Arpaderba – L’aleph

ARPADERBA

L’Aleph (1981)

Fonit

 

L’aleph è l’unico disco degli Arpaderba, band italiana di cui si hanno rarissime notizie. Dubbi si sono avuti, per diversi anni, persino sulla formazione: per alcuni la band era guidata da Nanni Civitenga (già Raccomandata con Ricevuta di Ritorno e Samadhi) con Antonio Martorella (tastiere), Enzo Ciotola (violino e chitarra) e Vincenzo Martorella (batteria), per altri era formata solo dagli ultimi tre. Solo recentemente Antonio Martorella ha risolto l’arcano confermando in parte la seconda versione (oltre ai tre musicisti era presente anche Mario Torta alle chitarre) aggiungendo che Civitenga fu chiamato esclusivamente come turnista.

Musicalmente si può notare una minima attinenza alla musica degli inglesi Dando Shaft, o sprazzi che rimandano agli Area, ma si può sostenere che la musica degli Arpaderba sia molto personale, con un mix di prog, folk e fugaci sortite nell’elettronica, nel jazz e nella dance che si sviluppano e si intrecciano nei sette brani strumentali che compongono l’album.

Danza è il brano decisamente più elettronico del disco, almeno come premessa. Infatti, in avvio troviamo due lunghe cavalcate elettro, sostenute da un rullante “in marcia”. L’apertura della batteria e l’ingresso di un tamburello e del basso renderanno il brano più vivace e tendente al folk (una sorta di anticipazione di Ballo dei Satiri).

L’aleph. Brano basato su violino, batteria e basso, a tratti non distante dagli Area, che richiama molto da vicino il filo conduttore folk dell’album. Nel suo sviluppo ci sarà anche la comparsa di una fisarmonica/synth.

Ritmi di luna. Brano più “leggero” reso tale da una sequenza ritmica meno accentuata rispetto agli altri brani del disco, almeno nei primi minuti. Da notare una sorta di applauso usato da supporto alla batteria e gli inserti di quel che sembra uno xilofono molto apprezzabili. Nell’ultima parte il brano svolta con un solo di xilofono/tastiera e l’ingresso successivo della fisarmonica, la quale diventa padrona assoluta fino alla conclusione.

La fisarmonica finale di Ritmi di luna prosegue in Labirinto. Ad essa è affidata buona parte della struttura del brano (a tratti sembra richiamare le parti di violino che avremo nel brano successivo), con un accompagnamento di basso e batteria molto jazzato. Nella parte centrale il brano cerca di aprirsi un po’ per poi tornare all’esecuzione di partenza.

Avvio da tamburo battente molto folk per Ballo dei Satiri. Ottimo poi l’ingresso del violino di Enzo Ciotola che dà molta vivacità. Con la batteria che entra in scena successivamente ci troviamo quasi nel pieno di “Luglio, agosto, settembre (nero)” degli Area (con le dovute proporzioni). Più in avanti il brano effettua alcune variazioni tra cui una sorta di “sosta” della sequenza ritmata. Il finale riprende la parte di violino iniziale.

Una dolce melodia, molto medievale, dà il via a Cantata di primavera. Nello svilupparsi del brano si susseguono gli ingressi dei vari strumenti (tra cui il violino, meno dinamico di Ballo dei Satiri ma più intenso) che lo renderanno più vivace.

Se con Cantata di primavera si partiva dal medioevo, con Tarentilla si parte direttamente dalla fine degli anni ’70 dello scorso secolo grazie ad un’esecuzione quasi dance messa in piedi da un ottimo basso, sostenuto da piano e batteria. Nel prosieguo il brano subisce alcune modifiche, ma la struttura di base resta quasi sempre costante.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *