Aksak Maboul – Un peu de l’âme des bandits

AKSAK MABOUL

Un peu de l’âme des bandits (1980)

Crammed Discs

 

Dopo il primo album del 1977, Onze danses pour combattre la migraine, in cui, in diciassette brani, gli Aksak Maboul si dispiegavano in numerosi generi (dal jazz all’etnico, dalla semplice improvvisazione all’elettronica, passando per la musica da camera), molto spesso solo accennati (buona parte dei brani non superava i due minuti di durata), ma dove si intravedeva il grande potenziale “fantasioso”, l’ex duo belga (formato da Marc Hollander e Vincent Kenis) dà alle stampe, nel 1980, Un peu de l’âme des bandits, di certo un’opera più matura e complessa.

Due anni prima dell’uscita del disco gli Aksak Maboul, insieme agli Art Zoyd e agli Art Bears, entrano a far parte del movimento RIO poiché la loro musica soddisfaceva appieno i parametri prefissati dalle band firmatarie del manifesto RIO (Henry Cow, Stormy Six, Univers Zero, Samla Mammas Manna ed Etron Fou Leloublan): qualità della musica, estraneità alle logiche commerciali e generica appartenenza al genere rock.

Nel febbraio del 1979 uno dei due fondatori della band, Marc Hollander (organo, piano, clarinetto, sax, xilofono, percussioni), entra in studio con una nutrita schiera di colleghi: Michel Berckmans degli Univers Zero (fagotto, oboe, cori), Chris Cutler (batteria, percussioni, radio) e Fred Frith (basso, chitarra, violino, viola) degli Henry Cow, Catherine Jauniaux (voce, flipper), Denis Van Hecke (violoncello acustico ed elettrico, chitarra, voce), Frank Wuyts (piano, synth, batteria, percussioni, flipper, cori). Vincent Kenis compare nell’album come arrangiatore de I viaggi formano la gioventù e Alluvion (seconda parte di Cinema). Ne usciranno nel mese di agosto, ma l’album verrà pubblicato l’anno successivo.

Un peu de l’âme des bandits è un album bizzarro e, al tempo stesso, oscuro, dalle varie sfaccettature, che riesce a fondere la tecnica “composta” al più estremo sperimentalismo, mixa melodie orientali e latine col punk e l’improvvisazione, facendo un buon utilizzo anche di campionature (vedi, per esempio, il flipper in A modern lesson), non sfigurando affatto nella scuderia RIO, anzi, da alcuni è ritenuto addirittura l’apice compositivo del movimento stesso.

Sulla copertina dell’album, per ragioni sconosciute, il nome della band compare come Aqsak Maboul (nelle successive ristampe invece compare il nome originale). Inoltre sull’etichetta del lato A del vinile compare una tracklist diversa da quella presente sul retro della cover: A1 Bo Diddley, A2 Trio (from Nuits D’Argentine) / Tango, A3 Rondo, A4 Truc Turc, A5 Pogo, B Knokke.

Il disco si apre con A modern lesson. Su di un semplice riff di chitarra la voce di Catherine Jauniaux, un po’ alienata, un po’ isterica, blatera qualcosa, ma si ha difficoltà a capire se siano parole reali o solo “lamenti” (la seconda opzione è quella più probabile). A un certo punto ci si mette anche il sax ad imitare la voce, in un botta e risposta allucinante, oltre ad archi e fiati che accompagnano per buona parte del percorso la voce, rendendo l’atmosfera schizofrenica. Il tutto è condito da inserti di flipper. Si, proprio un flipper. Più in avanti il dialogo sarà anche con dei cori baritonali. Negli ultimi minuti si divertono tutti i musicisti in una folle sperimentazione sonora.

Gli Aksak Maboul sono anche romantici, o almeno così lascia intendere la prima parte di Palmiers en pots, contraddistinta da un dolce duetto piano-archi. Dopo la dolcezza c’è la spensieratezza. Siamo tutti invitati in pista a ballare un tango, creato con un “taglia e cuci” di campionature. Queste due anime del brano sono quelle “descritte” dal titolo alternativo presente sull’etichetta del vinile: Trio (from Nuits D’Argentine) e Tango.

Geistige nacht è un brano davvero ben suonato, basato sulla riproposizione, in varie salse, del motivo iniziale eseguito dal sax. Nei minuti centrali largo all’improvvisazione e al “rumorismo” (il sax viene “violentato” senza soluzione di continuità).

I viaggi formano la gioventú. Può sembrar strano trovare un titolo in italiano, ma molto strano non è visto che, anche nel primo album, compaiono brani quali “Milano per caso” e “Fausto Coppi arrive!”, il tutto a tradire, forse, una certa passione per la nostra terra. Ciò che fa strano, però, è il sound e il canto arabeggianti (è la riproposizione di un canto turco), che non molto hanno da spartire con la nostra terra, i quali ci accompagnano per l’intera durata del brano. Il suono diventa più corposo nella parte finale. Un’altra delle tante facce degli Aksak Maboul.

Dopo tre brani “quasi normali” gli Aksak Maboul danno libero spazio allo sfogo con Inoculating Rabies. Su di un sottofondo di totale delirio sonoro ascoltiamo un fagotto “fuori contesto” e dei vocalizzi che ben si legano al sottobosco delirante. Quest’ultimo, alla lunga, emergerà sul tutto. Il titolo alternativo “Pogo” ben si adatta a questo brano dalla matrice punk.

Il brano che chiude l’album, Cinema, è una lunga suite di ventitré minuti suddivisa in quattro parti. La prima, Ce qu’on peut voir avec un bon microscope, ha un’anima piuttosto cupa e, volendola collegare col titolo principale, si potrebbe leggere una sorta di omaggio alle colonne sonore del cinema italiano, soprattutto dei film gialli e thriller. Infatti, l’atmosfera di fondo, è molto spesso tesa e, in alcuni punti, si possono addirittura intravedere passaggi che richiamano alla mente i Goblin. La seconda è Alluvions che, inizialmente, pare seguire il segmento precedente, prima di animarsi in un’improvvisazione contorta. A seguire Azinou crapules che si rifà pienamente al frammento finale della seconda parte del brano, ma all’apparenza sembra più ordinato. Chiude Age route brra! (Radio Sofia), il segmento più sperimentale del brano, incentrato su varie voci e rumori sovrapposti (una sorta di zapping radiofonico), e sprazzi musicali. Nel complesso un’esecuzione eccelsa da parte degli Aksak Maboul, che strutturalmente richiama alla mente alcune creazioni degli Univers Zero. Capiamo finalmente, ma era fuor dubbio, che essi non sono solo improvvisazione e delirio, ma anche tecnica e genialità.

Nella ristampa dell’album, uscita nel 1995, compare una bonus trackBosses de Crosses. Questa restituisce un’anima “giocosa”-sperimentale molto più accentuata rispetto ai brani originali del disco, sottolineata soprattutto dai primi due minuti del brano in cui ogni strumento fa quel che vuole e l’ingresso in scena, a seguire, delle voci di Yvon Vromman e Véronique Vincent che cantano con molta leggerezza.

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