Intervista ai Möbius Strip

Diamo il benvenuto a Lorenzo Cellupica (L.C.), Nico Fabrizi (N.F.), Eros Capoccitti (E.C.) e Davide Rufo (D.R.): Möbius Strip.

Möbius Strip: Il piacere è tutto nostro!

Prima di affrontare il tema Möbius Strip bisogna partire dagli Yellowcake. Come e quando nasce quel progetto? E quali sono gli studi e i percorsi musicali (non solo di ascolto) che hanno condotto ognuno di voi verso il mondo dell’esperienza “collettiva”?

L.C.: Come Yellowcake ci siamo formati nel 2010, quando avevamo circa 18 anni, chi più, chi meno. La formazione era la stessa dei Möbius Strip (Nico Fabrizi al sax, Eros Capoccitti al basso, Davide Rufo alla batteria ed io alle tastiere) con l’aggiunta di un chitarrista, Simone Bellisario. Abbiamo iniziato con delle cover di brani jazz/fusion (di Weather Report, Herbie Hancock, etc.), per poi passare ad arrangiare alcuni brani scritti dal chitarrista (grazie ai quali abbiamo anche vinto un contest jazz per gruppi emergenti nel 2011). Io sono stato l’ultimo dei cinque ad entrare del gruppo. In quel periodo avevo da poco iniziato ad avvicinarmi al jazz, per cui per me gli Yellowcake sono stati un’esperienza assolutamente stimolante per proseguire lo studio del genere e ricercare uno stile personale.

È il 2014, invece, l’anno che vede la nascita dei Möbius Strip. Quando e perché spunta in voi l’esigenza di cambiare nome al progetto? E quali sono le differenze sostanziali tra i due gruppi?

L.C.: A causa di impegni personali abbiamo dovuto abbandonare il progetto degli Yellowcake nel 2012. Qualche anno dopo mi ha contattato Davide per formare un trio piano-basso-batteria con Eros. Dopo qualche prova ho fatto ascoltare loro alcuni brani che avevo scritto e ho proposto di riformare gli Yellowcake, in modo da dare ai brani un’impronta più elettrica. Visto che Simone nel frattempo si era trasferito in Spagna per motivi di studio, abbiamo dovuto rinunciare alla presenza della chitarra. L’assenza di Simone, se da un lato ha rappresentato una perdita, dall’altro ci ha permesso di indirizzare il lavoro e gli arrangiamenti verso un sound più particolare. Per il resto, per me i Möbius Strip sono una naturale evoluzione degli Yellowcake, forse con maggiore maturità e consapevolezza, dovute ai due anni di pausa durante i quali abbiamo continuato a studiare e a suonare in altri contesti.

Molto curiosa è la scelta del nome della band. Come cade la scelta sulla figura teorizzata dall’astronomo e matematico tedesco August Ferdinand Möbius?

L.C.: L’idea mi è venuta durante una lezione di Analisi II (Nico ed io abbiamo studiato ingegneria all’università di Tor Vergata e ci siamo laureati, rispettivamente, in ingegneria civile ed ingegneria energetica), durante la quale il professore aveva spiegato le particolarità del nastro di Möbius. Ho trovato molto interessante la sua singolare geometria, la quale fa sì che, se si percorre la superficie del nastro fino ad eseguire un giro completo, ci si trova in realtà sul lato opposto della superficie di partenza, per cui sono richiesti due giri completi per tornare al punto iniziale. Ho provato a tradurre in musica questo aspetto nell’ultima parte dell’omonimo brano conclusivo dell’album, nel quale dopo ogni giro del tema ci si ritrova sul “lato opposto della superficie”, il quale è rappresentato dalle variazioni degli accordi che da maggiori diventano minori, per poi tornare maggiori dopo un altro giro. Il nome rappresenta, in qualche modo, il nostro approccio musicale… e poi Möbius Strip suona anche bene!

Il vostro primo album “Möbius Strip” è uscito nel 2017. Il sound che emerge dal suo ascolto affonda le radici soprattutto nel grande jazz-rock settantiano, sia di stampo canterburyano sia italiano. Ma come nasce l’album? E quali sono le influenze che vi hanno “aiutato” nella sua creazione (nella recensione realizzata per l’occasione cito, a titolo d’esempio, band quali Soft Machine, Blue Morning, Duello Madre)?

N.F.: Il nostro “punto di incontro” è il jazz/fusion di Pat Metheny, Chick Corea, Weather Report, Brecker Brothers, ma anche di artisti più moderni come Snarky Puppy, Robert Glasper, Jacob Collier, Hiatus Kaiyote e molti altri (senza contare che Pat Metheny e Chick Corea continuano a pubblicare tuttora album validissimi). Questo ci ha permesso di avere una base comune sulla quale costruire il sound del gruppo e, successivamente, realizzare l’album. Ovviamente amiamo anche il jazz-rock degli anni ’70, quello della scena di Canterbury in particolare (gli Hatfield and the North sono tra i nostri gruppi preferiti, senza contare poi i Caravan, i Soft Machine, etc.), tuttavia le nostre influenze sono state moltissime, includendo, oltre ai gruppi già menzionati, il rock, il prog, il folk, la musica classica. La cosa interessante dell’album credo sia l’equilibrio che abbiamo raggiunto tra le nostre varie influenze e sensibilità: l’attitudine prog delle composizioni si è fusa perfettamente con l’interplay più marcatamente jazz.

Particolare e simpatico è l’artwork creato da Francesco Tersigni e Stregò. Vi va di descrivermi questa forma a fumetti del quartetto? Chi è il supereroe più forte tra di voi? 😀

L.C.: Per la copertina dell’album avevo in mente l’idea ironica di una nostra rappresentazione a fumetti con la presenza del nastro di Möbius. Ci siamo rivolti al nostro amico Francesco Tersigni, che aveva già realizzato la copertina dell’EP di un altro gruppo di Sora nel quale suona anche Eros, riferendogli semplicemente queste generiche indicazioni. Una volta che la copertina è stata completata, Enzo Simoncelli (di Stregò Design) ha adattato la copertina alle dimensioni necessarie per l’album e ha curato tutta la parte grafica. Non avremmo potuto pensare ad una copertina migliore: ironica e complessa, così come ci piace pensare che sia il contenuto musicale che cela. Il supereroe più forte potrebbe essere Davide, con il suo enorme braccio destro e con la sua mano che tiene una piccola sfera che rappresenta il mondo (come ci ha spiegato Francesco), oppure Eros in versione Super-man: chi può dirlo!

Durante l’ascolto di “Möbius Strip” emergono due grandi assenze: voce e chitarra. Sono davvero elementi superflui per il vostro modo di concepire e creare musica?

D.R.: Come accennato precedentemente, l’iniziale assenza della chitarra è stata dettata dalle circostanze. Tuttavia, dopo qualche prova siamo rimasti molto soddisfatti del sound che si era creato, per cui abbiamo interrotto la ricerca di un suo sostituto. Per il futuro, non vogliamo negarci la possibilità di aggiungere una chitarra, una voce o un altro strumento, ma solo se questo sarà funzionale all’economia dei brani. Vedremo!

Il vostro esordio discografico è targato Musea Records. Come nasce il contatto con l’etichetta francese? In precedenza non avete provato la “carta” italiana?

L.C.: Il mio amico Roberto Vitelli (bassista e chitarrista dei Taproban e degli Ellesmere), al quale avevo inviato i nostri brani poco dopo averli registrati, mi ha consigliato di spedirli alla Musea Records, etichetta francese che distribuisce anche gli album che Roberto incide con i Taproban. Abbiamo ricevuto offerte anche da etichette italiane, ma alla fine abbiamo ritenuto migliore quella della Musea Parallèle (sotto-etichetta della Musea Records), senza considerare che la Musea è una delle etichette più importanti in ambito prog (e non solo) a livello internazionale. Abbiamo anche ricevuto degli apprezzamenti dalla Okeh Records, la storica etichetta discografica americana che pubblicava, tra i tanti, gli album di Louis Armstrong e Duke Ellington.

Cambiando discorso, recentemente siete stati coinvolti in un episodio piuttosto spiacevole che riguarda un’agenzia di booking e i loro servizi tutt’altro che economici (e la loro “particolare” forma di educazione). Vi va di raccontarci l’accaduto? Pensate sia un caso isolato e sfortunato o è un malcostume italiano che ha una certa diffusione?

E.C.: Per quanto riguarda quell’agenzia di booking, c’è stato l’aggravante della “particolare” forma di educazione: il rappresentante dell’etichetta ha iniziato ad insultarci ed a minacciarci dopo che, educatamente, abbiamo rifiutato la sua offerta, secondo noi assolutamente non conveniente. Esistono però anche altre etichette/agenzie/locali ecc. che, sebbene non utilizzino insulti o minacce, propongono trattamenti altrettanto svantaggiosi per i musicisti. Non saprei dire fino a che punto è un malcostume italiano, so solo che non è poi così raro trovare chi prova ad approfittarsi delle giovani band.

Al netto di ciò, quali sono le difficoltà che una giovane band riscontra nel proporre la propria musica nel nostro paese?

L.C.: Ci sono diverse difficoltà. Il problema principale, dal quale scaturisce tutto il resto, è lo scarso interesse di buona parte del pubblico per un tipo di musica diverso da quello che si ascolta nelle radio commerciali. In genere la produzione di gruppi/artisti famosi è abbastanza scadente (a nostro avviso), per cui lo spazio che potrebbe essere occupato da proposte artistiche più valide è invece occupato da formule musicali banali e ripetitive. A questo cui si aggiunge il crollo delle vendite dei dischi degli ultimi anni: quindi, per un gruppo è difficile sia suonare dal vivo che vendere dischi.

Cosa prevede il prossimo futuro dei Möbius Strip? Ci sono novità che vi va di anticipare?

N.F.:  Abbiamo da poco iniziato a lavorare sul secondo album. Abbiamo alcuni concerti in programma, tuttavia stiamo cercando di organizzare un vero e proprio tour, visto che finora siamo stati più impegnati con la promozione dell’album in altri ambiti. Stiamo organizzando anche una presentazione del disco a Roma ad ottobre. Se volete rimanere aggiornati sulle nostre attività potete seguirci sulla nostra pagina Facebook.

Grazie per la bella chiacchierata!

Möbius Strip: Un piacere!

(Settembre 2017)

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