Intervista ai Macchina Pneumatica

Diamo il benvenuto a Carlo Fiore (C.F.), Carlo Giustiniani (C.G.), Raffaele Gigliotti (R.G.) ed Enzo Vitagliano (E.V.): Macchina Pneumatica.

C.F.: Benvenuto a te, Donato!

C.G.: Bentrovato

R.G.: Ciao

E.V.: Grazie! Bentrovato!

Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nasce il progetto Macchina Pneumatica (o, dovrei dire, Atom Age Empire) e cosa c’è prima dei Macchina Pneumatica nelle vite di Carlo F., Carlo G., Raffaele ed Enzo?

C.F.: Il progetto nasce da un’idea, condivisa con Carlo Giustiniani, di creare una combo che unisse la raffinatezza del prog con l’urgenza e l’aggressività del rock. All’inizio l’abbiam pensato solo strumentale per concentrarci al massimo sul nostro suono, ma poi le cose hanno preso una piega sempre diversa e interessante… “progressiva” … insomma, come vedremo poi…
Prima, la mia vita musicale è stata Conservatorio, esperienze da turnista, esperienze in cover band, e inediti. Condite sempre da fasi di “abbandono” e “ripresa”, come è ormai normale che sia, visto che la musica va di pari passo con le esperienze di vita, che ti possono portare spesso “altrove”.

C.G.: Sì, devo dire che lo stile di Carlo Fiore mi è risultato subito congeniale e questo ha dato quella spinta necessaria a creare le basi giuste per il progetto. Anche il nostro ex-batterista, Michel Nesti, che ha poi preferito seguire altre strade, ha dato inizialmente un contributo importante, dando solidità alla sessione ritmica.

R.G.: Prima degli Atom Age Empire ho suonato la chitarra in gruppi blues e rock, cantato in cori gospel, gruppi grunge e soul.

E.V.: È una storia lunga, piena di jazz, fusion, rock progressivo, alternative rock e cover bands. In particolare, queste ultime mi hanno talmente annoiato all’ascolto che, per coerenza, ho deciso di non prenderne più parte. Questo non significa che non suoni brani di musicisti famosi in play-along quando studio, anzi!

Nato come trio strumentale prog/funk/fusion formato da Carlo Fiore, Carlo Giustiniani e l’ex batterista Michel Nesti, con il nome Atom Age Empire, dopo i primi buoni riscontri live sentite l’esigenza di inserire anche una voce nel progetto: Raffaele Gigliotti. Come mai questa necessità? E come nasce la collaborazione con Raffaele?

C.F.: La risposta è… Raffaele. Non avessimo trovato un personaggio del suo livello, probabilmente avremmo proseguito il percorso “strumentale”. Una voce come la sua, e non pecco di presunzione (o forse si…!), non ce l’ha nessuno attualmente nel panorama rock progressivo italiano recente, ed ha effettivamente portato un valore aggiunto al nostro suono e ai nostri testi.

C.G.: Sì, Raffaele era il tassello mancante e si è inserito alla perfezione. Per fortuna, nostra e degli altri, visto che per un breve periodo c’è stato il rischio che cantassi io, o Carlo Fiore!

R.G.: Ringrazio i miei amici per le belle parole anche se devo dire che ci sono cantanti forti nel prog italiano (non molti per la verità…), per esempio Ruggeri dei Syndone… Ricordo che suono anche la chitarra però… non sono Steve Vai, ma il mio compitino lo faccio…

Affinando” il vostro sound verso un rock di forte impatto, con elementi sinfonici e fusion, e testi in italiano che affrontano la vita reale, e cambiando il nome del progetto in Nudo, realizzate il vostro primo singolo “Quadrato”, poi ripreso nell’album “Riflessi e Maschere”. Chi è “l’esempio da non seguire” menzionato nel brano? E quanto differisce la prima versione da quella che si può ascoltare sul disco?

C.F.: Ti rispondo subito su Quadrato. La versione su disco è la stessa di quella singolo perché, di comune accordo, abbiamo deciso di non “disperdere” la magia del momento in cui l’abbiamo registrata.
Sui testi, alcuni miei ed altri di Raffaele (tra cui Quadrato, ti parlerà lui dell’esempio da non seguire…), l’idea è forte e a nostro modo innovativa nel prog italiano. Saremmo pure scomodi o invisi a qualcuno, ma bandiamo assolutamente testi favolistici, “follettosi”, e “gnomosi”, parliamo di quello che accade nel modo in cui lo sentiamo, senza imitare nessuno. Non abbiamo intenzione di fare “come questo” o “come quello”, ci affidiamo in tutto e per tutto alla “farina del nostro sacco”, finchè ce ne sarà…

C.G.: Sì, io tendo a intervenire molto poco sui testi perché sono dell’idea che chi canta e/o chi scrive il brano debba esprimere in qualche modo le emozioni che vuole comunicare. Però, se i testi non mi convincono sono il primo a dirlo… ma devo dire che finora Carlo F. e Raffaele hanno fatto un buon lavoro.

R.G.: L’“esempio da non seguire “ è il conformismo di comodo.

Con la stessa formazione entrate in studio per realizzare il vostro primo album: Riflessi e Maschere. Prima della conclusione delle registrazioni, però, Nesti lascia la band e arriva Enzo Vitagliano. Come mai questo avvicendamento? Enzo, come entri in “orbita” Nudo (divenuti poi Macchina Pneumatica)?

C.F.: Michel è e rimane un mio amico, oltre che ottimo batterista, ha semplicemente deciso di percorrere un’altra strada per la sua vita personale, e per questo lo rispettiamo. Siamo rimasti come una squadra di calcio senza portiere, ma abbiamo subito trovato il migliore sulla piazza per il nostro tipo di musica. Enzo ha groove, cultura musicale e grande empatia, ha aggiunto un bel po’ di benzina al nostro motore!

C.G.: Beh, succede nel percorso di una band di trovarsi disallineati su alcune decisioni importanti e Michel negli ultimi tempi appariva un po’ avulso dal contesto. Devo dire che, però, la questione è stata affrontata con grande maturità da parte di tutti, tanto che l’inserimento di Enzo è stato molto semplice e immediato.

R.G.: Scelte di vita.

E.V.: Ci conoscevamo da tempo ed avevamo fatto alcuni concerti insieme, quando ero in una rock band di Lodi (ormai smantellata), pertanto alcuni brani, come “Quadrato” e un altro che troverà spazio nel prossimo album, li avevo già ascoltati ed apprezzati. Quando Carlo Fiore mi ha chiamato per propormi di unirmi a loro ho accettato di slancio ed ho incominciato a studiare i brani con entusiasmo! Solo che li ho “personalizzati” secondo il mio stile. Come alcuni hanno avuto già modo di ascoltare live, qualche differenza di impostazione c’è, rispetto al drumming presente sul disco, forse per la mia estrazione jazz/fusion/prog.

Vi va di narrare la genesi di “Riflessi e Maschere”?

C.F.: I sei pezzi che potete ascoltare in Riflessi e Maschere li abbiamo selezionati da un set di una decina di pezzi che suonavamo live ormai da un paio d’anni, sono rodati e cresciuti con noi… li abbiamo scelti a scapito degli altri perché, pur non essendo l’album un tipico “concept” (altro termine un po’abusato oggi), c’è qualcosa di forte che li unisce, nel suono e nei testi.
Atmosfere space, inserti “hard rock”, improvvise aperture melodiche, è questa la cifra di Riflessi e Maschere. L’originalità non sta nel singolo elemento, ma nel loro essere messi insieme con coerenza e impatto anche rispetto alle liriche.

C.G.: Sì, diciamo che è il frutto di molte ore di lavoro in sala prove, nelle quali si è cercato di lavorare molto sulla struttura dei pezzi e sulle suggestioni, in modo tale da formare un tutto organico e non fine a se stesso. Credo che il mood ricreato del disco alla fine sia per noi soddisfacente, anche se siamo consci che chiediamo all’ascoltatore un approccio un po’ “vecchia maniera”.

R.G.: Quando sono entrato negli Atom Age Empire (poi Nudo, poi Macchina Pneumatica) l’intelaiatura dei pezzi esisteva già. Ho inserito le parti di chitarra, scritto due testi, “Quadrato” e “Sopravvivo per me” (gli altri esistevano già) et voilà.

E.V.: Io sono giunto quando 5 brani su 6 erano stati già registrati. C’era questo sesto brano (“Sopravvivo per Me”) che all’origine aveva una struttura differente, lo abbiamo ottimizzato e portato in sala di registrazione. Pensa che allora il nome della band era ancora “Nudo”! Poi, un po’ confrontandoci tra noi, un po’ con la nostra etichetta, abbiamo deciso che “Macchina Pneumatica” fosse decisamente più idoneo.

Attraverso i testi di “Riflessi e Maschere” lanciate una critica al mondo contemporaneo fatto di “umanità anestetizzata” ed “esempi da non seguire”. Ma come nasce un testo dei Macchina Pneumatica? E la realtà è davvero una fonte inesauribile di ispirazione?

C.F.: In parte abbiamo già risposto, in ogni caso ti aggiungo che i testi sono, per ora, in parte scritti da me, in parte da Raffaele. Ti posso dire che i miei sono un pelo più immaginifici e quelli di Raffaele più personali, ma una coerenza di fondo c’è e si nota fortissimo.
Un aneddoto: il testo de Gli Abitanti del Pianeta è stato scritto da me, ma il giorno in cui siamo andati in sala a registrare le voci, Raffaele se n’è uscito con l’aggiunta della frase “Elargite anestetico all’umanità”, che, oltre che sintetizzare come meglio non avrei potuto fare il significato del pezzo, è diventato una sorta di nostro mantra. Non a caso lo hai citato.

C.G.: Io sono un appassionato dei vecchi film di fantascienza e mi diverto a vedere come in effetti la morale di fondo di molti di quei film – da “Il pianeta proibito” a “Terrore nello Spazio” di Bava – sia ancora di piena attualità. E ovviamente mi diverto anche a leggere i testi di Carlo F. e Raffaele!

R.G.: Sì, a parte il piccolo contributo ne Gli Abitanti del Pianeta, nel primo disco ho scritto il testo di Quadrato e di Sopravvivo Per me. Nel secondo disco, in fase di realizzazione, ho scritto il testo di più pezzi. Per quanto riguarda il testo di Quadrato è nato in 10-15 minuti mentre ero in treno. Forse nato da rabbia o frustrazione, non so… Tra l’altro è stata la prima volta in cui ho scritto un testo senza aver prima scritto la musica. Io l’ho scritto, l’ho mandato a Carlo F. e lui l’ha musicato. E devo dire che la musica richiama il testo in maniera perfetta.

E.V.: Io sono solito dire che la realtà ha molta più fantasia dell’immaginazione. Vedi cosa sta accadendo nel mondo attualmente. Chi avrebbe potuto prevederlo?
Personalmente sono più incline alla musica strumentale, ma mi concentro molto sulle parti vocali di Raf, perché lui, oltre a cantarle, le interpreta (cosa che peraltro ritengo sia una grossa lacuna di molti cantanti italiani e stranieri, che non lo fanno)! Pertanto, accentare per enfatizzare o dinamizzare dove può essere utile all’economia del brano è un compito che mi assumo con dedizione ed entusiasmo. Alcune cose mi vengono in mente quando NON sono seduto dietro ai tamburi! Poi le metto in musica e le propongo agli altri, per ottimizzarle.

Nella recensione che ho realizzato in occasione dell’uscita dell’album, affermo che la band ha uno spirito che proviene direttamente dagli anni ’70 e una volontà e un approccio attuale e che i Macchina Pneumatica sono prog e hard rock, sono psichedelici e jazz-rock, ma sanno anche essere romantici e teatrali. Vi rivedete in tutto ciò?

C.F.: Quante cose belle siamo!!! Ti ringrazio innanzitutto… Sai, alla fine siamo un po’ il risultato anche dei nostri ascolti. Parlando a titolo personale, io degli anni ’70 non amo tantissimo il prog sinfonico, quanto più l’hard prog di gruppi come Argent, Uriah Heep, Quatermass, e, andando avanti, Kansas. Essendo poi pianista, è praticamente risultato impossibile non essere almeno “sfiorato” dal jazz, e qui citerei però Dave Brubeck o McCoy Tyner. Confesso, ma non dirlo troppo in giro, che mi ha tanto influenzato la musica che ascoltavo da adolescente… gli anni ’90 di Radiohead e compagnia…

C.G.: Sì, credo che la produzione degli anni ’70 sia ancora oggi molto interessante proprio per la miriade di sfaccettature che il rock di quegli anni era riuscito a infondere nella cultura di massa. Il nostro può essere un approccio un po’ retrospettivo, ma credo che sia piuttosto dettato dalla volontà di recuperare qualcosa di buono che oggi ancora esiste ma che si fa fatica a trovare se non cercando con attenzione.

R.G.:Io sono cresciuto ascoltando l’hard rock degli anni ‘70 ed il metal degli ‘80, oltre alla musica nera in tutte le sue declinazioni. Però, per quanto riguarda la chitarra, ho sempre studiato (da autodidatta) i jazzisti (più i saxofonisti che i chitarristi in realtà) e l’armonia in generale. Ho unito questi studi al feeling del rock assorbito in decenni ed eccomi qua.

E.V.: Io ho vissuto l’epopea del prog, la nascita della fusion e i miei riferimenti percussivi principali, manco a dirlo, sono Phil Collins, Bill Bruford e Billy Cobham. Penso che sia abbastanza normale che presti molta attenzione al groove e ai fills, piuttosto che alla soluzione tecnica fine a se stessa. Anche questo è romanticismo!

Atom Age Empire, Nudo e Macchina Pneumatica. Una storia un po’ “travagliata” quella nel nome della band. A cos’è dovuta questa “indecisione” e qual è stato, di volta in volta, il motivo dietro la loro scelta?

C.F.: Sul nome Carlo Giustiniani vi saprà dire tutto nei minimi particolari!

C.G.: Atom Age Empire forse era un nome un po’ roboante ma nelle intenzioni voleva omaggiare proprio quei film di fantascienza di cui parlavamo prima! Non a caso gli stessi Quatermass non ci pensarono due volte a chiamarsi con il nome dello scienziato inventore di un’astronave atomica! Con l’ingresso di Raffaele e la scelta di cantare in italiano, il nome Atom Age Empire perdeva però di mordente e si passava ai Nudo, nome italiano, semplice e abbastanza facile da ricordare, ma con il difetto di non agevolarci per nulla sulle ricerche su Google. Il definitivo Macchina Pneumatica nasce da un suggerimento, subito accettato, di Massimo Gasperini della Black Widow che, ascoltando l’anteprima dell’album, era stato colpito dal titolo del lungo brano strumentale che chiude il disco, definendolo molto prog. Oltre al crogiuolo di macchine pneumatiche inventate nella storia della scienza di cui ci facciamo promotori, c’è da aggiungere che la Macchina Pneumatica è anche una delle 88 costellazioni moderne, forse tra tutte, la più oscura e dimenticata. Quindi adesso qualcuno, leggendo questa intervista, potrà finalmente ricordarsene.

R.G.: Quoto in toto ciò che ha detto Carlo G..

E.V.: A me Atom Age Empire piaceva molto, ma perdeva in coerenza con i testi italiani, Nudo molto meno. Il contributo di Max (Gasperini) in questo è stato importante. Il nome definitivo lo decidemmo con lui all’edizione del FIM precedente a quella in cui abbiamo suonato!

So che è in arrivo il nuovo album. Vi va di anticipare qualcosa?

C.F.: Ci stiamo lavorando con grande entusiasmo, ma come puoi ben immaginare, i mesi di lockdown hanno rallentato un tantino il processo. Abbiamo ripreso in ogni caso a darci dentro, e ci accorgiamo che sarà qualcosa di molto forte. Ok, si dice sempre così, ma noi facciamo il nuovo album proprio per fare qualcosa in più del primo, altrimenti ci tenevamo stretti il nostro Riflessi e Maschere.
Uscita prevista? Beh, per ora vi dico che l’anno dovrebbe essere il 2021!

C.G.: È un album piuttosto articolato, ci stiamo divertendo molto a comporlo. Speriamo che la resa sul disco sia soddisfacente.

R.G.: È tosto. Dico solo questo. In alcuni punti un pugno in faccia.

E.V.: Avendo preso parte fin dall’inizio alla realizzazione dei brani, ho tentato di dare il mio contributo sia nelle strutture che nelle dinamiche. È un album che raccoglierà tutte le influenze di cui abbiamo parlato, ma conterrà molte sorprese!

C’è qualche legame, una sorta di continuità nei suoni o nelle tematiche affrontate nelle liriche, con “Riflessi e Maschere”? O è un lavoro, in qualche modo, “nuovo”?

C.F.: Il legame è inevitabile, il disco verrà fuori dalle nostre teste, le nostre ugole e le nostre dita.
Credo però di poter dire, non anticipando nulla in particolare, che ci sarà un certo “sense of wonder” in chi ascolterà, sia che abbia già conosciuto il nostro primo lavoro, sia che ci ascolti per la prima volta.
Sarà un album di impatto. Lo saranno le melodie, i suoni, e, aggiungo, i testi. L’elemento “concept” sarà presente e posso dire che sarà un album che potrebbe risultare un po’ più duro e dark del precedente.

C.G.: C’è continuità ma ci sono anche molti elementi che se ne discostano. Credo che sarà un disco interessante e sorprendente per diversi aspetti.

R.G.: Concordo coi due “Carli”.

E.V.: Come dicevo… saremo sempre noi, ma con qualche sorpresa!

Con il nuovo album prosegue il sodalizio con la Black Widow Records. Ma come nasce e come si sviluppa il rapporto con l’etichetta genovese?

C.F.: Massimo Gasperini è un grande intenditore di musica. Lui la vive ventiquattr’ore su ventiquattro. Avere a che fare con una persona del genere è un grande vantaggio per noi, oltre che uno stimolo a far sempre meglio, noi e lui.

C.G.: Massimo, pur nella miriade di attività che porta avanti, non ci ha mai fatto mancare il suo supporto e la sua fiducia. Ciò ci stimola a fare bene.

R.G.: Enzo Vitagliano conosceva Gasperini e ciò ci ha consentito di fargli ascoltare dei nostri lavori. Lo ha fatto e n’è stato entusiasta. Da qui nasce tutto. BWR è un nome importantissimo in Italia per quanto riguarda la scena prog. Non poteva andarci meglio quindi. Una cosa che apprezzo di Massimo è che se una cosa non gli piace te lo dice senza mezzi termini, così come se una cosa gli piace manifesta il suo entusiasmo. Pochi giri di parole, tanta concretezza.

E.V.: Conosco Massimo da molti anni, abbiamo sempre avuto un rapporto diretto e cordiale, forse perché anch’io preferisco parlare chiaro.
Quando entrai nella band valutai immediatamente la possibilità di fargli ascoltare il lavoro, essendo a conoscenza delle sue preferenze musicali. Evidentemente non mi sbagliavo!

Il passato è solo un pretesto per creare un Suono. E non il contrario. Sulla vostra pagina Facebook si legge questo pensiero. Chi di voi vuole approfondirlo?

C.F.: Abbiam messo le mani avanti con chi ci accomuna alle band anni ’70! Io ne apprezzo la musica, ma in quegli anni non ero neanche nato! Quindi, pur amando le atmosfere e i suoni caldi del periodo (io come tastierista sono innamorato dell’hammond…), ci si proietta avanti, si crea, si suda e si suona, senza voler fare il progettino per assomigliare a qualcuno, tanto le copie sono sempre sbiadite e sgamate!

C.G.: Passo la parola a Raffaele e ad Enzo!

R.G.: Per quanto mi riguarda, quando suono o scrivo non penso mai a voler ricreare un suono o richiamare un certo periodo. È normale, però, che se uno cresce ascoltando determinate cose, queste alla fine facciano parte di lui e vengano fuori quando suona/canta, senza rendersene conto.

E.V.: Essendo il più anziano del gruppo dovrei essere quello più nostalgico, ma non è affatto così! È inevitabile che ciò che ci ha appassionato di più abbia una certa risonanza in quello che componiamo, ma vedrete che con il nuovo album il “sound” di Macchina Pneumatica sarà ancora più caratteristico e personale!

Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?

C.G.: In vent’anni è praticamente cambiato tutto. Se il musicista è agevolato, potendo accedere in tempo reale a migliaia di informazioni, tutorial, spartiti, settaggi e compagnia bella, l’ascoltatore medio è risucchiato in un turbine di uscite che difficilmente riuscirà ad assimilare. Alla fine, comunque, la qualità vince.

R.G.: Cerco di non pensarci. Bisogna fare buona musica, poi ciò che deve arrivare arriverà.

E.V.: Il web è croce e delizia. Sicuramente ci ha aiutati ad emergere dal marasma, siamo stati immediatamente inseriti su Progarchives, abbiamo ricevuto recensioni da tutto il mondo (per fortuna quasi tutte positive!) e la nostra musica è passata nelle radio di tutto il globo: dalla Russia all’Australia. L’unica pecca, concedimi un po’ di pragmatismo, è che la facile fruibilità riduce le vendite del CD fisico. Ciononostante, non possiamo lamentarci, essendo un’opera prima, di come sono andate le cose.

E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online?

C.G.: L’industria discografica investe se ha dei ritorni. La crisi delle vendite rende sconveniente investire su band emergenti, specialmente in generi poco “mainstream”. Dall’altra parte i costi di produzione si sono notevolmente abbassati, lasciando alle band il controllo sul prodotto finale. Per cui, l’autoproduzione – rispetto al passato – è diventata una scelta tutto sommato ragionevole se la band punta a rientrare delle spese vendendo i cd in sede live.

R.G.: D’accordo con Carlo.

Qual è la vostra opinione sulla scena progressiva italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà?

C.F.: Come in tutte le “scene”, ci sono le realtà valide e quelle meno, ci sono i musicisti bravi e umili e quelli che lo son meno, sia bravi che umili (chissà perché le due cose vanno spesso di pari passo).
Oggettivamente, i luoghi per suonare sono sempre più pochi e questo a maggior ragione in epoca post-Covid.
Occorre reinventarsi sempre di più occasioni di ascolto e di performance, magari il mondo sta davvero cambiando, e non è detto che sia in peggio!

C.G.: Ci sono gruppi validissimi in circolazione. Quando è possibile si cerca di sostenersi a vicenda.

R.G.: Ci sono ottimi musicisti in giro. Ed ottimi esecutori… Due cose diverse.

E.V.: Personalmente sono abbastanza presente in ambito prog e conosco musicisti e organizzatori. Questo non significa che sia facile proporsi live, proprio perché c’è abbondanza di materiale. A parte le band più altisonanti, penso che una buona collaborazione fra band sia la carta vincente per organizzare eventi più stimolanti. Coloro che seguono una band hanno l’occasione di conoscerne anche altre. Questo, per esempio, è accaduto nell’ultimo live al Barrio’s, dove abbiamo suonato insieme con un’altra band della BWR che conoscevamo poco, e coloro che erano venuti per una band ne hanno conosciuta un’altra e hanno apprezzato!

Esulando per un attimo dal mondo Macchina Pneumatica e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nella vita quotidiana?

C.F.: Rimanendo all’ambito artistico, posso dire di avere “operato” come pianista per eventi aziendali e matrimoni, portando avanti un progetto di piano solo (ho partecipato a parecchie edizioni di Piano City Milano).
Altri progetti? Ne ho in testa un paio “solistici”, ma che restano per ora super top secret. Non ho accettato collaborazioni con altre band, perché, oltre al fatto che tengo famiglia, ‘sti Macchina Pneumatica per ora mi acchiappano proprio tanto!

C.G.: Io mi sono fatto un piccolo studio a casa e mi sto specializzando sempre più nell’home recording e nell’editing digitale.

R.G.: Io, nel poco tempo libero che mi rimane togliendo lavoro, figli e musica, coltivo l’orto. Un’attività che mi ricarica.

E.V.: A parte la mia attività musicale, sia con Macchina Pneumatica che con altre due band dell’area Prog, scrivo di musica su siti e blog specializzati e scrivo racconti un po’ particolari: servono principalmente a me per mantenere vivo il ricordo di un evento. Ovviamente non lo descrivo pedissequamente ma, con un po’ di fantasia, vi creo una storia intorno. Sono racconti generalmente apprezzati da amici e parenti, ma non hanno mai visto la luce al di fuori di questo ambito!

E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?

C.F.: Troppo difficile fare un podio. Per lasciare intendere cosa amo della musica potrei citare queste tre cose: le armonie vocali degli Zombies in Odessy and Oracle, l’intro di Hammond di Foreplay/Long time dei Boston (strano vero? Lo faceva uno che di mestiere era chitarrista!), il riff di Elefante Bianco di quel gruppo là… ah… come si chiamavano?… Si, gli Area (hai detto niente!)

C.G.: Io ho radici un po’ più hard e nella mia scaletta non possono mancare i Black Sabbath, ma sul podio ci stanno bene anche i Fairport Convention e Tim Buckley.

R.G.: Non riesco, amo molti artisti completamente differenti tra loro. Se proprio devo citare dei gruppi dico gli Area, i Faith No More e i Living Colour.

E.V.: Come dicevo ho vissuto l’epopea prog, pertanto King Crimson, Gentle Giant e Genesis sono fra le band che fanno parte della mia vita musicale. Ma sono anche un grande appassionato di fusion, pertanto adoro Brand X, Bruford, Weather Report, Mahavishnu Orchestra e Return to Forever.
Ma non sono fermo al passato. Oggi seguo con ardore da ragazzino Hiromi Uehara, Esperanza Spalding, mi piacevano i Tribal Tech e ho alcune band attuali di rock progressivo italiane e straniere che seguo da anni, ma la lista sarebbe davvero piuttosto lunga!

Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e che consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?

C.F.: Un nome che è d’attualità oggi. Parlo di Ennio Morricone. Mi fa piacere ricordarlo in questa intervista. Ha costituito da sempre una forte fonte di ispirazione per me, e secondo me andrebbe approfondito da tanti che si avvicinano al mondo della composizione musicale.

C.G.: Lo Straniero di Albert Camus.

R.G.: Mauro Corona.

E.V.: Sono un appassionato di Lovecraft, Poe e la fantastica Elena Ferrante. Fra i testi divulgativi proporrei “L’Istinto Musicale” di Philip Ball, che considero la mia bibbia personale!

Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immaginate il futuro della musica nel nostro paese?

C.F.: Come dicevo prima, dovremo abituarci e viverla e pensarla in modo diverso. Ma sono fiducioso sia come musicista che come ascoltatore: la musica è qualcosa che non potrà mai sparire, ci sarà sempre, sta a noi coglierne le nuove sfumature, e sarà nelle nostre mani e orecchie di musicisti e ascoltatori l’opportunità di reinventarla. Chi rimane ancorato ai vecchi schemi secondo me rischia di perdersi.

C.G.: La musica ci sarà sempre, basta vedere come si sono mosse le band durante il lockdown, tra video virtuali e collaborazioni a distanza. Il problema è il ricambio generazionale, però vedremo.

R.G.: Premettendo che la musica non è quella che va per la maggiore alla radio in Italia oggi, la vedo bene.

E.V.: Molti locali storici stanno chiudendo, ma non sono pessimista. La ripresa sarà vigorosa ed esaltante! Un’avvisaglia l’abbiamo avuta io e Raf al Prog Festival del Porto Antico di Genova, che ha registrato il tutto esaurito (e si sa che i genovesi sono un po’ braccino corto!)!

Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri primi anni di attività?

C.G.: Mi vengono in mente solo cose inenarrabili, passo a Raff!

R.G.: Sì. Facevo pietà…

E.V.: Sono nella band da due anni, non saprei darti una risposta.

E per chiudere: c’è qualche altra novità sul prossimo futuro dei Macchina Pneumatica che vi è possibile anticipare? Toccherà attendere molto per ascoltare il nuovo album?

C.F.: L’attesa non sarà lunghissima, e vi accompagneremo con una serie di anticipazioni “progressive” riguardanti l’album. Vi prepareremo per bene!!

C.G.: Carlo F. mi ha anticipato sulle anticipazioni.

R.G.: Se tutto va come deve, l’album uscirà nella prima metà del 2021.

E.V.: Potrete ascoltare alcuni brani che faranno parte del nuovo CD nei prossimi live, che saranno annunciati di volta in volta sulla nostra pagina Facebook, che invitiamo tutti a seguire!

Grazie mille ragazzi!

C.F.: Grazie a te ed a presto!!

C.G.: Ciao!

R.G.: A te.

E.V.: Grazie a te!

(Luglio, 2020)

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