Between – And the waters opened

BETWEEN

And the waters opened (1973)

Vertigo

 

Nel 1973 i Between, orfani del flautista James Galway e di Ulrich Stranz, ma con Peter Michael Hamel (tastiere, organo e voce), Robert Eliscu (oboe), Roberto Détrée (chitarra, arpa e moto-cello, uno strumento creato dallo stesso artista costituito da una corda di basso suonata continuamente da un meccanismo elettrico) e Cotch Black (congas) a pieno regime, e i nuovi arrivati Duru Omson (flauto, percussioni e voce) e Fabian Arkas (elettronica), tornano in studio per dar seguito a quella ricerca musicale, iniziata nel 1971 con Einsteig, avente come obiettivo la fusione tra improvvisazione e musica ethno-rock, tra “musica popolare” e “musica seria”.

Rispetto al primo album, di stampo più sperimentale, And the waters opened risulta molto più rivolto ad oriente, ma un oriente visto da un occhio teutonico. Gli svariati studi musicali e i continui viaggi in India di Hamel hanno portato alla nascita di un album che è un’esperienza della mente, un viaggio spirituale tra i suoni di quelle lontane terre, mediato e fuso ai suoni elettronici tipici del krautrock (usati non in modo eccessivo).

Va detto, però, che alcune atmosfere esotiche e, soprattutto, un determinato uso delle percussioni, sono già presenti in Einsteig. Questo crea un legame molto stretto tra i due album.

And the waters opened si apre con alcuni minuti occupati interamente da suoni sintetici i quali portano subito alla mente le opere sperimentali di Battiato.Questi crescono col passare dei secondi fino ad esplodere in suoni “acquosi” e tetri. Poi la svolta netta con percussioni etniche che richiamano quelle di Primary Stage, presente su Einstieg. L’atmosfera “acquosa” torna più avanti ad introdurre un canto mistico e il flauto di Omson.

Uroboros. L’ipnotico oboe di Eliscu in apertura ci fa viaggiare verso il lontano oriente. Poi, dopo alcuni secondi in cui lo stesso oboe viene “punzecchiato” dai colleghi, tocca al flauto riprendere il cammino, accompagnato dalle percussioni. È una danza che prende corpo lungo il proprio tragitto, con isolati inserti sintetici e cori. Si riescono quasi ad “intravedere” i corpi di sinuose danzatrici del ventre che eseguono le proprie sensuali movenze, come accade in Alef’s Dance degli Aktuala, brano presente nell’album omonimo.

Syn è un lungo, cupo, suono che sembra elettronico, ma, in realtà è realizzato dal moto-cello di Détrée. Questo suono, una volta entrato nel cervello, fatica ad uscire. Crea un senso di smarrimento cosmico. Solo nel finale una tastiera corre in nostro aiuto.

Devotion. Su di un tappeto etereo e percussioni orientali si sviluppa una sorta di nenia spirituale e magnetica. Da sottolineare il lavoro di Hamel con piano (a circa metà brano) e organo (nel finale).

Con Happy stage continua il viaggio spirituale nei luoghi d’oriente. Qui il flauto di Omson ricama un dialogo mistico con l’oboe di Eliscu. Intanto in sottofondo le congas di Black s’intrecciano con la chitarra ritmica di Détrée e i soliti suoni incorporei. Musica meditativa. Solo intorno ai sette minuti il flauto tenta di “risvegliarci”, ma senza troppa convinzione, mentre nel finale subentra un piano che prova a riportarci in Europa.

L’avvio di Samum è affidato ai giochi chitarristici di Détrée i quali tradiscono un’anima levantina. Poi subentrano oboe e percussioni e il brano prende la piega del precedente. Dopo due minuti, in lontananza, si sente un vento cosmico che, col passare dei secondi, spazza via tutto. Solo sporadicamente i suoni che fino a poco prima occupavano la scena riescono a farsi sentire, ma sono i flebili gemiti di chi sa di esser stato sopraffatto.

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