Corpo – I & II

CORPO

I & II (2016)

Lizard Records

La scena pugliese degli anni ’70, per quanto concerne quel modo “diverso” di fare musica, è piuttosto avara di nomi. Festa Mobile e Il Baricentro sono forse i gruppi più importanti di un mondo che comunque, nel suo piccolo, era vivo. Prova di ciò, a quarant’anni di distanza, è data da alcuni nastri, datati 1979, che immortalano le “gesta” di un gruppo salentino: Corpo.

Ed ecco allora riemergere dal silenzio i suoni e le idee di questo “progetto famigliare” che ruota intorno ai fratelli Francesco Calignano (chitarra, basso) e Biagio Calignano (Fender Rhodes, Korg MS-20, JEN Pianotone, batteria). Un silenzio che all’epoca è stato tutt’altro che tale perché i Corpo, partiti da una comune multiculturale accampata in una villa di Leuca, hanno portato la propria musica in giro per l’Europa.

I & II è il nome dell’album in cui trovano posto i nastri registrati a Montesardo (LE) nel lontano ‘79 e restaurati da Matteo Rosafio nel 2015. Nella sezione compare anche un altro elemento della famiglia Calignano, Mario, suo il basso. Nonostante siano registrazioni della fine del decennio, idee e suoni affondano le loro radici negli anni a cavallo tra ’60 e ’70 e tra le note dei Corpo fa la sua comparsa una forte componente psichedelica (che emerge in modo netto già dalla ipnotica copertina realizzata da Francesco Calignano) arricchita da sperimentazione e una non secondaria influenza teutonica (Can e Faust su tutti). E, tra richiami a The Mothers of Invention e Jimi Hendrix, in alcuni frangenti, quelli più “folli e sghembi”, sembra quasi di ascoltare i The Doors riletti dai The Residents.

La verve psichedelica dei Corpo emerge già alla grande in C#1, brano che apre il primo “lato” dell’album (I). È l’ossessivo basso di Mario Calignano a tendere il filo su cui i “giocolieri” Francesco e Biagio si spostano in libertà offrendo il loro spettacolo lisergico e molto free.

La “freschezza acida” del trio prosegue con la parte iniziale di C#2 prima che Francesco si lanci in un lungo assolo (seguito a ruota dal duo ritmico) che si muove tra Jimi Hendrix e il Tony Iommi del brano “Paranoid”.

Il riff compassato che apre C#3 richiama a tratti il tema principale di “Questo folle sentimento” dei Formula 3 e, unito al solito insistente basso di Mario, crea un loop ipnotico intaccato solamente dalla sperimentazione elettronica di Biagio. Verso metà percorso c’è una sorta di “risveglio” in cui i primi due protagonisti si fanno decisamente più frizzanti mentre l’elemento elettronico del terzo si fa più invadente, il tutto utile a descrivere un quadro dalle tinte germaniche.

C#4. Per oltre tre minuti la chitarra di Francesco lascia fluire un denso magma distorto, con barlumi punk, che ingloba tutto il resto, anche se le tastiere “bizzarre” e le ritmiche di Biagio riescono a ritagliarsi dello spazio. A seguire l’atmosfera si quieta leggermente, con il synth che dà il via ai “fuochi d’artificio” e Francesco che lo sfida con un assolo sixties.

C#5 si apre con le eccentriche tastiere di Biagio in primo piano, mentre batteria e basso impongono un ritmo piuttosto sostenuto e la chitarra vaga senza meta. Il trio si ricongiunge poco dopo su di un’andatura blanda e un clima un po’ lisergico.

II si apre con Messapia, episodio in cui Biagio Calignano si erge trascinatore mostrando tutte le sue ottime doti di tastierista. Nonostante la non perfetta qualità audio riusciamo a leggere la sua anima classica, quella “rinascimentale”, quella progressiva, quella sperimentale e altre ancora (in alcuni brevissimi frangenti ricorda anche l’intro di “Baba O’riley” dei The Who). Buona anche la prova della tarantolata batteria.

L’opera di Biagio prosegue anche con S.M. De Finemunnu. Nei primi minuti non concede tregua con una cascata di note che strizzano l’occhio anche al jazz, mentre la batteria tiene un passo tribale. Poi l’episodio su uniforma, relativamente, perdendo in velocità.

Il giorno della mia morte. Cambio al vertice. Dopo una breve fase “interlocutoria” sale in cattedra Francesco Calignano: il suo lungo assolo si incastra alla perfezione negli anni a cavallo tra ’60 e ’70, muovendosi egregiamente tra Jimi Hendrix ed Eric Clapton.

Tympanon. E, frutto di una quasi equa “divisione degli spazi”, il brano finale è affidato alle mani e ai piedi di Biagio. Il suo ampio ed articolato soliloquio ricorda di certo i “monologhi” di Tullio De Piscopo.

Un plauso alla Lizard Records per aver “recuperato dall’oblio” questi nastri (grazie soprattutto alla spinta di un altro Calignano, Giuseppe) e per aver aggiunto una nuova “tonalità” alla policroma scena musicale italiana degli anni ’70.

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