Sand – Golem

SAND

Golem (1974)

Delta Acustic

È il 1974: la Germania del krautrock ha già offerto tanto, tantissimo, ma non si è di certo fermata. In questo stesso anno, ad esempio, esce Phaedra dei Tangerine Dream, ed è in questo stesso anno che i Sand pubblicano il loro unico album Golem.

È sul finire del 1972 che i fratelli Ludwig e Ulrich Papenberg (il primo addetto alla chitarra, all’organo e alla batteria elettronica, il secondo bassista e percussionista), insieme a Johannes Vester (voce, synth VCS3, chitarra), terminata l’avventura con i Part of Time, danno vita ai Sand. Con la precedente esperienza erano entrati in contatto con Manfred Schmidt, manager dei Can, il quale restò impressionato dalle capacità dei musicisti durante un concerto in cui si esibirono accanto ai più blasonati “colleghi”. Lo stesso Schmidt decide dunque di introdurre i tre musicisti alla “corte del re” Klaus Schulze.

Dall’incontro col genio tedesco nasce Golem, album prodotto dallo stesso Schulze. L’opera è caratterizzata soprattutto da atmosfere tetre, giocate sugli effetti elettronici e la voce sintetica di Vester. Il “verbo cosmico” di Schulze si legge in particolar modo nei brani più lunghi (ad esempio Helicopter e Sarah), veri e propri viaggi lisergici, mentre nei brani May rain e On the corner sembra emergere forse la vera anima “autonoma” dei Sand, meno inquieta e/o inquietante e più musicale. Curiosa è la scelta di realizzare i testi in inglese.

L’album si apre con Helicopter. Facendo fede al titolo, il brano si apre appunto col suono di un elicottero sintetico, prima che una chitarra scura e monotona faccia da supporto ad un lamento d’oltretomba. La stessa chitarra prende leggermente vita poco più avanti (sembra anticipare di alcuni decenni il brano Senza finestra degli Afterhours) ed è qui che facciamo la conoscenza di Vester, la sua voce effettata richiama fin troppo da vicino quella di Billy Corgan degli Smashing Pumpkins. Sarà questa accoppiata tetra/minimal a tenere la scena per diversi minuti, fino all’ingresso di suoni space ed un cambio di registro vocale che renderanno quasi sofferta e più dilatata l’atmosfera.

Un clima tensivo avvolge l’intera Old loggerhead. I protagonisti sono ancora la chitarra di Ludwig Papenberg lenta e ipnotica, gli effetti space lugubri e la voce cantilenata e sinistra di Vester. A metà percorso c’è un finto risveglio il quale però non muta l’atmosfera di fondo, con il trittico di interpreti che rimane immutato.

May rain è una sorta di ballata folkeggiante leggermente oscura dove la chitarra di Ludwig Papenberg diventa più attiva rispetto ai minuti precedenti lanciandosi in arpeggi “squillanti”. Vester a suo modo si presenta con una dolcezza inaspettata. Il tutto è condito da un “rumore di fondo” sintetico che serve a ribadire l’anima dark dei Sand. Il brano è stato ripreso dai Current 93 nel 2010 (il titolo è stato modificato in When the may rain comes).

In On the corner subentra un nuovo interprete: Ulrich Papenberg alle percussioni. Il suo ritmo tribale contribuisce al “crescendo sonoro” che si avverte con l’avanzare dei brani. La chitarra allegra e la voce sempre più simile a un Billy Corgan “incrociato” con Mick Jagger, rendono quasi luminoso questo brano, in netto contrasto con l’anima dell’album dimostrata sinora.

Con la finale Sarahsuite con due movimenti, si ripiomba nell’oscurità. Per due terzi della sua lunghezza (Passacaille) il brano si trascina con suoni lenti e cupi ripetuti quasi all’infinito (il primo minuto sarebbe perfetto per la colonna sonora dei vecchi film horror). Ogni tanto si inserisce la voce sussurrata e inquietante di Vester che chiede “Is it you Sarah?”, la risposta è “No, it’s the storm”. Terminata questa prima parte la chitarra di Ludwig Papenberg si apre (Per aspera ad astra), mentre una sorta di coro angelico diventa il protagonista (era già comparso in precedenza, a loro era stata affidata la risposta al quesito di Vester). Dura poco perché nel finale si ritorna nelle tenebre.

Non siamo di certo di fronte ad una pietra miliare krauta, ma Golem rappresenta una delle tante sfaccettature della verve creativa che ha investito il mondo artistico teutonico in quegli anni.

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