Démodé – Ison

DÉMODÉ

Ison (2015)

Autoproduzione

A quattro anni di distanza dal primo album “lungo”, “Le parole al vento”, tornano in Démodé con un nuovo tassello che porta avanti il lavoro di ricerca iniziato con l’EP omonimo nel 2009: Ison.

Non cambia la formazione a sei che vede Claudio Colaone (sax), Andrea Zampieri (clarinetto), Francesco Zanon (violino), Luca Laruina (pianoforte), Carin Marzaro (basso) e Alberto Zenarolla (batteria).

Per questo nuovo lavoro, i sei ragazzi friulani si ispirano alla cometa C/2012 S1 che ha attraversato i cieli alla fine del 2013. A metà tra distruzione e creazione, le comete si prestano a diventare simbolo di metamorfosi: in questo caso, il suo passaggio è coinciso con un periodo di rinnovamento profondo per la band.

Ison ci offre una musica strumentale efficace e raffinata, creata con un sapiente gioco di squadra che concede i giusti spazi ai “fantasisti”, abili nel dosare i momenti “seri” con quelli “scherzosi”. La musica dei Démodé è folk, è jazz, è avant-prog, è musica da camera, è sperimentazione, è improvvisazione, è musica cinematografica, in poche parole è un universo sonoro che travalica i generi e il tempo. Ogni brano è un piccolo scrigno il cui contenuto è una sorpresa imprevedibile.

La fuga. È con un sottile velo di Canterbury sound che ci accolgono i Démodé, grazie al duetto batteria/sax che sa un po’ di Soft Machine. Ed è il “motore irregolare” Zenarolla a guidare poi, per buona parte del brano, i compagni, con i fiati che s’intrecciano sapientemente, il violino delicato ma deciso di Zanon, il quale dona una luce diversa al tutto (con rimandi agli Aranis), e il piano e il basso che pulsano quasi sempre nelle retrovie contribuendo, però, fortemente al complesso quadro d’apertura di Ison.

Ison. Il piano classicheggiante alla Riccardo Scivales (Quanah Parker) di Laruina (con richiami al precedente album, vedi, ad esempio, il brano “China Boid”), poi il violino teso di Zanon e il crescendo intenso di ritmiche e fiati, sino a giungere all’atmosfera raffinata di un Jazz Club in cui l’intreccio di sax, clarinetto, basso e batteria sono gli intrattenitori del colto pubblico: questi i primi minuti della title track. E poi ancora impennate, “cambi di passo”, riprese. Grande prova del sestetto.

È il clarinetto di Zampieri, inizialmente evocativo, poi “baldanzoso”, il protagonista della prima parte di Arturo che, grazie anche agli interventi “a tono” di violino e piano (ma non solo), sembra quasi provenire dalle musiche composte da Nicola Piovani per la colonna sonora de “La vita è bella” di Roberto Benigni. Più avanti, la batteria di Zenarolla impone un ritmo più sostenuto, utile ai colleghi per creare una melodia che richiama le atmosfere klezmer molto care agli Alamaailman Vasarat (rese in modo meno “opprimente”), sino a spingere chi ascolta ad alzarsi dalla sedia e danzare!

Memento. Ancora cinema con il malinconico duetto iniziale di violino e clarinetto, prima che il sax di Colaone ci introduca in un locale newyorkese dei primi del ‘900, tra “pupe e gangster”. Netto cambio di clima nella seconda parte, quando lo stesso Colaone modifica il “soffio” ed entrano in scena con forza, su tutti, batteria, piano e violino, prima della quiete finale.

Episodio più intimo, e dai tratti più scuri, è Nuances. Piano, violino e fiati densi di pathos si alternano, in parte, al timone, prima di condurre insieme in porto la nave sonora. Sullo sfondo i leggeri tocchi di batteria e basso donano un animo riflessivo al brano, aumentando, in seguito, i giri nel finale.

Altro brano intrigante è Il sentiero incantato. L’avvio corale ma in “sordina” (una sorta di brano alla Julverne “attenuato”), da cui però emerge l’ipnotico violino di Zanon, è propedeutico al sognante intervento di Laruina al piano. In seguito i sei si lasciano andare a compositi e atmosferici intrecci, conquistandosi ognuno il meritato spazio, dal romantico sax di Colaone, al vibrante basso di Carin Marzaro (solo per citarne due), con saliscendi emotivi davvero interessanti.

Il papiro di Ani. Prova maiuscola di Laruina al piano: è lui che tiene le redini del brano passando con disinvoltura dal tocco talvolta morbido ed ispirato, altre un po’ più articolato, alla Roberto Cacciapaglia, a quello più “nervoso” alla Claudio Simonetti. Con lui, lungo i quasi sette minuti del brano, troviamo gli altri membri col compito di assecondare i suoi “sbalzi d’umore”: operazione riuscita ottimamente.

L’avvio di Split inside mette sul banco l’anima “menzognera” dei Démodé: le docili note di violino, clarinetto, sax e piano, col tintinnio della batteria, fanno supporre che il clima sarà sereno e avviluppante per l’intero percorso. Poi il basso della Marzaro concede qualche piccolo accenno di un qualcosa di diverso che è lì dietro l’angolo. Infatti, a seguire, i sei iniziano a dettare tempi più rapidi e a creare nuove situazioni sonore più vispe e intricate, prima di esplodere definitivamente nel finale, con le pelli “devastanti” di Zenarolla che trascinano tutti dietro di sé.

Charlotte. Brano dall’indole leggermente tanguera, grazie alle soluzioni messe in campo dal sestetto friulano che invita chi ascolta a ballare (se capaci!). Qui vediamo alternarsi al comando soprattutto il violino, ora danzante ora “ronzante” di Zanon, con i fiati eclettici di Zampieri e Colaone e il luminoso piano di Laruina, mentre alle loro spalle agisce soprattutto il vibrante basso di Carin Marzaro.

La camaleontica Luna indiana può forse essere eletta a “manifesto” dello stile Démodé, quasi cinque minuti in cui è racchiuso l’intero lavoro della piccola orchestra tascabile (brano definito dal gruppo stesso una radio impazzita che cambia continuamente stazione con ironia): dalla tensione iniziale all’esplosione pazza e un po’ folk/balcanica, dai momenti romantici alle accelerate guidate dal piano e dalla sessione ritmica, dai richiami jazz alle ballate allegre. I Démodé decidono di giocare a carte scoperte vincendo la “mano”.

Zucchero sotto sale. Ed anche il commiato di Ison si mantiene sui livelli dei brani precedenti. Protagoniste indiscusse delle prime battute, e poi ancora oltre, sono le impennate (quasi ska!) guidate da Zenarolla. Lungo il percorso, come sempre, clarinetto & Co. riescono a generare trame mutevoli e magnetiche che arricchiscono i minuti che trascorrono senza fretta.

Una prova compositiva ed esecutiva che denota qualità invidiabili e una maturità certamente acquisita. Chapeau!

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