OAK – Giordano Bruno

OAK

Giordano Bruno (2018)

Immaginifica by Aereostella

Una mente fertile, come quella di Jerry Cutillo, non può essere mai domata ed è così che il poliedrico cantante e polistrumentista (chitarra acustica 6 e 12 corde, flauto, tastiere, basso, mando-guitar, mandolino, tin whistle, tubular bells, percussioni, organo Hammond, EBow), con una carriera piuttosto densa alle spalle, mette a segno quello che è probabilmente il colpo più importante e riuscito della sua “emanazione” OAK (Oscillazioni Alchemico Kreative)Giordano Bruno.

È un percorso ciclico quello narrato dal concept album che parte da quel 17 febbraio del 1600, da Campo de’ Fiori, per tornare indietro e narrare alcune delle vicende dell’intensa vita del filosofo nolano e poi concludersi nuovamente lì, tra le fiamme dell’Inquisizione.

Pur avendo vissuto una gestazione piuttosto complicata, Giordano Bruno si presenta come una perfetta fusione tra folk, Canterbury sound e prog sinfonico, questo grazie anche all’incredibile squadra che Cutillo è riuscito a costruire intorno a sé: David Jackson (sax), Sonja Kristina (voce), Richard Sinclair (voce, basso), Maart Allcock (basso), Jenny Sorrenti (voce), Derek Wilson (batteria), Francesco De Renzi (piano, organo Hammond), Giacomo Pettinelli (batteria), Charles Yossarian (batteria), Fab Santoro (basso), Mirko Valtulini (timpani) e la schiera di vocalists Valentina Ciaffaglione, Gertrude Urner, Anna Maria Manzi, Pat Rowbottom, Alexa Trinity, Sue Llewellyn e Daniele Nuzzo.

Nonostante tutte le difficoltà riscontrate, ammesse sinceramente dallo stesso Cutillo nell’intervista rilasciata di recente ad Athos Enrile, il prodotto, fisicamente un doppio LP, è qualcosa di sorprendente, magico, un’opera di una qualità nettamente superiore alla media e che punta tutto sul “pacchetto completo” musica+testi+didascalie+confezione (il ben riuscito artwork è opera di Ed Unitsky, nome legato soprattutto alle straordinarie opere visive che accompagnano gli album dei The Samurai of Prog).

Campo de’ Fiori. Come detto, si parte dalla fine: Roma, 17 febbraio 1600. La porta della cella si chiude con un rumore sinistro. All’apostata Giordano Bruno, detenuto nel carcere dell’Inquisizione romana, viene applicata la mordacchia così da non poter gridare o lanciare anatemi lungo il percorso che conduce a Campo de’ Fiori. Lì, ad attenderlo, c’è il rogo. L’apertura musicale di Giordano Bruno è di quelle solenni e, aperta la cella, ecco sgorgare l’intreccio evocativo di tastiere (organo in primis) che chiama a sé, poco oltre, le corde di Cutillo e i colpi netti di Derek Wilson, prima che lo scettro del comando passi nelle mani del flauto malibraniano dello stesso Jerry, ben intessuto al candido piano di De Renzi: una sorta di “sinusoide sonora” che viene nuovamente ripresa ed arricchita nei minuti seguenti e che ci accompagna verso Viator temporis, breve episodio dalle tinte cosmiche interamente eseguito da Cutillo (Nei minuti che precedono l’esecuzione, la mente di Giordano è attraversata da venti remoti e nubi divinatorie).

Un concentrato di energia il primo brano cantato dell’album, Liber in Tiberi. Sorretti dalla precisa e costante sezione ritmica, l’Hammond di De Renzi e le tastiere del “padrone di casa” hanno la libertà di spaziare in lungo e in largo, comparendo e scomparendo dalla scena, mentre lo stesso Cutillo ha tutto lo spazio necessario per il suo canto appassionato ed evocativo (in latino), rafforzato dalle voci di Pat Rowbottom, Alexa Trinity, Sue Llewellyn e Daniele Nuzzo. E poi appare quasi dal nulla il sax di David Jackson con il suo tocco inconfondibile. Lungo tutti i quasi sei minuti si vivono sensazioni magiche, oscure, esoteriche che fanno tornare alla mente le opere di Antonio Bartoccetti e che ci narrano il primo impatto di Bruno con Roma: È il 1568. Giordano è un giovane monaco che parte alla volta di Roma per consegnare un volume scritto di suo pugno a Papa Pio V. Attraversando la città eterna incrocia una processione di prostitute scortate da uomini di chiesa. Li sente ammonire le peccatrici esortandole al pentimento mentre, con mani viscide, ne palpano le carni. Poco più in là, dall’interno di eleganti portantine, prelati gettano avanzi di cibo a fanciulli derelitti. Queste, ed altre scene, smorzano gli entusiasmi di Giordano. Non consegnerà più il suo libro al pontefice; affranto, lo getterà nel Tevere.

Turbato da quella sua prima giornata romana, Giordano vagabonda per la città. Giunge in Piazza Farnese dove, avvolto dal suo mantello, si distende alla luce di una lanterna e si abbandona al flusso di visioni e suoni dei secoli a venire. Ballata folk, un po’ Jethro Tull, un po’ Lingalad, ma soprattutto OAKAngeli senza ali, guidata dalla chitarra acustica e dal tenero canto di Cutillo. A dar man forte subentra poco oltre il soffice piano di De Renzi.

Dalle nebbie dei secoli emergono creature mitologiche. Dagli aspetti deformi o dai profili accattivanti, queste misteriose presenze sublimano diversi stati di conoscenza. In simbiosi con le forze della natura influenzano i destini del mondo e scatenano meraviglie o catastrofi. Decisamente magnetico l’avvio di Circe, con Cutillo che si divide ottimamente tra “fiati volanti”, chitarra acustica e voce. Col trascorrere dei secondi il brano acquista luce e “folklore” grazie al tin whistle suonato da Jerry, prima di farsi più compatto con l’ingresso delle ritmiche di Charles Yossarian e Fab Santoro. Il temporale improvviso e il suono di campane che spezzano in due l’episodio fanno presagire il peggio ma ecco spuntare dalle tenebre il flauto di Cutillo che, in ottima compagnia, si lancia in una danza medievale, prima del nuovo intervento di Jackson. Negli ultimi minuti la “squadra OAK” si muove brillantemente tra luci e ombre. […] Ieri Atlantide, Gesù, i cerchi nel grano, domani e sempre nuove domande avremo, sotto lo stesso cielo. Se pensi al quadrato, a qualunque confine, non troverai transito oltre la fine. Se vuoti il respiro, se apri la mente, se togli il vestito al corpo apparente riavrai il tuo sorriso, la chiave del tempo, tra Zenith e Nadir ritroverai il centro, il tuo momento.

Diana/MorganaSulla spiaggia di Noli i raggi luminosi danzano sulle onde e un sospiro profondo reincarna l’esistenza. Giordano è disteso sulla sabbia e contempla quell’immane bellezza fino a perdere i sensi. Al suo risveglio, lei! Avvolta nella seta avanza a piedi nudi, i suoi capelli come cristalli d’estasi. È amore! Amore che sa essere abbagliante ma anche crudele e perverso. Giordano ne percepisce la spinta vitale… ed il suo contrario. Un’introduzione magniloquente e cinematografica (elemento che tornerà anche oltre) spiana la strada all’ingresso della straordinaria espressività vocale di Sonja Kristina avviluppata dai morbidi orditi di chitarra acustica e piano e rinforzata con tenerezza dalla voce di Cutillo. Più avanti il tema si fa paradisiaco grazie ai vocalizzi di Valentina Ciaffaglione e al carezzevole substrato sonoro. E, dopo il ritorno del duo Kristina/Cutillo, e una nuova pennellata di Jackson, il finale che non ti aspetti: il caos.

Partenza particolare e spedita per La cena delle beffe, poi i tasti di Cutillo prendono in mano il brano con i loro “scherzi” alternandosi a più densi frammenti con flauto e vocalizzi in primo piano. Poco oltre partecipa alla festa anche il sax di Jackson raggiungendo, quasi a metà percorso, momenti canterburyani prima di ripiombare nell’oscurità iniziale e riprendere il cammino ciclicamente. Il banchetto alla corte di Enrico III, re di Francia, si trasforma in un acceso duello. Un accademico dell’università di Parigi tenta di screditare le teorie filosofiche di Giordano Bruno. A quegli attacchi Giordano risponde con una burla da ventriloquo che manda in visibilio tutti i commensali, finendo così con l’umiliare lo sventurato accusatore.

Nel palazzo del nobile inglese Sir Philip Sidney c’è molta eccitazione. È arrivato l’ospite di cui tutti parlano. Le bevande riempiono i calici e le pietanze fumano sui tavoli. C’è tanta curiosità per le arti magiche di Giordano Bruno ma il maestro è assorto in un profondo silenzio. Il banchetto ha inizio ma nulla sembra turbare l’ospite. I primi segni di impazienza serpeggiano già quando, improvvisamente, una pioggia di filamenti scende su tutta la sala. Nell’immobilità assoluta ognuno comincia a seguire l’incanto delle proprie visioni. Poi, lentamente, gli invitati si risvegliano dallo stato ipnotico ma le vivande sulla tavola sono fredde e le candele consumate, proprio come l’incenso alla mandragora posto ai lati del grande maestro. Lui ora, si illumina di un sorriso beffardo. Molto tenero l’avvio di Dreams of Mandragora con soffici velature alla Marillion. L’indole poetica del brano cresce decisamente poco oltre sublimandosi nei tappeti celestiali guidati dal piano di De Renzi, che avvolgono la calda fusione alchemica del canto di Richard Sinclair e Jerry Cutillo, e nel seguente soliloquio bucolico del flauto dello stesso Jerry. Dolcemente il brano ci conduce alla sua conclusione.

Esistono discipline che liberano poteri nella mente. L’energia, focalizzata in un punto, esplode liberando note nel cosmo. Giordano ne segue la scia fino alle orecchie di un compositore che vivrà tre secoli dopo. Continua la sua corsa sulla carrozza del tempo e questa volta si ferma in una piazza dove c’è un fuoco che arde. Giordano ne avverte la minaccia e potrebbe indietreggiare ma non lo fa! Fronteggia il suo destino con ostinazione. Si riprende relativamente vigore con Danse macabre, rilettura oakiana del breve poema sinfonico composto da Camille Saint-Saëns nel 1874. È la guida Cutillo, con il suo flauto fatato e andersoniano, ad indicare il cammino. I compagni di viaggio, Maart Allcock (basso), Francesco De Renzi (piano) e Giacomo Pettinelli (batteria), centellinano i propri contributi per poi esplodere più volte e riscomparire nelle retrovie.

The GlobeLe acque del Tamigi scorrono lente e una figura incappucciata avanza dal molo. Si ferma, alcuni metri più avanti, sull’uscio di una costruzione circolare a strisce bianche e nere. Il viandante grida di aprire ma dall’interno non vi è risposta. Chiama di nuovo e questa volta annunciando il suo nome – Giordano Bruno – Improvvisamente il luogo prende vita. Ecco apparire Gargantua, Falstaff, Pantagruel che, con le loro piroette, salutano l’ospite. Poi, infine, il signore della casa: Guglielmo Scuotilancia. E mentre i flutti marini s’infrangono sulla riva, un uomo cammina a passo svelto sul bagnasciuga introducendo la chitarra acustica di Cutillo, compagna principale del canto fresco dello stesso polistrumentista e voce degli OAK. Un paesaggio sonoro folkeggiante che richiama nuovamente i Lingalad e che sfocia poco più avanti in atmosfere che si muovono tra Jethro Tull e Beatles.

Giordano è in fuga dalla Francia accademica e dall’Inghilterra bigotta ed anche il suo strappo con la Chiesa Romana è ormai insanabile. Ottiene però una cattedra presso l’università di Wittenberg e comincia per lui un periodo felice. Al calare del giorno le rive del fiume Elbe si tingono di rosso, come il manto di una volpe che compare spesso alla sua vista. L’animale appartiene ad una specie che il Cristianesimo ha associato da sempre all’eresia e forse è per questo che tra i due nasce una profonda empatia. Alleati nel risveglio della notte fissano la corrente scivolare via. Il profilo della volpe trasmuta in una moltitudine di lingue d’argento e Giordano si abbandona al divenire del mondo. I primi minuti di Wittenberger fuchstanz si presentano come un’onda sonora che alterna picchi complessi, fatti di ritmiche irregolari e tastiere evocative, a tratti emersoniane, a frangenti pacati in cui è il canto di Cutillo a regnare incontrastato. Poi subentra la celestiale voce di Jenny Sorrenti e tutto si fa etereo, prima di essere “aggrediti” da un notevole segmento genesisiano in cui ritornano in campo tutti gli effettivi.

É lo straordinario “soffio” di Cutillo il protagonista indiscusso di Un valzer per il Mocenigo. Soave, deciso, descrittivo, avviluppante, Jerry “esplora” il suo strumento a 360 gradi dando vita ad un brano notevole in cui gli altri strumenti (e i vocalizzi di Gertrude Urner) sono un contorno utile (e consapevole) a creare la suggestiva atmosfera. La piccola imbarcazione ondeggia tra i flutti mentre le prime luci dell’alba cominciano a riflettersi sulla laguna. Giordano ha accettato l’invito di un nobile veneziano, un tal Mocenigo, che sembra molto interessato ad apprendere i segreti delle sue arti. Ma ciò si rivelerà una trappola e presto il filosofo sarà preda dell’Inquisizione. Il traditore pagherà comunque care le accuse rivolte al filosofo. Di lì a poco, mani invisibili ne stringeranno le viscere fino ad una lenta morte per dissenteria.

Sandali rossiAttraverso le sbarre della sua cella, Giordano osserva le stelle danzare. “Se è certo che ogni vicenda umana, avviluppata com’è nelle circostanze di un momento, non custodisce la verità assoluta, è altrettanto vero che spiriti eletti possono comunicare e condividere conoscenze anche a distanza di secoli. In uno di questi mondi infiniti, noi ci incontreremo”. L’attacco chitarristico alla PFM introduce il canto di Cutillo (Clamori di virtualità, templi e divinità lontani e impalpabili / verso vapori di terre barbare io e te… voleremo curvi senza sosta […]) e l’ingresso della lenta, ma non troppo, batteria di Pettinelli: un nuovo paesaggio dalle tinte mediterranee e folk. La cavalcata tribale di Pettinelli e il nervoso Hammond di De Renzi spaccano poi in due il brano dando il La al frangente nero e magico di bartoccettiana memoria. Infine, ha inizio la “lotta tra titani” dei fiati, Cutillo VS Jackson. Episodio grandioso. Il brano riprende una composizione già pubblicata nell’album “Heresis Strigiatum”.

Campo de’ Fiori reprise. Commiato commovente affidato inizialmente alle dita nocenziane di De Renzi che riprendono il tema del brano d’apertura. É poi un crescendo solenne e sinfonico con le campane che suggellano la discesa agli inferi (o l’ascesa al cielo?) di Giordano Bruno tra il vociare del volgo che lo osserva spirare sul rogo riprendendo, poi, la normalità della vita, tra l’indifferenza generale. Il calore delle fiamme è insopportabile e la folla arretra. Monaci incappucciati stringono crocifissi e mormorano litanie sotto un cielo che si colora di nero. Con gli occhi chiusi, serrati dal dolore, Giordano ha un ultimo pensiero: “Vivrò in tutti gli uomini che per saggezza diverranno folli, che per onestà verranno chiamati idioti, considerati pazzi perché le loro idee abbracceranno i sentimenti del cuore e non le regole dei potenti. Chi è condannato a morte da un secolo, vivrà in tutti gli altri”.

e… ai padroni del mondo, il menestrello chiese solo di non frapporsi tra lui e la musica.

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