Intervista ai Démodé

Diamo il benvenuto a Francesco Zanon (F.Z.), Carin Marzaro (C.M.) e Alberto Zenarolla (A.Z.) dei Démodé!

F.Z.: Grazie per l’invito!

C.M.: Ciao!

A.Z.: Mandi!

Iniziamo la nostra chiacchierata con un classico: quali sono le origini del progetto Démodé? E perché la scelta di tale nome?

F.Z.: La voglia di fare qualcosa di nuovo, ma “che fosse nell’aria”, una sorta di far da sé ciò che piace con il gusto di non essere vincolati a mode o correnti.

C.M.: Esatto, suonare per il gusto e la gioia di farlo, dedicandoci esclusivamente a brani originali con un suono nostro, personale, senza il bisogno di rifarci a stilemi già codificati.

Quali sono gli studi e i percorsi musicali (non solo di ascolto) dei singoli? Nelle vostre produzioni si scorgono un gran numero di influenze. Ci sono stati “punti di contatto” tra di voi, precedenti all’esperienza Démodé?

F.Z.: Sei persone, sei percorsi di vita, di ascolti, di formazioni: è il bello di potersi confrontare con gli altri e imparare giocando con il nuovo come i bambini.

A.Z.: Io suono nei Démodé grazie alla lungimirante intercessione di Carin, che mi ha proposto quando la band si è trovata senza batterista, e con lei sicuramente condivido il background rock e funk che è parte integrante della sonorità del gruppo. Senza dilungarci in superflui pseudocurriculum, tutti veniamo da esperienze più o meno accademiche, chi più legato alla musica classica, chi popolare, chi moderna; la diversità di ogni individuo è sicuramente linfa vitale per il gruppo.

La formazione a sei vede, tra gli strumenti, un’esclusione “eccellente”: la chitarra. È davvero superflua per il vostro modo di concepire la musica? Stesso discorso vale per la voce.

F.Z.: C’è la chitarra basso! Scherzi a parte, la vera “esclusa” per scelta è la voce (vedi il titolo del primo LP): la musica, come la vogliamo fare noi, basta e avanza nel comunicare; in più chi canta diventa frontman mentre chi suona insieme fa squadra.

A.Z.: Sì. Ogni periodo storico ha avuto strumenti musicali più o meno in voga, sicuramente dopo il secondo dopoguerra la chitarra è stata eletta a strumento principe della musica di massa, ma se pensiamo a qualsiasi altro periodo storico però non mi pare che godesse di questa grande reputazione. Trovo che nei Démodé l’inserimento di una chitarra (classica o elettrica) sarebbe superfluo, soprattutto perché all’occorrenza gli strumenti della nostra formazione ricoprono egregiamente quella di funzione, e soprattutto siamo già in tanti!

Fare musica strumentale è una scelta, io personalmente amo molto poter essere ambiguo e poco inquadrabile artisticamente, i testi necessariamente vincolano la musica a qualche sorta di significato. La presenza di una voce in una formazione poi sottintenderebbe una certa gerarchia che non fa parte del nostro modo di fare musica, noi siamo per la démodécrazia.

Racchiudete il vostro variegato genere musicale in una definizione piuttosto “anomala”: liscio d’avanguardia. Potreste illustrare meglio questa “etichetta”?

C.M.: Siamo borderline per qualunque genere e ogni volta che ci troviamo a dover rispondere alla fatidica domanda “ Che musica suonate? ” non riusciamo né possiamo racchiuderci in una categoria. Così abbiamo iniziato ad inventarcele!

A.Z.: È un’evidente presa in giro alla smania di voler etichettare ogni espressione artistica a tutti i costi; non è totalmente campata in aria però: “liscio” sta a rappresentare la tradizione che ci è tanto cara, e “avanguardia” rappresenta il modo con il quale ci piace reinterpretarla. “ Tradizione è custodire il fuoco, non venerare le ceneri ”.

Il vostro primo album, “Le parole al vento”, esce nel 2011 (in realtà, nel 2009, pubblicate l’EP “Démodé”). Vi va di raccontare il percorso “da band” che vi ha condotto sin qui e il contenuto dei due lavori?

F.Z.: L’idea di formare un ensemble è nata nell’agosto del 2005 ma sapevamo che ci sarebbe voluto del tempo per creare un linguaggio comune, un metodo di lavoro, un percorso di ricerca personale e in team che portasse a dei risultati soddisfacenti; il lavoro di composizione e ascolto reciproco è durato buoni tre anni durante i quali il numero dei componenti variava un po’, finché nel 2009 il ritorno di Carin e l’arrivo di Alberto hanno portato stabilità. Da qui sono nate le prime esperienze con il pubblico, il primo EP, Italia Wave, Musica Nelle Aie, Le Parole al Vento eccetera… Ci dispiace moltissimo che Lucia abbia dovuto lasciarci ma Andrea ha portato così tanta allegria che sicuramente si sente anche!

C.M.: Ci siamo incontrati e conosciuti nel 2005 ma è dal 2009 che l’avventura vera e propria è cominciata. Non so quanto interessante possa essere raccontarvi tutti i retroscena occorsi, trovo che le biografie infinite delle band siano quanto di più noioso ci sia, ma sicuramente il cambiamento è tangibile ascoltando le incisioni.

E il 10 maggio 2015 esce “Ison”. Come sono cambiati i Démodé in questi quattro anni? E quali sono le differenze più importanti tra i due (tre) lavori?

C.M.: Secondo me i Démodé siano cambiati moltissimo e, cosa più importante, continuino a farlo. Fra i due dischi sono successe molte cose alla band così come nelle esperienze dei singoli, e il suono di Ison è il conseguente risultato di questi percorsi. Suono che amo moltissimo, sono davvero soddisfatta dell’atmosfera, della pasta sonora, del significato e dei brani che ne sono contenuti. So che è molto meno immediato dei predecessori ma la cosa non mi preoccupa, se cercassimo un facile consenso faremmo tutt’altro 🙂

A.Z.: I due album sono nati in modo diverso: “Le Parole al Vento” racchiudeva il meglio della nostra produzione fatta sino a quel momento, mentre per “Ison” abbiamo cercato di creare un lavoro più omogeneo, mirando ad ottenere un certo tipo di sonorità attraverso l’arrangiamento dei brani, alcune scelte musicali, senza sottovalutare l’impronta che è stata data al mixaggio. Trovo che “Ison” sia sicuramente un album più maturo e coraggioso del precedente, ma trovo anche che “Le Parole al Vento” abbia una spontaneità e una leggerezza quasi adolescenziale che ne rendono molto godibile l’ascolto.

Nella recensione affermo che la vostra musica è folk, è jazz, è avant-prog, è musica da camera, è sperimentazione, è improvvisazione, è musica cinematografica, in poche parole è un universo sonoro che travalica i generi e il tempo. Come si riesce a conciliare tutte queste caratteristiche risultando originali e convincenti? E come nasce, dunque, un brano dei Démodé?

F.Z.: Segreto 🙂

A.Z.: Allo stesso modo in cui un individuo è frutto delle esperienze che ha vissuto, la nostra musica esprime quello che sentiamo senza mirare a nessun particolare risultato. Probabilmente se cercassimo di suonare più folk, più jazz o più pop la cosa comincerebbe a scricchiolare. Un brano dei Démodé nasce in diversi modi: può scaturire da una jam session o dalle prove, come essere stato scritto nota per nota da un singolo componente del gruppo, o essere una via di mezzo tra i due estremi.

Una caratteristica non “sonora” che accomuna i vostri lavori è l’autoproduzione. Come mai questa scelta? Non avete mai provato a proporre la vostra musica ad un’etichetta?

C.M.: Ci abbiamo provato senza ottenere granché, a volte nemmeno una conferma di aver ricevuto il disco o un parere. Tranne per un’unica, eccellente, eccezione: la Tuk Music di Paolo Fresu che ci ha risposto personalmente ringraziandoci di avergli inviato il disco e che lo avrebbe certamente ascoltato. Ho apprezzato infinitamente quella mail scritta con calore e gentilezza, in questi tempi di indifferenza e nessuna risposta.

Trovo che la maggior parte delle etichette discografiche abbiano perso la loro funzione di scoperta, ricerca, aggregazione artistica, creazione di un gruppo organico di musicisti e band da far crescere e promuovere con una precisa intenzione musicale. Le uniche proposte che abbiamo ricevuto prevedevano un mero aiuto al processo di creazione “fisica” del disco, cose che siamo perfettamente in grado di gestire da soli, con la differenza che poi i dischi li avremmo dovuti acquistare dall’etichetta.

Avete incontrato delle difficoltà nel promuovere il vostro “prodotto” in questi primi anni di carriera?

C.M.: Ahinoi sì, le difficoltà sono tantissime. Il dispendio di tempo ed energie che va speso per la promozione è infinitamente maggiore e più stancante di quello da dedicare allo studio e alla composizione di brani e purtroppo, occupandoci autonomamente di tutti gli aspetti della nostra produzione, non possiamo ancora permetterci uffici stampa o figure professionali dedicate a questo.

Immaginiamo che sul fronte live la vostra offerta sia davvero coinvolgente. Come sono, quindi, i Démodé sul palco e quali sono le reazioni del pubblico alla vostra proposta?

C.M.: Ce lo dicono tutti, fortunatamente! E una delle cose che ci inorgoglisce di più è che a fine concerto chi viene a scambiare qualche parola, a raccontarci che il concerto è piaciuto o a chiederci maggiori informazioni e curiosità, sono persone di diversissima estrazione musicale, età e background culturale. Riguardo le reazioni… temo andrebbe chiesto ai diretti interessati!

Esulando per un attimo dal mondo Démodé, ci sono altre attività artistiche che svolgete nella vita quotidiana? Ad esempio Carin si occupa di grafica e illustrazione.

C.M.: Tutti hanno una sensibilità artistica, chi più o chi meno. Ma, in particolare, Claudio si occupa di scultura e pittura.

Cosa prevede il prossimo futuro dei Démodé?

C.M.: La mia speranza è suonare dal vivo in luoghi e situazioni deputati all’ascolto attento, ho un debole per i piccoli teatri.

Grazie per la bella chiacchierata!

C.M.: Grazie di cuore per la gentilezza e l’ospitalità!

(Maggio 2016)

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