Quanah Parker – Quanah!

QUANAH PARKER

Quanah! (2012)

Diplodisc

Strano esordire con un album antologico che raccoglie oltre trent’anni di carriera (inframmezzata però da una pausa di vent’anni). È ciò che è capitato ai Quanah Parker. Nati nel 1981, e sulla scena sino al 1985, le uniche testimonianze “fisiche” dei primi brani dei Quanah Parker circolarono unicamente su audiocassette scambiate tra amici.

Solo nel 2005 Riccardo Scivales, membro fondatore della band e musicista, compositore e arrangiatore di fama internazionale, decide di far rinascere la creatura cui, vent’anni prima, il servizio militare aveva “tarpato le ali”. Sono le sue composizioni, sia quelle realizzate negli anni ’80 insieme agli amici di un tempo, quali Roberto Noè e Alessandro Monti, e “rivisitate” per il nuovo millennio, sia nuove creature, comparse in alcuni casi su autorevoli riviste musicali specializzate statunitensi, quali “Keyboard Classic & Piano Stylist” e “Piano Today”, a far parte di questo primo “vero” lavoro.

Ad affiancare Scivales nella rinascita dei Quanah Parker troviamo musicisti di qualità come Elisabetta “Betty” Montino (voce), Giovanni Pirrotta (chitarra), Giuseppe Di Stefano (basso) e Paolo “Ongars” Ongaro (batteria). Grazie al loro contributo, a detta di Alessandro Monti, patron della Diplodisc, “quello che sembrava materiale ormai dimenticato e legato ad un preciso momento, ha cominciato a decollare nuovamente verso altri territori e a respirare un’aria nuova grazie alla fantasia di tutti i componenti della formazione attuale”.

Dall’ascolto di Quanah! forse qualcuno potrebbe aspettarsi un “dominio” delle tastiere di Scivales in quanto “padre” dei brani e della band. Nulla di più sbagliato (anche se il tocco di Scivales è sempre presente e ben riconoscibile). Grande protagonista, e lieta sorpresa, è la voce di Elisabetta Montino, al contempo celestiale e decisa. In essa rivivono voci del calibro di Jenny Sorrenti, Donella Del Monaco e Sophya Baccini. I musicisti si dividono equamente la “scena”, mostrando elevate qualità tecniche che permettono di passare dai frammenti spinti alle dolci ballate, attraverso momenti sinfonici, con scioltezza.

L‘album è un’opera composita, ma non slegata, il suo essere “antologia” non va letto come raccolta asettica o semplice “miscellanea” di brani creati in tempi e modi diversi, ma appare come frutto unico nato in un preciso momento. Lungo il cammino ritroviamo degnamente “citate” tutte le fonti di ispirazione della band, da Rick Wakeman e gli Yes, passando per Banco, Genesis, ELP ed Ekseption, sino alla musica classica del primo Novecento e il jazz.

Ad arricchire l’opera ci pensa anche l’onirico artwork realizzato da Elisabetta Montino e Roberto Riosa.

Chant of the sea-horse. L’album si apre in modo molto poetico grazie al suggestivo e intenso piano di Scivales, molto delicato il suo tocco, una via di mezzo tra un Nocenzi e un Cacciapaglia. Ad accentuare l’atmosfera onirica e sensuale ci pensano poi gli eterei vocalizzi di Elisabetta Montino.

L’avvio di No time for fears è leggermente sviante, con Scivales “morbido” e “anni ‘80” e la Montino sempre più angelica nel suo canto. Poi le ritmiche guizzanti prendono in mano il brano tessendo, insieme alla chitarra precisa di Pirrotta e alle pennellate di Scivales, una trama molto interessante, con qualche rimando ai Genesis.

Quanah Parker è una creatura multicolore che riesce a far emergere tutte le individualità e, nel contempo, restituisce un amalgama sonora notevole. È un lungo viaggio che ci porta dall’avvio zigzagante e rapido di batteria, chitarra, tastiera e basso al canto di Elisabetta Montino, una novella Jutta Nienhaus, passando attraverso frammenti ariosi, “pause” e atmosfere più dense, giungendo poi al minuto quattro dove gli acuti della stessa Montino fanno venire la pelle d’oca a Ian Gillian. E dopo uno stacco “spudoratamente” seventies, il brano continua il suo viaggio colorato, rappresentando una delle vette dell’album.

Un intreccio molto vivace realizzato da piano, chitarra e ritmiche dà il via a Sailor song, prima dell’ingresso sulla scena della solita voce espressiva della Montino. Qui il brano decolla con stacchi ed accelerate in stile The Mars Volta (un po’ meno cattivi). Poi l’atmosfera cambia diventando più intensa ed avvolgente.

Flight è un brano strumentale dove ogni musicista “affila” la propria “arma” in vista dei prossimi brani. Troviamo soli intriganti di basso e chitarra, il solito metronomo Ongaro alla batteria e Scivales libero di muoversi a proprio piacimento, il tutto arricchito da richiami a band quali Perigeo e Arti e Mestieri.

Una doppia anima antitetica contraddistingue The garden awakes. Nel primo minuto torna il morbido piano di Scivales, sulla scia del brano d’apertura, arricchito dalla dolce voce della Montino. Poi il brano s’indurisce, distorsioni corpose e colpi decisi di batteria chiamano alla mente gli Iron Maiden. Grande spazio per Pirrotta con il suo assolo dalle venature metal. Nel finale torna la calma.

Un velo di dolcezza ammanta l’intera After the rain. Dopo la pioggia iniziale, ecco spuntare il sole con il leggero arpeggio di Pirrotta, ma ancor più con gli angelici vocalizzi della Montino. È un soffice crescendo con gli ingressi delle tastiere, della batteria, del basso e della chitarra distorta, l’unica che cerca di “spezzare” l’incantesimo.  Per oltre sette minuti il brano si sviluppa su queste corde, con begli intermezzi di Di Stefano al basso e il solo di Pirrotta, mentre voce e tastiera reggono ben salda l’atmosfera di fondo.

Asleep. Brano diviso in due parti. La prima è una dolce ballata in cui la voce di Betty Montino diventa sempre più coinvolgente ed evocativa, mentre Scivales crea tappeti eterei. Con lui troviamo i suoi colleghi intenti nel “sopraffare” i vocalizzi celestiali. La seconda metà del brano è segnata dalla batteria decisamente più attiva e dal solo di Pirrotta, con il suo tocco gilmouriano. Il suo posto è poi preso dall’esuberante tastiera di Scivales. La Montino si incastra alla perfezione con i suoi vocalizzi, prima di riprendere il canto.

Silly fairy tales. Ancora un avvio leggero con le tastiere space di Scivales e il canto della Montino, prima che batteria, chitarra, basso e lo stesso Scivales, maggiormente ispirato, diano una “spinta” al brano. Si giunge poi al lungo assolo rockeggiante di Pirrotta (sullo sfondo troviamo l’ottimo lavoro di Di Stefano al basso), ben sorretto dal resto della band, prima del reprise del canto nel finale.

People in Sorrow è un’emozionante ballata con protagonisti principali, dopo il frammento mediterraneo iniziale di chitarra, Elisabetta Montino, con la sua voce sempre più appassionata e intensa, e il piano di Scivales, che la segue come un’ombra. Straordinaria la prova di quest’ultimo: rende l’atmosfera romantica in modo incredibile, coadiuvato ottimamente dagli altri membri della “squadra”.

Ad un primo, disattento, ascolto The limits of the sky sembra una “normale canzone”, caratterizzata da strofe lente e ritornelli rapidi, in cui sono soprattutto batteria e voce ad indicare la via. Riascoltandola attentamente ci si accorge del gran lavoro svolto dal basso di Di Stefano, dell’intermezzo d’organo, in bilico tra ’60 e ’70, dei vari e validi passaggi di chitarra e si apprezza maggiormente il lavoro svolto da voce e batteria.

A chiudere l’album ci pensa una “chicca storica”, Shenn Menn, brano registrato nel 1984 (e restaurato nel 2012 da Roberto Noè) dalla formazione originale: Riccardo Scivales (tastiere e voce), Roberto Noè (chitarra, voce), Stefano Covis (chitarra ritmica), Roberto Veronese (basso) e Giuliano Bianco (batteria). Si nota ben presto una forte venatura jazz, una via di mezzo tra le soluzioni italiane (Perigeo) e canterburyane (Camel) del decennio precedente, e un’atmosfera di fondo sognante e leggera. La coesione tra le varie individualità è notevole. Peccato sia l’unica testimonianza relativa a tale periodo inserita nell’album.

Una grande rinascita. Speriamo solo di non dover attendere altri trent’anni per un nuovo album (e non sarà così…)!

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