose a me e a Simona, di ideare un progetto artistico di musica e fotografia, proprio contro la violenza sulle donne. Così è nato un servizio fotografico molto suggestivo di Simona, e i miei tre brani che sono racchiusi nell’album “Luna Nuova” del 2017.

E il 2020 ti vede tornare con un nuovo lavoro, “The Shadows Playground”. La cosa che mi ha colpito, prima dell’ascolto, è l’immagine di copertina. Cosa c’è, dunque, nel calice che porgi all’ascoltatore?

B.R.: Torna anche qui il tema della femminilità. Il calice è una delle simbologie che ha interessato la mia musica di recente. Nell’album “Luna Nuova” c’è uno strumentale intitolato “Gradalis”, che è il nome latino del Graal. Anticamente era considerato un simbolo di femminilità e di fertilità, rappresentava il ventre femminile. Con il gesto di porgerlo all’ascoltatore, lo invito ad attingere a questo mondo, sotto forma di musica. Nel disco c’è anche un brano dedicato a Maria Maddalena che riporta nuovamente al calice.

“The Shadows Playground” è stato scritto, eseguito, registrato, mixato e masterizzato da te (in realtà lo sono anche i lavori precedenti). Cosa si prova ad essere “completo padrone” della propria musica? E quali esigenze ti spingono a fare tutto da sola?

B.R.: In passato ho avuto bisogno di essere supportata da altri, soprattutto per la parte tecnica di registrazione e questo impiegava sempre una spesa, non di denaro ma di tempo, perché dovevo attendere, giustamente, che le persone trovassero tempo e voglia di lavorare ai miei progetti, perciò mi sono stancata ed ho cercato di diventare indipendente anche sotto questo punto di vista. I miei dischi sono autoprodotti anche per la pubblicazione ed anche questa è una scelta. Non è una mancanza di stima nei confronti delle etichette discografiche, ma quando “Under The Ice” era pronto per la pubblicazione l’ho proposto ad alcune etichette. Non avendo avuto consenso, ho deciso di fare da sola e ho visto che poche riviste e poche radio, facevano e fanno discriminazione ai dischi autoprodotti, soprattutto in ambito Progressive, e il fatto di gestire tutto direttamente non mi è mai dispiaciuto.

Da ogni tuo brano erompe la tua passione per la musica classica (e i tuoi studi), e questo sentimento prende forma attraverso brani delicati e poetici, che racchiudono al tempo stesso un senso di romanticismo e malinconia. Ma come nasce un tuo brano e quali sono le tue fonti di ispirazione?

B.R.: Le mie fonti di ispirazione non sono diverse da quelle di tanti altri… le esperienze, le riflessioni, le storie che mi hanno appassionato… sono tutte cose che mi spingono verso il pianoforte che è quasi sempre lo strumento dal quale nasce la mia Musica, per poi restare strumentale o diventare una canzone.

Da “Eyelids” a “The Shadows Playground”, com’è cambiato il tuo modo di fare musica? E quali sono i punti di contatto e le differenze sostanziali tra i vari lavori?

B.R.: Tra i miei lavori sicuramente ci sono delle differenze ma non so se sia una vera evoluzione musicale, verso qualcosa di diverso… sono le evoluzioni personali che spingono a prendere sfumature diverse. “Under The Ice” ha un’impronta più Rock perché in quegli anni faceva più parte della mia vita, “Luna Nuova”, oltre allo strumentale, è fatto di due canzoni che conservano una vena stilisticamente Prog ma sono in sostanza, delle classiche canzoni italiane, perché vista la tematica, volevo fossero dei brani immediati e più fruibili, immaginando che qualcuno potesse trovare uno spiraglio immedesimandosi nelle canzoni. “The Shadows Playground” è più introspettivo e più acustico, ma rispecchia di più il mio vero modo di fare musica, anche se, probabilmente in futuro, tornerò spesso sulla canzone italiana più convenzionale. Non so, ma penso mi piaccia saltare qua e là, cimentandomi in tanti generi, senza pensare che dovrò stabilirmi su uno in particolare.

Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il tuo punto di vista per chi fa musica?

B.R.: Per chi fa musica, i pro sono tanti e i contro abbastanza pochi, se uno si sa proteggere e sa proteggere la propria musica. Io avevo cominciato con MySpace diversi anni fa e avevo scoperto un mondo pieno di musica nuova, di musicisti e pubblico anche ben disposto ad aiutarmi con la promozione, condividendo e dandomi tanti suggerimenti. Su Facebook non è così facile perché non è un sito prettamente musicale e bisogna farsi largo tra tante cose. Non sono tutti lì solo per la musica. Ma noi musicisti abbiamo solo da guadagnarci perché internet ci dà la possibilità di farci ascoltare e di farci trovare velocemente. Non ho altri social, perché trovo già impegnativo seguirne bene solo uno.

E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel tuo caso specifico, quali ostacoli hai incontrato lungo il cammino? Dopo il primo tentativo infruttuoso, hai mai pensato di ritentare la “carta” etichetta discografica per i tuoi album?

B.R.: Come ti dicevo, ci ho provato col primo album, più che altro perché alcuni amici insistevano sul fatto che non sarebbe mai stato recensito, senza etichetta. Penso che il mio disco fu rifiutato perché all’epoca ero totalmente sconosciuta e perché la mia musica non era veramente inquadrata in un genere preciso. Il mondo del Progressive mi ha abbracciato per primo, perché al contrario di quello che mi dicevano, dopo l’autoproduzione, l’album fu accolto molto bene sia dalle webzine che dalle radio. E così, fino a questo disco, non ho più preso in considerazione di propormi ad un’etichetta, ma non per sfiducia, ma semplicemente perché mi sono trovata bene così.

Facendo un parallelo tra letteratura e musica, tra il mondo editoriale e quello discografico, è, non di rado, pensiero comune etichettare un libro rilasciato tramite self-publishing quale prodotto di “serie B” (o quasi), non essendoci dietro un investimento di una casa editrice (con tutto il lavoro “qualitativo” che, si presume, vi sia alle spalle) e, in poche parole, un giudizio “altro”. In ambito musicale percepisci la stessa sensazione o ritieni questo tipo di valutazione sia ad uso esclusivo del mondo dei libri? Al netto della tua esperienza, consiglieresti alle nuove realtà che si affacciano al mondo della musica la via dell’autoproduzione?

B.R.: So che nel mondo dei libri c’è questo pregiudizio, avendo amiche che ne pubblicano. È un po’ il sistema che fa quadrato intorno alle case Editrici, credo… ma facendo riferimento agli autori che conosco, credo che alla fine sia stato chiesto loro un contributo per il manufatto, per una parte o per tutta la produzione, perciò l’investimento è stato al quanto modesto. Quella che costa è la promozione ed è anche quella che fa la differenza. Bisognerebbe sondare quante case editrici investono e lavorano sodo su questo. Il secondo problema è che non avere una casa editrice o un’etichetta discografica ti esclude dalla grande distribuzione, per esempio… se vado all’Autogrill, tra i dischi e i libri, non troverò mai il mio. Ma la mia domanda è: anche se avessi un’etichetta, troverei il mio disco o quello dei soliti veterani o dei protagonisti di “X Factor”? Per quanto riguarda la mia esperienza, l’autoproduzione la consiglierei, molti musicisti famosi la stanno scegliendo per uscire dal mondo delle majors. Ma dei musicisti che conosco io, nessuno la sceglierebbe ma è anche giusto che si scelga lo staff esperto di un’etichetta, perché è anche tanto impegnativo capire come fare a promuoversi, è avvincente ma richiede tempo.

E qual è la tua opinione sulla scena progressiva italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?

B.R.: A dire il vero devo ancora concentrarmi bene sull’allestimento del Live di “The Shadows Playground” e, quindi, non mi sto ancora guardando intorno anche se spero di partecipare a qualche festival l’anno prossimo. Mi sembra però che non sia un periodo molto florido per la musica dal vivo. C’è la possibilità di affiancarsi ad altri eventi artistici, che è una cosa un po’ nuova. Presentazioni di libri, mostre artistiche. È tornato questo aspetto un po’ funzionale della musica che ha fatto in passato da spalla a tanti eventi e recital. Questi contesti potrebbero essere adatti a quello che faccio io, visto che voglio eseguire i brani dell’album anche in forma ridotta, per voce e pianoforte, o accompagnata da Andrea Giolo, quindi per due voci, pianoforte e tastiere.

Le occasioni di fare musica forse mancano, ma i musicisti no. C’è sempre un fermento di musicisti e di buona musica in Italia. Di recente ho scoperto gli Jana Draka e ho trovato la loro musica davvero interessante e personale. Un bel disco.

Negli anni hai partecipato anche a diversi festival internazionali quali il Prog Farm Festival di Bakkeeveen (Olanda, 2007), il Fused Festival (Regno Unito, 2011) e il Cambridge Rock Festival (Regno Unito, 2013). Che idea ti sei fatta dell’attuale cultura musicale europea, del modo in cui il pubblico ne fruisce e dello spazio che si dedica alla musica dal vivo? E quali sono le differenze con il nostro Paese?

B.R.: La differenza tra l’Inghilterra e qui, è che la musica in UK è ancora sentita come un patrimonio nazionale ed esiste ancora una forma di rispetto piuttosto seria, nei confronti dei musicisti. Quest’anno sembra essere leggermente diverso anche qui, ma in passato, contattando radio o riviste, ho sentito dei toni molto seccati in qualche caso, come se non ne potessero più di noi musicisti… mah, forse siamo veramente in troppi! Non so, c’è uno spirito diverso e i Festival sono organizzati molto seriamente, perché sono una tradizione a cui tengono molto. Ma non vorrei parlare così male dell’Italia, che con questo disco mi sta dando diverse attenzioni. Sembra che la musica sia stata un po’ buttata fuori dai media di massa. A parte i talent, non ci sono più tanti contenuti musicali e questo ha spinto il pubblico a perdere interesse. Ma sono fiduciosa. Ne ho motivo, anche perché nel lockdown, sembra ci sia stata una rivalsa, un riavvicinamento all’arte. La musica dal vivo è stata penalizzata ma potrebbe essere stato un pegno da pagare per un futuro più fiorente. Io lo spero.

Esulando per un attimo dal mondo di Barbara Rubin artista e “addentrandoci” nella tua vita, ci sono altre attività artistiche che svolgi nella vita quotidiana?

B.R.: No, nient’altro, se intendi altre forme d’arte. Insegno musica in diverse scuole ed è un lavoro che amo e che ho sempre desiderato fare sin dai miei primi anni di studio e penso sia in parte dovuto al fatto che ho avuto degli insegnanti meravigliosi.

E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), ti va di confessare il tuo “podio” di preferenze personali?

B.R.: Non è facile stilare una classifica delle mie preferenze. Ho ascoltato tantissime cose diverse che hanno accompagnato diverse fasi della mia vita. Ho ascoltato di tutto, tranne il Jazz, di cui riconosco il prestigio ma che non mi ha mai coinvolta emotivamente, proprio a livello di gusto personale. Comunque ci provo, mettendo tre cose che in diversi momenti e per diverse ragioni sono state importanti:

1° posto: la Musica Barocca, Vivaldi, Corelli, Scarlatti, Rameau, Bach…

2° posto: Dream Theater

3° posto: The Beatles

Restando ancora un po’ con i fari puntati su di te, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che ami e che consiglieresti di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?

B.R.: Io amo leggere, anche se lo faccio in periodi un po’ sporadici, visto che la musica mi assorbe tutto il tempo. Nel mio disco ci sono tre brani ispirati ad un romanzo di un’autrice emergente che si chiama Hais Timur. Questo romanzo, “Heresy”, è in fase di pubblicazione, ma è uscito da poco ed è disponibile un altro suo romanzo intitolato “Dentro agli occhi”.

Attualmente io sto leggendo i “Vangeli Apocrifi”, che consiglio vivamente a chi vuole un punto di vista diverso e alternativo sulla versione canonica dei vangeli, che con questa lettura, già dalle prime pagine, appare limitata e limitante.

Violino, viola, piano, synth, chitarra, basso, batteria: ma qual è lo strumento che ami di più e che più ti rappresenta?

B.R.: Che domanda… troppo difficile rispondere. I miei strumenti “ufficiali” sono il violino, la viola e il pianoforte. Quest’ultimo è un compagno indispensabile e inseparabile per la composizione. È un mezzo di lavoro straordinario al quale mi siedo e lascio libero movimento ai miei pensieri. Il violino è un amore più giovanile. È il primo vero approccio con uno strumento musicale e classico e mi ha dato la possibilità, nel corso degli studi, di incontrare insegnanti che sono dei fantastici musicisti, talentuosi e aperti e che hanno sempre accettato il fatto che io fossi una musicista un po’ diversa da quelli che normalmente si formano in Conservatorio. Mi hanno fatto capire come esprimere me stessa con lo strumento ed ho imparato che il rigore e l’istruzione musicale, sono una base solida per una lunga vita musicale. La viola è una scoperta più recente che mi ha letteralmente ammaliata. Forse è il suo timbro così simile alla voce umana a catturarmi e in “The Shadows Playground”, non ho potuto fare a meno di abbondare con questo strumento. Infatti molti temi dominanti sono assegnati alla viola, ad esempio in “Sleeping Violin”, anche se spesso, nel repertorio degli archi, viene sottovalutata e utilizzata solo come strumento di rinforzo, piuttosto che tematico.

Attualmente sei insegnante di musica in alcune scuole della provincia di Pavia. Come riesci a conciliare il lavoro con il tuo lato artistico?

B.R.: Il lavoro mi tiene impegnata molte ore al giorno, soprattutto in certi periodi dell’anno. È comunque molto impegnativo perché prevede anche una parte di lavoro a casa, per preparare le attività dei giorni seguenti. Infatti, in genere, io lavoro ai miei progetti durante il periodo estivo e nei weekend di altri periodi meno stressanti. Scrivo musica per lo più a scuola, nei pochi momenti in cui sono da sola e ho un pianoforte sottomano.

Una cosa che mi ha molto incuriosito è il tuo essere “Esperta di musica” presso l’Istituto Comprensivo di Mede (PV). In cosa consiste tale carica/lavoro?

B.R.: “Esperto” è un termine che in ambito scolastico si riferisce a professionisti esterni che svolgono i progetti offerti dall’Istituto in aggiunta al programma ministeriale, come l’insegnamento della Musica nella scuola primaria, o l’allestimento di spettacoli musicali alla scuola secondaria. La stessa cosa avviene per il teatro, la danza, la pittura o l’informatica.

Numeri alla mano, il Progressive Rock è un mondo quasi prevalentemente maschile. È stata dura farsi spazio in un ambiente del genere? E, al netto di tutto, quando è sbocciato l’amore per il Progressive Rock?

B.R.: No, per me non è stata dura. Quando ho cominciato io era dura entrare nel mondo del rock, ma quando mi sono avvicinata al Progressive ormai, in ambito locale, ero già conosciuta. A livello mediatico, su internet e nell’ambiente specializzato, devo dire ancora di no, perché penso che la mia musica sia stata valutata per quello che è. Il fatto che io sia una donna è stato sottolineato, anche in ambito prog-metal, in un modo molto elegante, positivo o semplicemente come un dato di fatto.

Mi sono avvicinata al Progressive come dicevamo, con gli Arcansiel, ma quasi contemporaneamente con una band tributo ai Dream Theater, nella quale cantavo e che mi ha fatto prendere dimestichezza con le difficoltà ritmiche e con le strutture complesse ed estese del Prog.

Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immagini il futuro della musica nel nostro paese?

B.R.: Come ti dicevo, ho avuto l’impressione che la musica nel lockdown si sia offerta come alleata in questo momento di grande incertezza. Molti si sono spesi in dirette sui social o semplicemente con la condivisione di un po’ di musica in più. In un certo senso la gente ha avuto la possibilità di fermarsi e prestare più attenzione e io ho avvertito che in molti hanno desiderato riavvicinarsi alla musica, come se fosse una mano da stringere in un momento di paura. Vedi, la musica sui balconi è stata molto derisa e fraintesa, ma anche in guerra a questo servivano i canti, per farsi coraggio e scacciare la paura. Può darsi che tutto questo, qualche piccolo segno l’abbia lasciato.

Per chiudere: c’è qualche novità sul prossimo futuro di Barbara Rubin che ti è possibile anticipare?

B.R.: Attualmente, come tu sai, sono immersa nella promozione del mio album, ma sto preparando i brani per il live, insieme ad Andrea Giolo, facendo mente locale su come formare una band più ampia. Non è facile per via degli archi, ma ci sto pensando. Sto scrivendo e registrando musica nuova. Ho un pezzo completo che è in fase abbastanza avanzata di realizzazione e ho diversi spunti per altra musica. Ovviamente scrivere musica è sempre il mio progetto più importante ed artisticamente, la mia priorità.

Grazie mille Barbara!    

B.R.: Grazie a te Donato, per tutto quello che fai per la musica e i musicisti!

(Ottobre, 2020)

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