Intervista agli Jus Primae Noctis

Un caro benvenuto a Marco Fehmer (M.F.), Beppi Menozzi (B.M.), Mario A. Riggio (M.A.R.), Pietro Balbi (P.B.) e Alessandro “Beza” Bezante (A.B.): Jus Primae Noctis.

M.F.: Siamo contentissimi di questa intervista, grazie Donato.

Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nascono gli Jus Primae Noctis e cosa c’è prima degli Jus Primae Noctis nelle vite di Marco, Beppi e Mario? Per esempio, i Third Position, gruppo rock goliardico, a metà fra la musica anni ’60 e la rivista anni ’50

M.A.R.: Io e Marco ci siamo conosciuti in un contest del nostro liceo, il King di Genova. Marco suonava con un gruppo che faceva musica dei Pink Floyd, all’ultimo momento è saltato il batterista e mi hanno chiamato per prendere il suo posto. Loro erano tutti diciottenni, io avevo dieci anni in più e i miei vecchi professori sono rimasti un po’ straniti dalla cosa.

M.F.: Io e Mario abbiamo continuato a suonare assieme e, poco tempo dopo, per una goliardata tipo “Amici miei”, ci hanno chiesto di partecipare a un concorso nazionale di musica anni ’60 e ’70. Il bassista era un informatico e si è messo a cercare un tastierista su una rete locale, Fidonet. Internet era ancora agli albori e questa modalità sembrava fantascienza. Così è arrivato Beppi, che si è integrato perfettamente nel gruppo che si chiamava Third Position. Eravamo travestiti da watussi, con una decina di ballerini in gonnellino (oggi stimati professionisti, avvocati, giudici e giornalisti). Al concorso abbiamo sbancato.

B.M.: Da lì sono uscite fuori molte occasioni per suonare, nonostante ci fosse da muovere un carrozzone di venti persone. Abbiamo elaborato uno spettacolo che divertiva e faceva ballare, ma noi musicisti non eravamo contentissimi: venivamo tutti da ascolti Prog e lo spettacolo goliardico ci stava stretto. Così sono nati gli Jus Primae Noctis.

Jus Primae Noctis: come cade la scelta sul nome?

M.F.: Era un periodo in cui suonavamo tanto dal vivo, facevamo un repertorio che iniziava a includere brani nostri e qualche classico del Prog.

B.M.: Abbiamo cambiato due o tre nomi e due o tre bassisti, poi, una sera un po’ etilica, Marco ha tirato fuori “Jus Primae Noctis”. Era il 1990.

M.A.R.: Al di là ti tutto, il nome andava bene: è in latino per soddisfare il nostro lato Prog, si ricorda facilmente e può essere abbreviato in una sigla (JPN), come i nostri miti PFM, BMS, ELP. Da lì siamo partiti con una formazione in quintetto, con cui hanno collaborato diversi musicisti, fra cui il chitarrista dei New Trolls Andrea Maddalone. Poi piano piano abbiamo ridotto la formazione.

I primi anni, antecedenti all’arrivo del nuovo millennio, vi vedono attivissimi su diversi fronti, soprattutto quello live. Mi piacerebbe approfondire con voi alcuni di questi aspetti. Il primo riguarda i concerti e, innanzitutto, la loro frequenza (per esempio, gli oltre cinquanta concerti del 1995, un numero che oggi sembra fantascienza). Pandemia a parte, cos’è cambiato negli ultimi tempi tanto da non poter, per un’artista o una band, ripetere numeri del genere (se non per pochissimi “eletti”)? E come ricordate quegli anni sul palco?

M.A.R.: All’epoca si suonava ovunque, c’erano tanti gruppi e tanti spazi. Se a fine anni ’80 passeggiavi per le strade di Genova, sentivi la musica uscire dalle cantine. Soprattutto tante band suonavano materiali originali.

M.F.: E c’erano anche concorsi, tante occasioni per farsi sentire al di là dei locali, in cui ti confrontavi con altre band e imparavi. Noi, che dal 1991 eravamo rimasti in tre, con Beppi che con una mano faceva le parti di tastiera e con l’altra quelle di basso, abbiamo vinto un contest cittadino e siamo arrivati fra i vincitori di un concorso nazionale che aveva come premio due concerti a Trapani.

B.M.: Era il 1995 e avevamo un nostro repertorio originale completo. La data di Trapani ci ha dato l’occasione di organizzare un tour nel Sud. Il nostro primo e unico tour. In tre. con un’auto grande, ci siamo imbarcati per Palermo e sul traghetto abbiamo trovato alcuni musicisti degli Elio e le storie tese che andavano a suonare in Sicilia. Mario conosceva già Christian Meyer e siamo stati accolti come musicisti “veri”, ci siamo sentiti alla pari.

M.A.R.: Il tour è andato a corrente alternata. In Sicilia abbiamo avuto molti problemi organizzativi, ma alla fine siamo riusciti a cavarcela. In rete si trovano anche un paio di video girati nel suggestivo anfiteatro di Valderice. In Calabria siamo stati benissimo: i due concerti fatti a Pianopoli (CZ), con una grande folla che ci ascoltava sotto l’acquazzone, sono il mio più bel ricordo dal vivo.

Restando ancora sul fronte concerti, un’altra cosa che mi intriga parecchio è il loro essere “fuori dai canoni”. Mi spiego, col tempo avete sperimentato diverse forme di spettacolo che prevedevano, ad esempio, una fusione fra musica e poesia con l’inserimento di parti recitate da attrici. Come nasce questa idea e come si concretizza effettivamente sul palco?

M.F.: Crediamo molto nell’integrazione fra le arti. Perché mai musica, letteratura, pittura e poesia non possono incontrarsi e parlare lo stesso linguaggio? Nella musica dei JPN i testi hanno una grande importanza, noi raccontiamo storie e vogliamo sviluppare emozioni. Anche la poesia stimola la sensibilità umana sviluppando emozioni, quindi abbiamo cercato di integrare queste due arti e successivamente anche la pittura, facendo sonorizzazioni per mostre. Tutte le copertine dei nostri album e le locandine dei nostri concerti raffigurano opere pittoriche.

M.A.R.: L’idea delle attrici non è completamente nostra. Dopo un live in un piccolo locale del centro storico, la responsabile marketing del Teatro di Genova ci ha parlato della scuola di recitazione e ha proposto di far collaborare alcuni studenti (ma noi abbiamo preferito le studentesse) ai nostri spettacoli.

B.M.: Anche in tempi più recenti abbiamo fatto uno spettacolo con alcune parti recitate: il contatto fra le diverse arti resta nel nostro DNA.

Frutto di questa operazione è lo spettacolo “Manifesto al futurismo”, in cui le poesie di Marinetti, Blake, Buzzi, Folgore e Yeats sono recitate dalle attrici Emanuela Rolla e Federica Bonani (concerto testimoniato dall’album “Live alle Muse”, pubblicato nel 2000). Mi raccontate qualcosa di questa esperienza?

M.F.: Il CD, in realtà, è poco più di un bootleg, registrato direttamente in stereo dal bancone, ma è un documento interessante di quel genere di spettacolo. In alcuni casi, le poesie entravano e si incastravano all’interno dei nostri brani, con la base musicale a reggere la parte recitata. Altre volte noi suonavamo free su una poesia, arrivando a intrecciarci in maniera crimsoniana. In una poesia di Marinetti eravamo proprio futuristi, un’attrice recitava in italiano, l’altra in francese e noi suonavamo, creando uno scontro fra musica e poesia, fra poesia e poesia, fra suono e recitazioni. In quel periodo eravamo molto affiatati e preparati tecnicamente.

B.M.: Era uno spettacolo difficile da organizzare, abbiamo fatto qualche data in piccoli teatri, ma dovevamo fare i conti con gli impegni delle attrici. Ricordo una sera al “Vapore” di Marghera in cui sono venuti a vederci Michi Dei Rossi de Le Orme e il batterista di Branduardi, Davide Ragazzoni. Abbiamo ricevuto complimenti e consigli che ci portiamo dietro ancora oggi.

M.A.R.: Abbiamo ruotato quattro o cinque attrici a causa dei loro impegni teatrali. Alcune di loro hanno fatto grandi carriere anche al cinema e in televisione. Vorrei ricordare anche la brava attrice del Teatro Stabile di Genova Mariella Speranza e la sua collega Lisa Galantini, che ha recitato anche nelle fiction “La squadra”, “Petra”, “Doc 2” e al cinema con registri come Silvio Soldini.

E poi, come detto, i concorsi musicali (con tanto di vittorie annesse), la registrazione del brano “Vivere di notte” (inserito nella compilation dei gruppi genovesi “Rustico cd”), lo spettacolo “Amori e delitti”: insomma, anni davvero intensi!

M.F.: “Vivere di notte” è stata proprio la nostra prima incisione in studio, ma in quegli anni l’attività live è stata serrata.

Intanto, sempre in questo periodo, iniziate anche a comporre materiale inedito che vedrà la luce nel 1998 con l’album “Jus Primae Noctis”. Mi parlate un po’ della sua genesi e del suo contenuto?

M.F.: Il CD mette a terra parte del materiale composto e suonato nel corso degli anni. In alcuni casi abbiamo un po’ asciugato gli arrangiamenti, privilegiando la forma canzone ai lunghi soli. È un album orecchiabile ma elaborato, con testi che fanno riflettere e musiche raffinate che resistono nel tempo. Non è propriamente un disco Prog, è un disco influenzato dal Prog, ma molto concreto, vicino alla musica d’autore, in un filone che può comprendere Peter Hammill, Ivano Fossati, De André + PFM.

B.M.: Per registrare ci siamo presi alcuni giorni di vacanza e ci siamo ritirati in una casa in mezzo a un bosco nei dintorni di Genova, abbiamo allestito i nostri set nel grande salone e registrato tutto con un multitraccia che ci eravamo comprati. Sono stati giorni bellissimi e carichi di creatività. Eravamo solo noi tre, mentre uno suonava gli altri lo registravano.

M.A.R.: Al lavoro hanno partecipato ospiti che ci hanno dato molto, il bassista Mauro Isetti e due musicisti della storica band Picchio dal Pozzo, il percussionista Dado Sezzi e Claudio Lugo, autore di uno strepitoso lavoro creativo al sax soprano nel brano “Lucilla che sapeva volare”.

Nel 2002 esce il live bootleg “Aeropittura”, album che raccoglie improvvisazioni live, un delirio di suoni in omaggio ai grandi dell’aviazione italiana. Vi va di spendere qualche parola al riguardo? Come nasce questa sorta di concept album (live) e secondo quale processo ogni personaggio è diventato musica?

B.M.: L’affiatamento della band era arrivato a un livello molto alto e ci permettevamo di improvvisare brani dal vivo. Si partiva da un pedale di chitarra o da un ostinato di tastiera e piano piano entravano gli altri. Ogni concerto conteneva almeno un paio di improvvisazioni, che potevano durare tre minuti come un quarto d’ora. Noi spesso incidevamo i concerti con un Dat, un registratore digitale a nastro, a volte dal mixer, altre volte con un microfono stereo. Abbiamo tagliato e cucito assieme queste registrazioni, realizzando “Aeropittura”.

M.A.R.: Il lavoro è stato confezionato con un artwork complicato, ispirato ai quadri futuristi di aeropittura. Da lì è venuta l’idea di dedicare i pezzi musicali alle grandi imprese degli aviatori italiani nella prima metà del ‘900, ricordandone i nomi e i mezzi. Io sono un lettore compulsivo delle storie dei pionieri dell’aviazione, mi hanno sempre appassionato, e così è uscito fuori il concept. Per quanto riguarda la musica, se posso dare un riferimento, è l’album “Alt” dei Van der Graaf Generator che, però, è uscito quasi vent’anni dopo.

Nel mezzo, intanto, c’erano state anche altre due pubblicazioni, “Comandante Marino” (1998) e “Registrazioni 1995” (1995). Cosa troviamo in questi due lavori?

M.F.: Anche qui qualcosa che sta a metà fra il disco e il provino. “Comandante Marino” è un singolo, con suoni quasi metal e ritmica spezzata. “Registrazioni 1995” raccoglie tutti i brani che abbiamo registrato, ma non sono entrati nel nostro primo CD. Non parlerei di brani scartati, infatti molti di questi abbiamo continuato a suonarli dal vivo, ma avevano arrangiamenti che non ci rappresentavano più.

Poi qualcosa cambia, abbandonate gli spettacoli teatrali e tornate nei piccoli club. Inoltre, anche il lavoro ci mette del suo portando fuori sede Marco e Beppi. Infine, vista la scarsa possibilità di calcare i palchi con il vostro repertorio, “virate” verso le cover di Rock Progressivo degli anni ’70. Tutto ciò avviene a cavallo del millennio. Come avete, dunque, vissuto, quel periodo?

M.A.R.: Io l’ho vissuto male, ero l’unico rimasto a Genova. In particolare, Marco è stato via lunghi anni, ma non è mai uscito dal gruppo. Spesso ci ha raggiunto per i concerti o siamo andati noi a suonare in Toscana per facilitare il suo rientro.

B.M.: In quel periodo la formazione si è allargata, è entrato il magnifico chitarrista Renzo Luise, ancora oggi ospite dei nostri lavori, e abbiamo inserito il basso fra i nostri strumenti, cambiando drasticamente il nostro sound. Marco è stato sostituito da diversi cantanti nel tempo: insieme a Fausto Sidri, che veniva dai Finisterre, abbiamo fatto il dvd “Live in Civitavecchia”, in cui suonavamo i classici del Prog, Yes, King Crimson, Jethro Tull, PFM, Banco, Le Orme, VdGG e tutti gli altri.

E poi, dopo una serie di alti e bassi che vedono, appunto, anche Marco fuori (o quasi) dal gruppo, ecco nascere l’improg. Mi spiegate un po’ cosa significa e come nasce un brano improg?

B.M.: L’improg è la naturale evoluzione di “Aeropittura”. Siamo partiti da improvvisazioni fatte in sala, abbiamo scelto le parti migliori e le abbiamo riregistrate in studio. Tutto strumentale, tutto improvvisato, ma risuonato e registrato come si deve.

Era previsto anche un album di improg, sfortunatamente, però, il progetto (condiviso con Renzo Luise) si è arenato. Come mai?

M.A.R.: Abbiamo fatto un’infinità di provini, scelto una dozzina di pezzi e ne abbiamo registrato e mixato un paio. È materiale che a me piace molto, i brani registrati li ho utilizzati come colonne sonore per alcuni video (questo Beppi non lo sa, lo apprende da queste pagine in questo momento). L’idea era bella ma i tempi non erano maturi, forse non lo saranno mai. Troppo sperimentale.

Stessa sorte tocca ad un nuovo lavoro targato Jus Primae Noctis che vedeva il rientro di Marco (e l’arrivo di Paolo Donnini) nel 2011. Anche in questo caso, quali sono i motivi dello stop?

M.A.R.: Paolo Donnini è un bravissimo chitarrista che proviene dal country rock, con lui, io e Beppi abbiamo suonato alcuni anni nei FraRaf, una band con cui abbiamo pubblicato un paio di CD che hanno avuto un buon successo, per essere delle autoproduzioni.

B.M.: È molto tecnico e molto pulito, ma nei JPN ha resistito solo un annetto: siamo troppo lontani dal mondo country.

M.F.: Quando siamo rimasti senza chitarrista, Renzo Luise ci ha suggerito Pietro Balbi, che è entrato fisso in formazione nel 2014. Con lui è arrivato anche il bassista Giovanni Bottino. Così siamo diventati finalmente un quintetto di appassionati di Prog.

Il 2014 vede quindi entrare in formazione Pietro Balbi (e Giovanni Bottino). Pietro, come entri in “orbita” Jus Primae Noctis? E cosa c’è prima nella tua vita artistica?

P.B.: In effetti ho cominciato a suonare con Mario e Beppi grazie ad una segnalazione di Renzo già a partire dal 2010, in un progetto parallelo di cover che avevamo chiamato King Pink perché comprendeva brani di King Crimson e Pink Floyd. Con l’arrivo di Giovanni, però, abbiamo cominciato a suonare anche con Marco e i JPN sono ripartiti con un progetto ben definito.

Suono da quando mi ricordo, prima il pianoforte e poi la chitarra. La mia passione adolescenziale era tutta per i Pink Floyd, sulle cui note ho imparato a suonare la chitarra elettrica, ma da sempre ascolto musica molto varia, dai grandi compositori al trash metal dei Megadeth, dal manouche e lo swing di Django al grunge degli Alice in Chains. Anche i gruppi in cui ho militato rispecchiano un interesse piuttosto ampio: i Renzo Luise Gipsy Trojka, i Bissfeste Lieder di Joscha Zmarzlik e gli Zella Funky Nostos, gruppo in cui suono dal lontano 1996!

E il 2019 è l’anno di “Istinto”. Mi parlate un po’ dell’album e del percorso che vi ha visti giungere alla sua realizzazione?

M.F.: Lascerei parlare il Beppi, che è il produttore del lavoro.

B.M.: Abbiamo avuto un approccio lunghissimo e pignolo. C’è stata una preproduzione a casa e in sala prove. Ognuno di noi ha portato il suo contributo, registrando le sue parti, che hanno condotto alla realizzazione di una versione grezza del disco. Purtroppo, durante questa fase, il bassista Giovanni Bottino ha lasciato il gruppo per esigenze famigliari. Noi siamo andati avanti.

M.A.R.: La chiave di questa fase è stato il premix, fatto da Beppi con un lavoro infinito, certosino.

B.M.: Dopo il premix abbiamo deciso cosa correggere e migliorare nei suoni, ma abbiamo anche tenuto quello che andava bene e con le basi pronte siamo andati in studio.

Vi va di approfondire due aspetti quali suoni e parole?

M.F.: “Istinto” parla di emozioni forti, di sentimenti, stati mentali e fisici che sovrastano il raziocinio. La voglia e la passione di suonare è, ad esempio, il tema di “È tutto amore”, la forza di sopravvivere alle malattie “Una Storia”, la potenza del legame madre-figlio in “La prima volta che ho visto la luce”, ma anche istinti sbagliati come quello perverso di “L’uomo d’aria e la preda”, la vendetta in “Maria”.

Sono particolarmente attaccato a “Quarto”, dove si racconta la normalità dei diversi, gli ex pazienti dell’ospedale psichiatrico, alla ricerca come tutti noi del loro posto al sicuro, magari nei ricordi di infanzia, un giocattolo, un fiore o un cagnolino.

Abbiamo aggiunto ad ogni canzone anche rumori e suoni reali, per raccontare meglio le storie e per scaldare ulteriormente l’ambiente.

Colgo, infine, l’occasione per ringraziare Lorenzo Sale: nel suo piccolo ma attrezzatissimo studio abbiamo registrato le voci. Lorenzo ha un orecchio preparatissimo.

B.M.: Tutto il resto lo abbiamo registrato allo studio Nadir di Genova, con un fonico di eccezione: Tommy Talamanca dei Sadist.

Se dovessi scegliere un ruolo nella produzione musicale, senza dubbio il mio non sarebbe quello di tastierista. Io mi sento fondamentalmente un arrangiatore e mi sono trovato perfettamente a mio agio nella produzione. Io ho cercato di costruire questo album proprio puntando a far sì che gli arrangiamenti valorizzassero al meglio i testi e la musica dei nostri pezzi, sia quelli vecchi sia quelli nuovi. Ogni brano è stato costruito per cercare di massimizzare la comunicatività e le emozioni veicolate, utilizzando la dinamica e la timbrica al massimo. Sebbene a posteriori mi renda conto che molti degli arrangiamenti richiamano classici del Prog, come Gentle Giant, Genesis e King Crimson, ciò è dovuto al nostro bagaglio culturale e non ad una volontà precisa. Una delle differenze principali tra i classici e questo lavoro è che non ci siamo mai limitati nell’uso della tecnologia, senza limitarci al passato. Non condivido chi utilizza strumenti originali quando esistono tecnologie attuali che danno risultati migliori, né sono d’accordo con chi ricrea atmosfere del passato per emulazione, atmosfere che in origine erano nate più per limitazioni tecnologiche che per scelta. In questo lavoro abbiamo fieramente usato tutto ciò che era possibile nel 2018 per migliorare il sound e renderlo più espressivo. Anche i Beatles l’hanno sempre fatto e io adoro i Beatles.

M.A.R.: Il mix e il mastering siamo andati a farlo a Firenze, da Andrea Pellegrini. Con lui, io e Beppi avevamo lavorato per il mix del secondo disco dei FraRaf, è un ingegnere del suono eccezionale. È il fonico di fiducia di Adrian Belew e ha lavorato dal vivo con l’ultima incarnazione dei King Crimson, oltre che con una mezza dozzina di nomi altisonanti, come i Queen, Gitzmodrome ed Elio e le storie tese. È stata una scelta vincente, perché ha dato al disco un suono ultraprofessionale, esaltando le caratteristiche specifiche di ciascun musicista.

P.B.: Abbiamo anche incluso un brano live, “Maria”, tratto dalla nostra esibizione al Porto Antico ProgFest del 2018, a cui scherzosamente abbiamo messo gli applausi di un grande stadio. Era stata una buona esibizione, ma sotto il sole e con un caldo assurdo. Abbiamo registrato in multitraccia tutto il concerto e ci è sembrato interessante riportarne un estratto. Aggiungo che, anche se il mio contributo compositivo al disco si riduce soltanto ad una parte dell’ouverture, ci sono molti brani o porzioni di brani che sento profondamente “miei”, specie quelli in cui sono riuscito a dare un buon contributo nell’arrangiamento e i miei compagni hanno accettato di buon grado le mie innumerevoli sovra incisioni. O almeno non hanno protestato troppo!

Come nascono le numerose collaborazioni presenti nell’album (tra gli altri, Luca Scherani e Diego Banchero) e come sono state gestite all’interno del lavoro?

B.M.: Il primo problema da affrontare è stato quello del bassista. Io, come musicista del Segno del Comando, ho chiesto aiuto a Diego Banchero, che ha suonato tutto il disco, portando il suo tocco magico. Un elemento che ha certamente valorizzato il lavoro, sia come tecnica sia come personalità. Poi ho voluto Luca Scherani, il suo è un solo, un cameo perfettamente integrato nello spirito del disco.

M.A.R.: Io ho chiamato Pacho (Alessandro Rossi) alle percussioni, un pezzo da novanta, che ha suonato con Elio e le storie tese e con il Perigeo. Pacho è un patito del percussionista dei King Crimson Jamie Muir e abbiamo lavorato un po’ come i Re cremisi dell’epoca, con le batterie che si incrociano e le percussioni suonate in maniera decisamente futurista. Anche il contributo di Pacho ha elevato di molto il livello del disco. Inoltre, mentre registravamo, Pacho ha portato a sorpresa Matteo Scarpettini, un percussionista livornese che suona con Antonello Salis e con il Trio Bobo. Lui ha inserito suoni arabi e indiani, percussioni parlanti e tablas.

P.B.:  Da non dimenticare il chitarrista Renzo Luise, il precedente chitarrista dei JPN, che ha portato un tocco jazz e di calore nel brano “Una storia”. Il bello di queste collaborazioni è che ognuno fa uscire la propria personalità musicale senza snaturare l’essenza e il sound della band.

Quali sono, se ci sono, i punti di contatto e le differenze sostanziali tra “Istinto” e i vostri primi lavori?

B.M.: “Istinto” è un lavoro pienamente Prog, nel solco della tradizione classica degli anni ’70. Non si ritrovano gli stessi suoni, non ci sono riferimenti ad altri gruppi più o meno famosi, ma all’ascolto il riferimento è proprio quello del Prog classico.

M.A.R.: Una differenza non da poco è che è il primo lavoro prodotto esternamente. Sostanzialmente non siamo più indipendenti, abbiamo un’etichetta (Nadir music) e un distributore (Black Widow), questo ci porta a un livello differente, anche di visibilità.

M.F.: Oltre alla maturazione personale e di gruppo, ci sono i contributi di Pietro Balbi e di Beza, Alessandro Bezante, che è arrivato quando il disco era in fase di missaggio, ma ha partecipato a tutto il lavoro che c’era intorno, compreso il video promozionale di “Quarto”, in cui ha parte attiva come musicista e attore. Due persone in più fanno la differenza, eccome!

In definitiva, come sono stati accolti, in generale, i vostri lavori da pubblico e critica?

M.F.: La critica ci ha preso benissimo, abbiamo avuto ottime recensioni anche all’estero, Francia, Olanda, Germania, Brasile, Giappone, ricevendo spesso voti altissimi. Non ce lo saremmo mai aspettato, così come non ci saremmo aspettati di vederci recensiti all’estero, in Giappone, Brasile, Usa, in tutta l’Europa; la scena Prog è decisamente viva e interessata a quanto prodotto in Italia. Per quanto riguarda il pubblico, abbiamo avuto la fatale coincidenza con la pandemia, quindi non siamo riusciti a promuovere adeguatamente il CD. Però, le vendite tramite i canali ufficiali, negozi e online, secondo la nostra etichetta sono andate molto bene. Non possiamo dire altrettanto per quelle ai concerti, visto che il Covid ci ha concesso di fare un solo live, al Porto Antico ProgFest del 2020.

Il 2019 vede, dunque, anche l’ingresso di Alessandro “Beza” Bezante. Alessandro, anche per te la stessa domanda posta a Pietro: come entri nella famiglia Jus Primae Noctis e cosa c’è prima?

A.B.: Aprile 2019, ricevo una telefonata da Beppi Menozzi, che non conoscevo, così come non avevo mai sentito parlare della band. Mi ha chiesto se fossi interessato a entrare a far parte del gruppo come bassista. Suono dal 1991 in svariate formazioni rock (grunge, blues, hard rock, AOR), ma non avevo mai suonato Prog, anche se fin da adolescente ne sono appassionato ascoltatore. Ci siamo incontrati nella sala prove dei JPN, abbiamo fatto una lunga jam, sono uscito a fumare una sigaretta e al rientro mi hanno detto ok.

Prima di stabilirsi con l’attuale formazione, gli Jus Primae Noctis hanno vissuto un’esistenza un po’ “tribolata”. Marco, Beppi e Mario, come mai questo continuo avvicendamento interno (intorno a voi tre, o quasi)?

M.A.R.: Mah, la tribolazione è stata determinata solo dalla lontananza, per fortuna breve, di Beppi e reiterata da Marco, che è l’autore di tutti i nostri testi e di una buona parte dei brani. Tuttora Marco è spesso all’estero per lavoro, ma torna settimanalmente a Genova.

B.M.: Il fatto è che Marco vale due, è chitarrista e cantante, quindi deve essere sostituito da due persone. Comunque, ormai da vent’anni la formazione è stabile sul quintetto basso, batteria, tastiere, chitarra e chitarra/voce.

M.F.: Ma dai, la nostra esistenza non è poi così tribolata! In trent’anni qualche cambiamento ci sta. Inoltre, noi tre non abbiamo mai mollato.

Insieme alle formazioni, si alternano le avventure sonore, che portano la band a esplorare la musica d’autore, il Rock Progressivo e l’improg (improvvisazioni corali di Rock Progressivo). Mi parlate un po’ di queste vostre diverse “anime”?

M.F.: C’è sicuramente una continuità logica in quello che facciamo. Intanto ci caratterizzano da sempre i testi “importanti” e l’osmosi con arti differenti, per esempio la poesia e la pittura. Attingiamo da tutte le forme creative che ci circondano e questo arricchisce il nostro lavoro.

B.M.: Del resto il Prog è sperimentazione, apertura totale. Pur essendo un genere musicale, ha forme che vanno dall’improvvisazione crimsoniana, ai testi totalizzanti di Gabriel e Hammill, al rock sinfonico, alla psichedelia, al jazz rock, passando per gli Spock’s Beard fino ai Rush e al Canterbury. Praticamente il Prog è senza confini, e noi viaggiamo da una parte all’altra, cerchiamo ispirazione in tutto, ma quando realizziamo un lavoro, questo deve essere coerente a sé stesso.

A.B.: Del resto, gli esempi nel Prog non mancano. Molti grandi gruppi hanno espresso la loro arte in forme diverse. Certo, non può piacere tutto a tutti, ma pensiamo alla PFM, che è passata da un periodo italiano a quello americano per arrivare al jazz-rock, proseguendo con la canzone d’autore e oltre.

E vi va di fare un bilancio di questi primi trent’anni di attività?

M.F.: Bilancio mi fa pensare ad un ciclo che si conclude, invece siamo in un momento estremamente produttivo. Stiamo lavorando ad un nuovo disco con tante nuove idee ed un nuovo sound. Per quel che mi riguarda, gli Jus Primae Noctis sono un progetto per la vita, anche perché intreccia amicizia, famiglia, passione, tanta passione. Sono molto soddisfatto di “Istinto”, ci ha fatto raggiungere un obiettivo, e ora è bello averne nuovi, alzare l’asticella, dare valore alla nostra maturità, anche anagrafica.

B.M.: Il bilancio è da dividere in due. La prima è la sfera personale: io sono contento di aver condiviso arte e passione con amici veri, creando qualcosa che, ai miei occhi, ha un grande valore. Parlo di arte, caparbietà ed amicizia, valori che sono fiero di poter trasmettere ai miei figli. La seconda è la sfera pubblica: il bilancio lì è decisamente negativo, il successo che avremmo voluto a vent’anni non è arrivato se non sotto forma di qualche singola soddisfazione. Sebbene sia egoista e presuntuoso sostenere che avremmo potuto avere successo, forse non sarebbe mai stato, trovo onesto poter dire che non abbiamo avuto la possibilità di provarci. Purtroppo la musica in Italia è così e so che noi, come JPN, siamo in buona compagnia, insieme a migliaia di altri artisti di grandissimo livello che non hanno ottenuto questa possibilità.

M.A.R.: Io sono contento del nostro percorso, trovo che “Istinto” sia un disco di cui andare fieri. Ora, oltre a cercare nuove vie musicali, mi piacerebbe molto avere un’esperienza all’estero, questo è il mio sogno.

P.B.: La strada che ci ha portato ad “Istinto” è stata davvero complessa, coinvolgente e inaspettata. Penso che si percepisca nel disco l’armonia ed il piacere di comporre e suonare insieme che pervade il gruppo. Dopo il grande stop determinato dalla pandemia si deve ripartire e ricostruire. Ma sono sicuro che il progetto del nuovo disco aiuterà.

A.B.: Sono l’ultimo arrivato quindi il bilancio si basa su pochi ma importanti elementi, il primo dei quali è aver conosciuto un gruppo di persone fantastiche oltre che valentissimi musicisti, è stato bellissimo imparare i pezzi dell’album per poterli suonare dal vivo e portarli al ProgFest 2020, condividendo il palco con il Segno del Comando e il Balletto di Bronzo (tra le mie band Prog preferite di sempre!). Ho messo a disposizione il mio piccolo studio di registrazione sia per le prove che per la presa di alcune tracce usate nel progetto solista di Beppi (ZoneM), che ha visto il contributo, tra i molti altri, di tutti i musicisti dei JPN. Quindi bilancio per me entusiastico, c’è poco da aggiungere.

Spostandoci, invece, sul fronte live, come sono oggi gli Jus Primae Noctis sul palco? Cosa c’è da aspettarsi da un vostro concerto?

M.F.: La pandemia ci ha certamente tarpato le ali. Il nostro è uno spettacolo che richiede attenzione per goderne ogni sfumatura. Bisogna riuscire a mettere a fuoco parole e musica per farsi trasportare, ma ogni volta vedo che ci mettiamo sempre più energia, istinto, anche con l’intenzione di far divertire il pubblico assieme a noi mentre suoniamo.

M.A.R.: Ci sono momenti trascinanti ed altri onirici, è bello passare da una sensazione all’altra, ma riusciamo a creare atmosfere e questo non è sempre facile dal vivo. Per questo motivo io preferisco i teatri ai concerti all’aperto, è tutto più raccolto e sincero.

P.B.: Non vedo l’ora di calcare un palco, solo lì si può essere se stessi e comunicare il proprio entusiasmo agli altri.

A.B.: E poi sappiamo anche spaccare. Abbiamo un’anima rock che esce prepotente e picchia duro, per poi rientrare nei binari.

Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?

M.F.: Ci stiamo studiando seriamente, specie per allargare la nostra platea a un pubblico più digitale e magari anche più giovane. Faccio un esempio, chi ascolta musica in rete “assaggia” i primi dieci secondi di un brano e poi decide se tenere o mollare. Noi spesso facciamo lunghe intro strumentali, che ci tagliano fuori da tutta questa fascia di ascoltatori. Ora stiamo scrivendo anche brani che iniziano subito con il cantato per andare incontro a questa nuova modalità di ascolto che, senza alcun giudizio di merito, semplicemente esiste e sarebbe miope rifiutare a prescindere che le cose cambino.

B.M.: Ci sono modi per connettersi anche a livello internazionale che prima non esistevano e questo consente la diffusione della musica oltre confini che prima erano travalicati solo con un salto di qualità molto grande. Questo mondo, però, non è ancora maturo e al momento sul web si trova un mare magnum di tutto, ciò disorienta l’ascoltatore e l’appassionato. Penso che in futuro ci sarà più organizzazione e la buona musica potrà emergere più di quanto non abbia fatto negli ultimi vent’anni.

M.A.R.: Ci sono pro e contro. Su YouTube trovi concerti bellissimi, che magari non hai mai potuto vedere perché eri troppo giovane o troppo lontano. Mi ha colpito un video dei Genesis del 1972 portato in alta definizione con un suono pazzesco. Vedi tutto quello che succede sul palco, persino Phil Collins che suona in mutande. Questo è molto positivo. Di negativo c’è la musica liquida, non la sopporto, non sopporto le compressioni mp3, mi danno fastidio fisico alle orecchie. Mi piace ascoltare musica all’antica, su CD o vinile o su file non compressi. Odio gli mp3. Punto.

P.B.: Penso spesso a quanto fosse difficile riuscire ad ascoltare la propria musica preferita, un tempo. Da ragazzino, ricordo di aver passato pomeriggi col dito sul tasto “rec” del lettore di cassette per riuscire a registrare “Enter Sandman” dei Metallica dalla radio, se la radio lo avesse passato. Internet ha spazzato via tutte le difficoltà. Dalla parte opposta, però, penso che l’estrema facilità ad accedere a qualunque musica possa generare ascolti più distratti, necessità di brani a effetto, brevi, facili, che catturino l’attenzione. Un po’ come succede per l’estrema esposizione alle fotografie che ci colpisce: quasi non le notiamo neanche più.

A.B.: Sottoscrivo quanto detto da Beppi. La possibilità di accedere a una infinità di musica senza muoversi da casa e tramite il “passaparola” del web o dei social mi entusiasma, ma si rischia comunque di perdersi se non si ha già una propria cultura musicale e un proprio gusto. Ci sono pochi punti di riferimento e tutto viene presentato allo stesso livello e si crea un appiattimento della percezione della qualità (tutti geni, tutti capolavori…).

E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo il cammino?

M.A.R.: Da sempre è così. Noi ci siamo sempre autoprodotti. Solo dal disco “Istinto” abbiamo avuto un’etichetta e una distribuzione ufficiale. L’autofinanziamento e l’autoproduzione sono anche un buon mezzo per fare musica senza compromessi o condizionamenti da parte del mercato.

Qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà?

M.F.: Per definizione il Prog si contamina di diversi generi. Spesso proprio quando un gruppo non rispetta i canoni della sua area di riferimento si trova etichettato Prog ed è, a mio avviso, un arricchimento. Per quanto riguarda le collaborazioni noi peschiamo ovunque e siamo aperti a confrontarci con tutti. Sulla rete abbiamo stretto amicizie e spesso ci scambiamo provini di pezzi per avere dei suggerimenti. Devo dire che parliamo sempre di stesse fasce di età, il mio contatto con le nuove generazioni è alle scuole di musica dove tutt’ora sono studente, proprio per imparare dai giovani.

B.M.: Assolutamente sì. Io ho potuto suonare con Il Segno del Comando a fianco di decine di gruppi italiani di Rock Progressivo ed heavy metal, c’è moltissima collaborazione e un livello di creatività pazzesco. Io stesso ho pubblicato un disco sotto lo pseudonimo ZoneM, nel 2022, frutto di collaborazioni.

A.B.: Essendo la prima band Prog in cui suono non ho molte conoscenze, inoltre gli anni del Covid hanno reso molto più difficili e sporadici gli incontri che si possono fare ai live o alle presentazioni dei lavori di altre band. Spero che nei prossimi anni si possa tornare a vivere la musica insieme e contaminarsi senza infettarsi.

Esulando per un attimo dal mondo Jus Primae Noctis e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nel quotidiano?

M.F.: Quando un amico chiama collaboro volentieri, con un testo, una voce, qualche nota di chitarra ma no, non ho progetti paralleli ai JPN.

B.M.: Come sapete, ho prodotto nel 2022 “ZoneM – Sono Dentro Di Me”, disco di rock sperimentale horror personale. Inoltre, suono ne Il Segno del Comando, un gruppo di Rock Progressivo molto amato nella scena dark. Ho collaborato ultimamente in due dischi della band fiorentina Old Bridge e in uno di Golden Metal, sto lavorando ad un nuovo lavoro con Diego Banchero e spero di non finire qui!

M.A.R.: Io sono regista e produttore video. Da molti anni realizzo film di concerti, ho pubblicato parecchi video su supporto fisico, moltissimi per la rete e qualcosa anche per la televisione. Ho lavorato con molti artisti italiani e stranieri, fra cui Elio, Fresu, Rava, PFM, Billy Cobham, Bollani, De Piscopo, La Drummeria, Peter Erskine, Roberto Gatto, Trio Bobo, Nana Vasconcelos, Simon Phillips. Da poco ho finito di produrre il concerto di addio del Perigeo, uno “One shot” che esce nel 2022 su video, LP e CD. Inoltre, mi piace precisare che, solitamente, suono strumenti italiani a livello top, scelti direttamente in fabbrica. Batteria Drumsound Rebel e piatti Ufip. Le Ferrari degli strumenti.

P.B.: Musica a parte (suono anche in altre band, di generi diversi dal nostro, come il manouche, il metal e una party band), adoro la fotografia, ambito in cui sono decisamente acerbo.

A.B.: Musica e ancora musica! Oltre ai JPN ho due progetti. The Bad Tree è una rock band che ho formato con mio fratello Andrea nel 2015, stiamo finendo di registrare il primo album e speriamo di farlo uscire entro l’anno. Suono anche in un power trio blues/rock (Blue Cow/Nocco and The Other Side) con cui facciamo unicamente una intensissima attività live. Ho anche un piccolo studio di registrazione (FivaLamps Studio) dove, oltre che per i miei progetti, ho registrato tracce in studio e live in studio per altri artisti (Era Serenase, Matteo Nocco…).

E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?

M.F.: Pink Floyd, Roger Waters, King Crimson, Peter Gabriel, Beatles, De André, Battisti, Battiato, PFM, ELP, Yes, Van der Graaf Generator, Vinicio Capossela, più recentemente Steven Wilson e tutto il suo ecosistema, oltre a qualche inaspettato nome interessante proposto da mio figlio come i Beach House o Imagine Dragons.

B.M.: Beatles su tutti, poi King Crimson, Gentle Giant, Genesis, PFM, Led Zeppelin, Rush, Steven Wilson, Battisti, Chick Corea, Pink Floyd, ELP, Manhattan Transfer, Museo Rosenbach, Miles Davis e tanti altri. Sostanzialmente il grande pop, il grande rock, il grande Prog e il grande jazz di tutti i tempi!

M.A.R.: PFM, Van der Graaf Generator, Genesis ante 1976, King Crimson, Lucio Battisti, Jan Garbarek, Miles Davis dagli anni ’80 in poi, Janacek. Ovviamente i Beatles e, in generale, il Rock Progressivo inglese e italiano, jazz rock degli anni ’70, jazz europeo, musica classica e contemporanea con venature dell’est europeo, canzone d’autore italiana di qualità. Come batteristi mi ispiro molto a Guy Evans e Bill Bruford e mi sono dato alla batteria ascoltando nei locali genovesi Gianni Belleno dei New Trolls. Mi piacciono assai Franz Di Cioccio, Agostino Marangolo, Carl Palmer, Billy Cobham, Steve Gadd, Manu Katché, Simon Phillips, Keith Moon, Pierre Moerlen, Omar Hakim e mille altri. Fra quelli usciti negli ultimi anni mi ha stupito Gergo Borlai, strepitoso tecnicamente ma anche attento alla musica.

P.B.: Beh, la mia playlist ideale potrebbe suonare un po’ schizofrenica, ma io la trovo molto coerente. I Pink Floyd senz’altro, i Megadeth e i Metallica, alcuni cantautori come Bersani, Silvestri e Gazzé, George Brassens (un gigante!), Django Reinhardt, Bireli Lagrene (li devo a Renzo), i King Crimson, gli Alice in Chains, i Nirvana. Poi i grandi compositori: Musorgskij, Stravinsky, Beethoven, Mozart, Puccini. Oh, Jesus Christ Superstar! I Beatles, imprescindibili. E mille altri che dimentico.

A.B.: Ascolto musica di ogni genere e sono curioso di natura, i Beatles e Miles Davis, i Pink Floyd e i Soft Machine, James Brown e gli Hawkwind, i Metallica e Chopin, Jamie XX e i Chicago, i Genesis e Michael Jackson, Steven Wilson e i Cream, cercando di approfondire ogni esperienza. E adoro ascoltare e ballare house music e techno. Ascolto moltissima web radio dove ci sono conduttori come Gilles Peterson che mi fanno scoprire artisti vecchi e nuovi.

Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?

M.F.: Lo conosco solo attraverso i suoi libri, quindi non so se esistano side effects a fare questo nome (l’Italia è molto campanilista) ma adoro la scrittura di Baricco.

Mi è piaciuto molto “È stata la mano di Dio”, gran bel film, bellissimi personaggi.

In questo periodo sto leggendo quella che definisco “filosofia applicata” sociologia, arte del negoziato, comunicazione.

B.M.: Non mi sento così multidisciplinare da poter consigliare qualcosa di diverso dalla musica di cui ho parlato.

M.A.R.: “Effetì Marinetti, la caffeina d’Europa”. Ho scoperto Marinetti poeta ai tempi dei recital con le attrici, lo ritengo sottovalutato. Tutti conoscono il suo folcloristico “Zang tumb tumb” (L’assedio di Adrianopoli), ma Marinetti è anche un poeta dolce e maturo, che padroneggia perfettamente il francese. Provate a leggere “Poesie a Beny”, dedicato a sua moglie Benedetta.

P.B.: Mah, posso dire i miei artisti e letterati preferiti. Non citerò i grandi, tanto sono già grandi, è inutile ricordarli. Tra gli altri, mi piace ricordare quelli che hanno avuto una forte influenza sulla mia crescita, come Stefano Benni, Corrado Guzzanti, Michele Serra. Gente di cultura multiforme, che riesce sempre a mettere ironia e leggerezza in quello che scrive, senza prendersi mai troppo sul serio.

A.B.: Di getto tra le mille cose che mi sovvengono: Carlo Emilio Gadda, il cinema di Tarantino e Bergman, la pittura impressionista.

Tornando al giorno d’oggi, personalmente e artisticamente, come avete affrontato e reagito al “periodo buio” della pandemia che abbiamo vissuto recentemente (e che, in parte, stiamo ancora vivendo)? Pensate che l’arte e la musica, in Italia e a livello globale, siano state solo “ferite di striscio” o abbiano subito un “colpo mortale”?

M.A.R.: Noi abbiamo subito un colpo mortale. Abbiamo pubblicato “Istinto” a dicembre 2019 e a marzo 2020 eravamo in lockdown. Non abbiamo potuto fare alcuna promozione né concerti. Un disastro.

Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri anni di attività? Diciamo che quello di Beppi che ha l’influenza e vomita sul palco durante il vostro primo concerto al “Booze ‘n blues” di Genova nel dicembre 1994, non è affatto male!

M.F.: La proprietaria si è arrabbiata tantissimo e noi ridevamo come dei pazzi. Eravamo pure piazzati molto in alto rispetto al pubblico, sembrava una scena de “L’Esorcista”.

B.M.: In realtà, non era il nostro primo concerto, era il primo concerto in cui portavamo solo pezzi nostri.

M.A.R.: Beh, anche a Trapani abbiamo litigato col promoter locale perché il service è arrivato dopo l’orario di inizio del concerto. Insomma, era tutto da montare con la gente che aspettava e ci hanno chiesto anche di prestargli dei materiali. Non ci abbiamo più visto. Poi ci hanno spiegato che il personaggio con cui stavamo litigando era un boss locale, abbiamo dovuto caricare valigie e strumenti in auto e andarcene prima di passare guai maggiori.

Anche nel 1995 durante un concorso a Genova è scoppiata una rissa e io e Marco eravamo nell’occhio del ciclone. Però quel concorso lo abbiamo vinto.

E per chiudere: c’è qualche novità sul prossimo futuro degli Jus Primae Noctis che vi è possibile anticipare?

B.M.: Stiamo preparando un nuovo album, che sarà considerevolmente diverso da quello precedente: sarà un nuovo passo nella lunga storia artistica di ciascuno di noi!

M.F.: È tutto materiale inedito. Un concept sui nostri traumi, quelli con la T maiuscola, inclusa la pandemia, ma sempre in un contrappunto di chiaro e scuro, la via di uscita c’è!

… E saremo internazionali.

Grazie mille ragazzi!     

JPN: Prego mille!

(Giugno, 2022 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 3. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)

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