Sailor Free – Spiritual Revolution – part two

SAILOR FREE

Spiritual Revolution – part two (2016)

Tide Records

Quattro anni, questo il tempo necessario per chiudere il cerchio di Spiritual Revolution e scoprire che il protagonista del concept sei tu, l’ascoltatore. Ma andiamo per ordine.

È il 2010 quando i Sailor Free, dopo diversi anni di pausa, decidono di riprendere il cammino lavorando ad un concept album in cui immaginano una possibile rivoluzione culturale profonda. L’ispirazione nasce dall’opera “Il Silmarillion” di Tolkien e, in particolare, dalla storia di Beren & Luthien: Una storia di amore, condivisione e una ricerca impossibile sembrava la cosa giusta in un presente distopico come quello che viviamo. Così abbiamo iniziato a scrivere la nostra storia, ambientata in un futuro prossimo, in un mondo diviso in Caste, dove i nostri eroi e gli Spiritual Revolution Messengers combattono per ottenere Entropia, un congegno che potrebbe dare energia illimitata e libera per l’intero pianeta.

Nel 2012 esce così “Spiritual Revolution – part one”. Si, solo la prima parte perché il troppo materiale creato ha “costretto” il gruppo alla realizzazione di due album.

Tocca attendere il 2016 per completare il percorso rivoluzionario con Spiritual Revolution – part two. È qui che, nelle parole di Petrosino, prosegue e termina il cammino degli Spiritual Revolution Messengers: La storia dei Messaggeri della Rivoluzione Spirituale e la loro lotta per ottenere Entropia sta per concludersi. Ma tutto cambia, e improvvisamente ti rendi conto che stai interpretando il ruolo principale, tu sei l’eroe e l’eroe sei tu, come Entropia. Adesso sai che sei il giocatore e l’ascoltatore, e il giocatore è la musica e lei è te. Adesso tu sei Entropia ed Entropia sei tu, e tu puoi cambiare tutto…”.

E nelle magnetiche ambientazioni sonore in cui è immerso il racconto, plasmate dagli storici David Petrosino (voce, piano, tastiere, chitarra), Alphonso Nini (basso), Stefano Toni (batteria) e Stefano “The Hook” Barelli (chitarra), con l’aiuto di Raimondo Mosci (batteria), Lorenzo Canevacci (chitarra), Cecilia Amici (voce), Stefano Ribeca (sax), rivivono molte delle anime musicali di Steven Wilson (dai No Man agli I.E.M., dai Porcupine Tree ai Blackfield). Un manto dark avvolge l’intero album senza appesantirlo ma rendendolo ancor più ricco di fascino, fungendo anche da elemento che rende omogeneo un lavoro sapientemente, ma non completamente, eterogeneo, in cui il progressive rock è solo uno dei molti tasselli che va ad inserirsi in un’architettura che spazia, tra l’altro, dall’elettronica al post rock, dalla psichedelia a quella corposità scura e affascinante che ha reso già leggendari i Depeche Mode, senza disdegnare la melodia “diretta”.

Ad impreziosire Spiritual Revolution – part two ci pensa anche l’elemento grafico, con l’enigmatica “confezione esterna” realizzata da Terrence Briscoe e il booklet curato sempre da Terrence Briscoe e da Cecilia Amici, Carmine Ginnetti, Ines Cappelli e David Petrosino, in cui troviamo le chiavi di lettura per immagini dei brani.

Spiritual Ouverture II. Una breve intro disorientante fatta di suoni minimali ed elettronica, apre Spiritual Revolution – part two. Nessun punto di riferimento è offerto per la prosecuzione dell’album.

The maze of Babylon. Partenza fulminea con una trama canterburyana fatta di sax, chitarre e dense ritmiche (ecco apparire, per esempio, Van der Graaf Generator o Soft Machine). Poi l’atmosfera si fa seducente e misteriosa con l’ingresso di Petrosino, una voce maliarda e intrigante, ben sorretta dal sussurrato piano e da inserti elettronici al “primo sguardo” stridenti. Tutto conduce al refrain corposo, d’impatto e penetrante (And we claim their fall / But we take their call / And the shame of war / Raise the fame of a new talk show). Tripartizione che torna poco oltre con spazio anche al solo jacksoniano di Ribeca.

Nera e a tratti alienante Society, con il suo clima krauto ed ermetico che apre poi all’ambientazione piuttosto differente di The fugitive.  Con quest’ultimo episodio, in cui troviamo un David Petrosino “tuttofare” (suoi sono voce, piano, tastiere, percussioni, chitarre), siamo catapultati nel mondo dei Depeche Mode: voce (ben “potenziata” da Cecilia Amici), atmosfera, suoni, tutto riconduce a Gahan e soci.

Coperto dal “consueto” velo scuro che ammanta buona parte del cammino, ecco scorrere una serie d’immagini ben realizzate e ottimamente giustapposte nel “prassinoscopio sonoro” che è Amazing. La prima scena vede un leggero martellio di batteria e piano, con la voce di Petrosino che ben si adatta e muta col trascorrere dei secondi (a tratti “torna” anche Dave Gahan). Si sfocia in un vellutato segmento in cui lo stesso vocalist sfiora romanticamente le gote di chi ascolta. Spazio poi alla tensione e all’aggressività con l’ingresso della chitarra ruvida e “scandinava” di Barelli e di voci inquietanti, prima di planare nuovamente sul morbido.

Piuttosto caustica Game over. It’s me con il suo continuo rincorrersi e incrociarsi di elettronica aspra e batteria, con inserti a “tema” di chitarra e voce.

We are legion. Prima parte che si regge sull’interessante contrasto tra il ticchettio di batteria e i graffi di chitarre e tastiere da una parte e la voce “accomodante” e il piano “caldo” dall’altra. Si cambia passo in tutti i sensi poco oltre, con la batteria marziale di Stefano Toni, i rinforzi vocali di Cecilia Amici e l’inasprirsi della chitarra di Barelli che conducono verso un profondo “abisso vocale” e il vortice distorto che ne consegue, prima di ripetere in parte il ciclo in una coesione sonora perfetta. You are not alone here / We are a legion waiting / For a better day / For a better place / We are not alone here / We are a legion fighting / For a better day / For a better place.

Esternamente Special laws si presenta come un’oasi di pace accogliente. È la sensuale voce di Petrosino a rendere il clima quasi idilliaco, nonostante le ritmiche di fondo, dal passo jazzato, siano quasi “invadenti”, così come il basso di Nini e le tastiere non certo tenere. Sul finire l’irruente chitarra dello stesso Petrosino va ad appesantire il clima che diventa vertiginoso col passare dei secondi.

Cosmos spezza di netto il percorso con il suo “rumorismo” sinistro e sperimentale, una sorta di omaggio al Battiato dei ’70 o ai Dedalus di “Materiale per tre esecutori e nastro magnetico”.

Atmosfera tesa, con sporadiche dilatazioni post rock e barlumi à la Tortoise, per About time che la solita voce espressiva di Petrosino riesce a mitigare, prima di essere inondanti da una marea sonora allo stesso tempo violenta e armoniosa. E sul finire veniamo abbandonati nello spazio più profondo.

Stranamente placido l’avvio di Revolutionary soul, nonostante i suoni siano tutto fuorché dolci, con un uso dell’elettronica e della voce che a tratti richiama i Bluvertigo di “Forse” (cantata da Andy). Ci pensa il solito canto di Petrosino a tenere a “bada” l’atmosfera che torna anche a menzionare i Depeche Mode, sino alla tragica deflagrazione.

Un lavoro ottimamente concepito e realizzato che chiude magnificamente la Rivoluzione spirituale dei Sailor Free.

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