Intervista ai Thauma Cincinnato

Diamo il benvenuto a Giacomo Urbanelli (G.U.), Gianni Fantuzzi (G.F.), Franco Erenti (F.E.) e Paolo Burattin (P.B.): Thauma Cincinnato.

G.U.: Sono sempre contento di raccontare di musica perché la musica è l’elemento più importante della mia vita.

G.F.: Siamo onorati per il vostro interessamento che ci offre la possibilità di un’intervista per esprimere dal vivo i moventi che ci hanno portato a realizzare e a portare avanti il nostro progetto Thauma Cincinnato, infatti, dopo “L’essere e l’auriga” stiamo già lavorando a un altro album e alla preparazione per uscite live.

F.E.: Ovviamente è un piacere reciproco ed inaspettato dopo tutti questi anni.

P.B.: Grazie a voi, è un piacere reciproco.

Partiamo dal principio: quali sono stati i primi “passi musicali” di Giacomo Urbanelli, Gianni Fantuzzi, Franco Erenti e Paolo Burattin? E come si arriva al progetto Eros Natura?

G.U.: Lezioni di pianoforte da bambino e poi tanta voglia di fare musica.

G.F.: Fin dai 13/14 anni, per noi e un folto gruppo di coetanei, fu il canale espressivo degli eccessi dei nostri temperamenti entusiasti, inquieti e tormentati che ben si accordava con l’amore per la musica rock e successivamente con il jazz; da ragazzi cercavamo di imitare, con dubbi risultati ma con patetico ardore, gli dei di cui eravamo infatuati: i Beatles, i Rolling Stones, Bob Dylan, Jimi Hendrix, i Doors, i Cream, i Traffic, Janis Joplin e poi Leonard Cohen, Jethro Tull,  il jazz di Miles Davis e chi più ne ha più ne metta.  Che stagione!
La svolta fu quando io e Giacomo Urbanelli, alla fine degli anni ’60, iniziammo a suonare con piano e chitarra dei brani che Giacomo proponeva e che poi elaboravamo, per un certo periodo in duo e successivamente, con l’aggiunta di altri velleitari come noi, Franco, Donato e poi Annibale, ci si lanciava in interminabili improvvisazioni nelle quali si mescolavano rock jazz e persino spunti classicheggianti: da lì scaturì la nostra personale interpretazione progressive. Ma si sa che l’unione fa la forza: “Il Gruppo è Insieme”, da ragazzi sono parole sciamaniche e prodigiose, producenti un incantesimo dal quale scaturisce l’invenzione di un mondo nuovo: la nostra musica, quella realizzata da noi, a volte anche sgangherata, improbabile o quel che si vuole, ma che per noi era la nostra Utopia. Lì, in quel luogo immaginario però pieno di reali emozioni, ebbe origine Eros Natura.

F.E.: Un po’ come tutti gli amanti della musica degli anni ‘60, una gran voglia di emulare i nostri miti, Beatles e Rolling Stones. Un brulicare di complessini in paese e fuori, la voglia di imparare qualche trucco o accordo in più, sino a maturare la possibilità e gran desiderio di fare musica propria. E qui le cose cambiarono, poiché, se da un lato c’erano un mucchio di coetanei che suonavano, ben pochi però avevano realizzato la possibilità di creare musica propria. Per questo l’incontro di Giacomo e Gianni ha attirato la mia attenzione, mentre cercavo in qualche modo di suonare le mie piccole idee musicali con Paolo Burattin e Donato Scolese. Così nacquero gli Eros Natura.

P.B.: Le mie esperienze musicali presero forma e sostanza, quale aspirante chitarrista autodidatta, suonando con Franco Erenti (ci conosciamo dalla scuola elementare!) e Donato Scolese, periodo in cui ci si immergeva in modo maniacale nelle musiche dei Grand Funk Railroad, dei Cream, dei primi Jethro Tull… Poi incontrai più o meno nello stesso tempo Annibale, Gianni e Giacomo e divenni spettatore (Espectadore) appassionato e partecipe della loro fluente e prorompente creatività musicale.

Due anni dopo la nascita degli Eros Natura, siamo nel 1972, l’invio di una vostra demo vi fa entrare in orbita PDU, da qui il consiglio della stessa di modificare il vostro nome in Cincinnato. Fu davvero l’etichetta a spingervi verso il cambio onomastico? Con quale motivazione? E come cadde la scelta sul nome dell’uomo politico dell’antica Roma (credo vivamente provenga da lui!)?

G.U.: Sì, fu il direttore artistico (forse su consiglio del Vaticano) a consigliarci di cambiare il nome, secondo loro troppo allusivo al sesso (sic).
Il nome Cincinnato invece allude non al ruolo di dictator, ovviamente, del personaggio mitico dell’antica Roma, ma al suo amore per l’agricoltura come simbolo della rinuncia al potere sociale.

F.E.: Di questo non so rispondere perché proprio dopo i primi contatti con la PDU il sottoscritto partiva per il servizio militare e buonanotte sonatori…

Il ruolo del bassista, in questo periodo, vive una serie di avvicendamenti: Franco Erenti-Annibale Vanetti-Paolo Burattin (il secondo comparirà nelle registrazioni dell’album). Come mai?

G.F.: Dopo che Franco dovette separarsi dal gruppo per il militare attraversammo un periodo  piuttosto disagevole, in parte eravamo dispiaciuti per il distacco dall’amico e in parte per la difficoltà di reperire un bassista al suo livello; ne contattammo alcuni ma  proprio non reggevano il confronto, sia dal punto di vista delle capacità tecniche, sia per la musicalità, anche se a noi non sembrava di essere particolarmente pretenziosi, o forse un po’ si… Anche noi, come spesso accade da giovani, avevamo la nostra dose di supponenza… però essa costituiva anche la forza propulsiva a voler fare sempre il meglio… mah! Fatto sta che finalmente arrivò il Messia, ovvero Annibale. Era un chitarrista con una capacità ritmica notevolissima e un feeling fuori dal comune, possedeva dunque le doti necessarie per afferrare il basso e scoprire che quello sarebbe stato il suo strumento d’elezione. Io in passato avevo già suonato per alcuni anni insieme a lui, fin da ragazzini eravamo amici per la pelle, così con la frequentazione assidua che ancora si manteneva in quel periodo, egli giunse a maturare l’idea di unirsi a me, Giacomo e Donato; era fatta! Finalmente avevamo trovato il Bassista Maiuscolo, infatti dette un contributo sostanziale alla band con la sua inventiva, oltretutto sarebbe stata una risorsa ulteriore per il futuro, se lo avessimo avuto, in quanto aveva una voce notevole e sapeva cantare molto bene, doti che non abbiamo potuto utilizzare per lo scioglimento prematuro del gruppo. Beh, ora c’è Paolo, seconda rivelazione messianica, perché, oltre alle qualità di cui sopra, possiede anche una solida preparazione tecnica e teorica.

F.E.: All’inizio sono stato il primo bassista del gruppo, strumento bellissimo ma che ho sempre suonato in modo istintivo e si può dire da autodidatta, come pure la chitarra, ed il motivo è semplice, ho sempre studiato pianoforte ma, per ragioni economiche, non ho mai potuto possedere un bel piano Fender o Wurlitzer,  quindi ho optato per un più economico basso elettrico.
Poi naturalmente venne in mia sostituzione Annibale Vanetti e dopo ancora, al mio ritorno, quando ormai il gruppo si era separato, sono tornato come pianista, Paolo da chitarrista è passato così al basso e Scolese compiva i primi passi col vibrafono.  Si alternavano così due batteristi, Donato Scolese e Franz Piatto, l’attuale batterista dei Mano Loca di Massimo Vecchi (Nomadi).

P.B.: Chiarisco ora. Il mio ingresso nel gruppo avviene dopo la pubblicazione dell’album (siamo nel 1975), al suo abbandono sostituii Annibale al basso, ciò coincise peraltro con il termine del mio servizio militare.

Con la PDU pubblicate il vostro omonimo debutto discografico a nome Cincinnato. Vi va di raccontarci la genesi di quel lavoro? Come mai fu pubblicato solo nel 1974?

G.U.: I brani dell’LP Cincinnato furono composti nel corso dei due anni precedenti la pubblicazione del disco (aprile ’74). Annibale Vanetti, tramite un’amica che lavorava in PDU, seppe che cercavano gruppi nuovi (“d’avanguardia”) da produrre.

G.F.: L’amica di Annibale, a sua volta, era amica di un altro amico DJ e bassista che venne nella nostra sala prove con tanto di Revox, il massimo dei registratori di allora con tanto di microfoni per registrazione stereo! Incredibile a confronto degli standard odierni; registrò alcuni brani e il nastro fu il nostro biglietto da visita e il nostro esame per la casa discografica, che poco tempo dopo ci mandò a chiamare.

F.E.: Passo la mia risposta ai miei colleghi che hanno vissuto l’evento.

Cincinnato” è caratterizzato da forti venature jazz-prog e lascia emergere le grandi doti tecniche dei singoli. Realizzare questo tipo di musica era qualcosa che nasceva naturalmente dalle vostre “viscere” o c’è stata una sorta di decisione presa a “tavolino” sul tipo di musica da concretizzare?

G.U.: Il jazz è ovviamente uno dei tanti elementi d’ispirazione della nostra musica, al pari della musica classica e, ovviamente, del rock anni ’60. Credo però che non si possa intendere lo stile prog se non si vedono nella giusta luce due degli elementi programmatici dei musicisti di allora: l’improvvisazione, cui veniva data grandissima importanza, e l’accostamento di stilemi diversissimi che produceva, a volte, un caleidoscopio di immagini e colori.

F.E.: Credo che l’approccio creativo (almeno per quando c’ero io) consisteva nello sviluppare la maggior parte di idee, che erano di Giacomo e Gianni, trattandole come “materia prima lievitante” durante le sterminate ore di improvvisazione sull’idea stessa, trovando così assieme le soluzioni buone per ricucire ed arrangiare il tutto. Il mio apporto è sempre stato di carattere armonico e di sintesi, a cui evidentemente sono portato. Quindi il “tavolino” a cui accennavate erano le continue jam session sui temi da sviluppare.

Il progressive ha sempre “puntato forte” sulla componente visiva e il vostro album ne è la conferma. Come nasce, dunque, la cover delle “uova colorate”? Chi è l’autore?

G.F.: L’idea iniziale fu di Annibale, ci piacque subito la rappresentazione di Cincinnato come qualcosa che sarebbe nato di lì a poco con la schiusa di quell’unico uovo bianco, diverso da tutti gli altri colorati, ma quel bianco contiene tutti i colori dello spettro che sarebbero scaturiti dalla tavolozza sonora. In seguito la realizzazione pratica dell’idea fu di Donato con la collaborazione di Boccolacci un suo insegnante di liceo artistico.

G.U.: Donato Scolese si arrabbiò molto perché il fotografo che lavorò per la copertina spostò le uova compromettendo l’effetto ottico.

Al netto di tutto, com’è stato il vostro rapporto con l’etichetta della famiglia Mazzini (libertà di “movimento”, sostegno, promozione, ecc.)?

G.U.: Non avemmo molti giorni per lavorare alla registrazione. Si andò all’insegna del “buona la prima”, ma la carica e l’entusiasmo nostri erano forti e bastò. La promozione non ci fu. Ci diedero dei soldi (mi pare 500.000 lire) e tanti saluti a casa. C’è da dire, però, che noi non facemmo molto per farci conoscere sia per motivi ideologici (anti-commercialismo) sia per l’indecisione ad affrontare il “mestiere” trascurando l’università.

G.F.: A mia memoria non vi fu alcuna promozione se non sporadica su qualche rivista, con alcune critiche favorevoli;  la libertà di movimento per quel che riguarda l’incisione fu parziale, in quanto il materiale registrato in sala d’incisione comprendeva una parte musicale, a nostro avviso veramente originale, che avrebbe consentito di implementare un altro album, purtroppo abbiamo saputo che il nastro con questa registrazione è finito al macero e noi, nella svagatezza anarco-romantica e poco pratica di allora, non   provvedemmo a tutelare questa produzione con una banale cassetta! Poco male, possiamo consolarci pensando che quella perdita abbia contribuito, sia pure in piccolissima parte, a quel sentimento di incompiutezza che ci accompagna sempre nella vita dal quale può scaturire una continua spinta creativa! Invece, libertà di movimento in generale, fu fin troppa, nel senso che la casa discografica ci lasciò completamente soli alla deriva, per così dire, probabilmente per loro assoluta inesperienza con le band;  però noi, pur vivendo in provincia, con pochi contatti con la grande città, sembra di parlare della preistoria ma era una condizione che allora aveva il suo peso, ci davamo comunque da fare al punto che riuscimmo a trovare qualche spazio per suonare e alla fine riuscimmo persino a entrare nell’orbita della Cramps Records, purtroppo poco tempo dopo, quando cominciarono le chiamate per suonare live il gruppo si sciolse e … “addio sogni di gloria!”.

Ci sono ricordi e/o aneddoti di quegli anni che vi va di condividere con noi? Com’è stata l’attività live della band?

G.F.: Per me è ancora vivo il ricordo delle meravigliose prove estenuanti nella cantina insonorizzata di una villa che ci aveva messa a disposizione un amico che aveva i genitori più pazienti che abbia mai conosciuto: suonavamo fino allo sfinimento, felici e ipnotizzati da un’orgia di suoni.
Un ricordo tra il fortunoso e il gioioso è quello di uno, dei pochi purtroppo, live che tenemmo a Vercelli, in un locale dal nome decisamente underground, ‘Electric Cave’.  Giungemmo la sera precedente il concerto e i titolari, bei tempi allora, ci lasciarono pernottare all’interno di quel luogo; naturalmente non dormì nessuno, anzi, ci fu anche qualche manifestazione di paura per l’indomani, ma eravamo proprio ragazzi poco più che ventenni… Il giorno successivo non apparivamo granché in forma però, quando cominciammo a suonare in quel posto che si era riempito di giovani, ecco prodursi inopinatamente una magia: noi che ritroviamo subito lo spirito giusto e suoniamo con grinta senza sbagliare, eravamo molto preparati, reduci dall’incisione dell’album, l’amico alla consolle che si esaltava, il pubblico caloroso, alcune ragazze ci chiesero l’autografo perché secondo loro saremmo diventati famosi!  Insomma un successo che forse per le nostre condizioni non proprio lucidissime, forse non abbiamo gustato appieno quel momento, ma che poi mi è stato possibile recuperare e apprezzare nel ricordo.

F.E.: Live pochi ma molto entusiasmanti, specie l’emozione al Nautilus di Cardano al Campo (dove passavano da lì Soft Machine, PFM, Rory Gallagher, Uriah Heep, ecc…), quando aprimmo il concerto dei Beggar’s Opera, avevo le pulsazioni alle stelle, al secondo brano mi si ruppe una corda e dovetti cambiare basso.

P.B.: Quando entrai nel gruppo questi era così composto: Gianni F. alle chitarre, Franco E. alle tastiere, Donato S. alla batteria e al vibrafono, Franz Piatto alle percussioni e alla batteria e Io al basso e alla chitarra classica. il gruppo ebbe vita ancora per poco meno di un anno. Riuscimmo a realizzare due live con brani composti da Urbanelli (un lascito) – Fantuzzi e da F. Erenti. Ricordo con emozione, nonostante ci fosse una pessima acustica ambientale, quello a Mariano Comense alla presenza di altri gruppi come gli Arti e Mestieri, Eugenio Finardi, doveva essere la serata con la partecipazione di Lucio Dalla ma poco prima dette forfait.

Poco dopo l’uscita dell’album il vostro cammino s’interrompe. Come si giunse a questa decisione?

G.F.: Nonostante all’inizio fosse stata l’uscita di Giacomo e di Annibale a determinare la fine dell’esperienza e per quanto si proponesse il tentativo di continuare a suonare ricompattando per un certo periodo il gruppo con il reingresso di Franco e con Paolo, per quel che mi riguarda, questi avvenimenti ebbero l’effetto di segnalare che avrei dovuto prendere una decisione definitiva per il mio futuro. Dedicarmi anima e corpo alla musica o portare avanti gli studi universitari che permanevano in una specie di limbo; per me il potere fu giustamente assunto dal compito inevitabile ma affascinante di rispondere all’appello dell’età adulta: mi sono laureato in Psicologia e in seguito mi sono specializzato in Psicoterapia.

F.E.: Ero sfiduciato e con le idee confuse.

Prima di parlare della recente “rinascita”, cos’hanno fatto Giacomo Urbanelli, Gianni Fantuzzi, Franco Erenti e Paolo Burattin in questi ultimi quarant’anni? La musica ha continuato a far parte della vostra vita?

G.U.: Ho seguito l’arte di Ippocrate ma sarei “ippocrita” se dicessi che non ho pensato prevalentemente alla musica.

G.F.: Mi sono dedicato allo studio e alla pratica della Psicologia e della Psicoterapia Psicoanalitica.  Mi sono quindi occupato del pensiero, delle emozioni e dei sentimenti anche nell’ambito del disagio mentale e della sofferenza causata dai conflitti interiori.
Nel frattempo ho mantenuto un rapporto costante con la musica applicandomi allo studio della chitarra classica, fino al momento in cui, nel 2009, Giacomo Urbanelli mi ha contattato proponendo di realizzare questo nuovo progetto; dopo una iniziale perplessità per l’impegno che avrebbe comportato, ho compreso che sarebbe stata una circostanza importante per riprendere un’esperienza creativa nell’ambito della musica e della scrittura dei testi, fruendo di una felice sinergia, fonte di ispirazione creativa, tra il compito della cura delle persone e la passione per la migliore invenzione dell’uomo, ovvero l’universo musicale, oltre all’occasione di ritrovare gli amici di un tempo e dei giovani che si sarebbero aggregati a noi.

F.E.: Ho fatto il musicista di professione, toccando le balere di tutta Italia ed Europa, poi ho lavorato per svariati anni come tastierista-pianista sulle navi da crociera con mia moglie come cantante. Nel frattempo ripresi gli studi di Armonia e Composizione, ho superato esami di lettura della Partitura al Conservatorio di Como e in seguito laureato al Conservatorio di Milano in Direzione, Strumentazione e Composizione per Orchestra di fiati. Nel frattempo ho collaborato con Massimo Vecchi dei Nomadi alla creazione di svariati arrangiamenti per nuovi cantanti emergenti. Attualmente insegno musica nelle scuole elementari, insegno pianoforte e dirigo quattro Bande.

P.B.: Ho proseguito e concluso i miei studi musicali, laureandomi al DAMS e conseguendo il diploma in chitarra classica, e mi sono dedicato all’insegnamento della musica nella scuola.

Quando avviene il (re)incontro tra Giacomo, Gianni, Franco e Paolo? Qual è stata la molla che ha fatto ritornare l’amore per il progetto Cincinnato?

G.F.: Nel 2006, in occasione della ripubblicazione del primo disco realizzato nel 1974, si ristabilì una frequentazione che, tra un dialogo e l’altro, inizialmente tra Giacomo e me, come una eco delle passeggiate che si facevano da ragazzi come emuli peripatetici, fece maturare l’idea di realizzare un nuovo lavoro. Giacomo negli anni aveva composto alcuni brani e riff che propose come spunto iniziale per ricominciare suonare insieme in duo, come ai nostri esordi di tanti anni fa; sembrava un po’ come riannodare un filo interrotto, animati da uno slancio tutto nuovo, con l’intento di contattare successivamente altri musicisti per costituire una band. Si decise di rivolgerci a Franco e Paolo, dei quali si sapeva che avevano continuato in quegli anni la carriera di musicisti di professione, e fu grande la soddisfazione quando constatammo che entrambi avrebbero aderito con entusiasmo al progetto: ci si era ritrovati! Con gli amici di un tempo si sarebbe potuto lavorare per allestire, completare e perfezionare i brani. Ognuno avrebbe fornito il proprio contributo creativo alle musiche e ai testi per dare una consistenza espressiva alle nostre idee e alla nostra musicalità.

F.E.: L’incontro con Giacomo e, quindi all’oggi, è stato casuale. In paese (Marnate) ho sempre avuto l’occasione di incontrare Donato Scolese, un giorno mi disse che voleva, come gesto di amicizia, farmi partecipare in un suo brano del suo nuovo disco “Civiltà Scomparse”. Ringraziandolo per il pensiero, acconsentii e fu così allora che venni a sapere di Giacomo, che recentemente aveva incontrato e collaborato con lui per la riedizione in formato CD del vecchio vinile, più nuovi lavori.  Così una sera incontrai Giacomo, pensate, non ci vedevamo da più di trent’anni, e la storia piano piano è ripartita. Incontrai anche Gianni e a mia volta coinvolsi Paolo (che già frequentavo) perché non me la sentivo più di giocare col basso, ma soprattutto, conoscendo la grande preparazione di Paolo, mi sembrò la cosa più bella e logica da fare, così pronti via…

P.B.: Mi ha coinvolto dapprima Franco, poi Giacomo e Gianni che anch’io non vedevo da parecchi anni e così…” Thauma”! ho ritrovato una responsabilità e un’appartenenza.

Siete tornati con un piccolo-grande cambio nel nome: Thauma Cincinnato. Come va interpretata questa nuova etichetta?

G.F.: Thauma è stato un ritrovarsi nelle molteplici accezioni del termine: rincontrare gli amici di un tempo; convegno di un manipolo di persone che, nel nostro auspicio, diventa polo di attrazione anche per nuove persone di ogni età; ri-trovarsi nel senso di ritrovare aspetti di Sé lasciati in disparte, dimenticati o mai incontrati. Tutto ciò per noi è stato ‘sorpresa e meraviglia’, appunto ‘Thauma’.
Per dirla con il mito, il nostro vello d’oro, come Argonauti che navigano su una nave fatta di suoni, lo ritroviamo ogni volta che inventiamo una nuova canzone.

Il 2016 è l’anno del vostro nuovo album “L’essere e l’auriga”. Qual è il cammino che vi ha portati sino a lui? Vi va di presentare il lavoro?

G.U.: La preparazione dell’album è durata ben cinque anni a causa della scarsa frequenza dei nostri incontri. Negli ultimi due anni, però, abbiamo potuto usufruire della sala prove allestita da Franco e questo ha sveltito la preparazione. Da un punto di vista musicale “L’essere e l’auriga” rappresenta indubbiamente una svolta estetica rispetto a quarant’anni fa. I brani contengono forti atmosfere soul e, in un paio di brani, sconfiniamo nel regno un po’ anomalo (per noi) del rap. Però le influenze classiche e jazz sono sempre ben presenti e, a volte, preponderanti. L’eclettismo non si è spento. Credo sia una musica che richiede un ascolto paziente come succede sempre per la musica vera, quella che dura nel tempo.

G.F.: Come si accennava in precedenza, inizialmente ci si è trovati Giacomo ed io a lavorare partendo da alcuni brani e riff proposti da Giacomo che progressivamente si sono ampliati e perfezionati, sia con l’aggiunta di ulteriori sviluppi musicali che si inventavano suonando e dialogando, sia con l’aggiunta di nostri testi che ci sembravano particolarmente adatti a esplicitare idee e stati d’animo nel breve tempo di una canzone.  A differenza del passato, in questi brani, oltre alla musica, che nelle sue articolazioni talvolta impegnative rimane la nostra principale cifra espressiva, hanno assunto importanza anche le parole come ulteriore canale comunicativo immediato e sintetico di impressioni e sentimenti che si presentano alla nostra mente e accompagnano la nostra vita attuale. Questo orientamento a dare spazio ai testi delle canzoni si sta ulteriormente confermando anche nei nuovi brani che stiamo preparando per un prossimo album. Per quel che mi riguarda devo comunque sottolineare che una delle spinte motivanti al lavoro creativo proviene dalla condivisione tra amici che, pur nelle loro differenze individuali, con un lavoro di insieme hanno  dato una  rappresentazione concreta a ideali comuni.
Anche l’album attuale di Thauma Cincinnato ci ha impegnati alla cura della componente visiva, a partire da una nostra idea e dalla elaborazione grafica di Lucia Caccia: una città in dissolvenza nell’orizzonte  di un oceano colorato dalla luce solare del mattino o della sera, l’audacia invadente e affascinante dell’uomo e lo scenario profondo e  assoluto delle albe e dei tramonti come simbolo dei cicli immutabili e misteriosi della natura; sullo sfondo un’arca o un relitto che forse si spingerà al largo e non si sa dove potrà arrivare, similmente al destino dell’umanità; in primo piano ricorre il motivo dell’uovo, uno dorato come uno scrigno ancora chiuso, l’altro aperto, dal guscio nero, con la nota bianca che nasce portando con sé nel bianco tutti i colori dello spettro.

Restando nel presente, com’è la situazione attuale della musica, in generale, e del Progressive Rock, in particolare, in Italia secondo il vostro punto di vista? E quali sono le differenze sostanziali con il passato?

G.U.: Se in passato il 50% dei giovani non aveva voglia di concentrarsi nell’ascolto della musica, quando non fosse fruibile immediatamente, oggi questa percentuale, a mio parere, è aumentata parecchio e per quelli come noi è dura. Ma tant’è. Ci ostiniamo a fare musica anche di ricerca perché pensiamo che l’arte non sia agli sgoccioli. Anzi.

Ci sono realtà che seguite o con cui siete in contatto?

G.U.: Credo che il progressive, mutando pelle, abbia generato delle esperienze interessanti come quella di Giovanni Falzone che è prevalentemente un jazzista ma con un occhio al rock. Ad esempio il suo lavoro su musiche di Rossini è progressive emersoniano di grande efficacia.

Cosa attende i Thauma Cincinnato nel prossimo futuro? Vi vedremo live?

G.U.: Lavoriamo ad un nuovo album (titolo provvisorio: “Il sogno del fiume”). Intanto ci stiamo preparando per alcuni concerti da fare nel corso del 2017.

G.F.: Per il prossimo futuro abbiamo in cantiere nuovi brani costituiti da musiche e testi che entreranno nel prossimo album che speriamo di poter realizzare in tempi non geologici, dal momento che noi tutti siamo tuttora molto impegnati nelle rispettive professioni, che costituiscono una felice sinergia, fonte di ispirazione creativa per l’invenzione di musiche e testi.  Per quel che riguarda i live ci stiamo lavorando, infatti stiamo preparando i brani del CD per le apparizioni dal vivo, cosa che richiede un certo impegno per le diverse asperità tecniche che bisogna affrontare nelle esecuzione dei brani e anche per ingaggiare i collaboratori, comunque ci teniamo senz’altro ad affrontare il palco per avere un contatto più diretto e personale con il pubblico. Dove lo troveremo il tempo? Stiamo cercando di ottenere una consulenza da Faust per capire come ha fatto a gabbare il Diavolo!

Grazie infinite per l’estrema disponibilità e per la piacevole chiacchierata!

F.E.: Un saluto e un prezioso arrivederci, grazie.

P.B.: Ancora grazie e buon lavoro.

(Ottobre 2016)

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