Ozone Park – Planetarium

OZONE PARK

Planetarium (2020)

HC Group / Lizard Distribution

 

A tre anni di distanza da “Fusion Rebirth”, e con una formazione ridotta a tre elementi, torna la band sarda Ozone Park.

Se il primo disco della band sarda aveva l’obiettivo di avvicinare alla musica jazz e fusion anche un pubblico distante da questi generi, nel nuovo lavoro questo presupposto catalizza i nuovi ascoltatori verso qualcosa di più difficilmente classificabile, quindi tipicamente e più decisamente classificabile come ‘Progressive’: così è presentato Planetarium, il secondo album di Giuseppe Chironi (voce, pianoforte, tastiere, sintetizzatori, elettronica), Gianluca Cossu (percussioni, Korg M1, tastiera midi, basso elettrico) ed Alessandro Masala (batteria), che vede anche la partecipazione di Pierpaolo Meloni (flauto in Nebula).

E questa essenza “difficilmente classificabile” si percepisce nitidamente, sin dal primo secondo di ascolto, nella totale libertà espressiva e in quella sana dose di divertimento che si respira in ogni anfratto del lavoro. Tanta tecnica messa al completo servizio della fantasia, sviscerata in otto percorsi mai lineari, ma ben definiti, che fanno dell’imprevedibilità l’arma in più. Gli Ozone Park sono abili nel fluttuare tra i generi, senza concedere comodi “approdi”, e lo fanno senza mai esagerare più del dovuto, tessendo trame in cui le tastiere si manifestano spesso protagoniste (ma le ritmiche, di certo, non restano a guardare. Tutt’altro). E poi c’è quella novità del cantato che… semplicemente va ascoltata!

E prima di inserire il disco e premere play, tocca obbligatoriamente soffermarsi sull’artwork di Carmela Pinna, quel disegno a prima vista buffo che racchiude intelligentemente tutta l’essenza dell’album.

Si parte con Shuttle A440hz. Dopo un avvio da videogame anni ‘80, il synth di Chironi ci fa planare su altre lande, un po’ battiatiane (fase sperimentale). E saranno ancora le tastiere, un pizzico inacidite, a modificare il percorso, mentre il basso di Cossu vola incontrastato nelle retrovie, con Masala che svolge il suo lavoro con molta calma. I tasti di Chironi (con l’aiuto di Cossu al Korg M1) continueranno a variare per tutto il percorso, con slanci psichedelici e barlumi space, contribuendo grandemente, con le ritmiche, alla densa e lunga coda.

Shuttle A440hz sfocia ipnoticamente in Shuttle A442hz, prima di lanciarsi, a passo spedito, verso nuovi territori in cui il basso di Cossu sembra citare (o fare il verso) ai Deep Purple di “Black night” o ai The Doors, ritrovandosi poi, per pochi attimi, in atmosfere rarefatte alla Radiohead. Lo stesso strumento, a metà percorso, cambia le carte in tavola dando il via ad una caduta tenebrosa e gobliniana, ricca di tensione, che si dirada col trascorrere dei secondi.

Sorniona e cinematografica prende il via Kosmos e si sviluppa attraverso fraseggi di tastiere altamente descrittivi e carichi di pathos. Poi il piano di Chironi s’impossessa della scena e, placidamente, “dice la sua”, prima che il trio riprenda a correre. Tutto s’infrange, improvvisamente, sulle corde di Cossu. E, gradualmente, gli Ozone Park ricominciano ad avanzare, variando continuamente il passo, sino a cadere (anche) in nuovi gorghi un po’ alla Simonetti & C., chiudendo, infine, “progressivamente”.

Molto soft l’approccio a Bingo Vegas, un’atmosfera piuttosto diradata che, d’un tratto, s’avvinghia alle “gambe” del piano. Ed ecco l’“imprevisto”: gli Ozone Park iniziano a cantare! E, gettate le basi con un andamento piuttosto compassato, ma ricco di dettagli, il testo surreale (con un canto marcatamente ironico, un po’ Enzo Jannacci, un po’ Cochi e Renato) emerge dal nulla per rapirti completamente: […] pesca il 50 / dove la gallina canta / il 58 / sulla Terra è un asino cotto / 69 / come quando fuori piove. E quando la voce si ferma, il trio si anima con un eccellente segmento jazz. E poi si riprende: 52 / son l’asinello con il bue / 53 / torno a casa a farmi un thè […]. E poi ancora giù in picchiata, col piano sugli scudi e una coppia ritmica ben “piazzata”. La scudisciata di basso, quando ormai si è certi di proseguire sullo stesso tracciato sino al termine, sorprende, mentre le tastiere scure fanno il resto. Nel finale, con il ritorno della voce, si approda su territori Elio.

Fresca e funkeggiante prende corpo Ozone Planet. Un’andatura vivace che vive “sulle spalle” della coppia ritmica, con le tastiere fieramente libere di muoversi. E, incastrati all’interno di un lungo segmento tribale, compaiono lampi che si muovono tra new wave e psichedelia, con “progressioni” sul finire.

Piuttosto “spinta” la partenza di Rockambolaction, dove, poste delle basi ritmiche frizzanti e free, i tasti di Chironi hanno ampia libertà espressiva e si lanciano in articolate cavalcate che strizzano (un pochino) un occhio ad Arturo Stalteri. La seconda parte del brano si affievolisce leggermente, proiettandoci, grazie ancora alla tastiera (e al basso), in pieno territorio psichedelico, con le sue movenze acide alla Doug Ingle, prima di “addolcirsi” leggermente nelle battute conclusive.

La delicatezza che non ti aspetti. Nebula si apre con pochi colpi nivei di piano che chiamano a sé un ritmo soffice e brasileiro. Un cammino “ballabile” che procede, poi, tra i tocchi poetici dello strumento di Chironi e le percussioni di Cossu e Masala, con picchi più intensi e ricadute. A metà percorso una svolta repentina, con le note sintetiche e space di Chironi che irrompono sulla scena. E dal nulla compare anche un flauto canterburyano ad aggiungere pepe al momento, quello dell’ospite Pierpaolo Meloni.

Dell’elettronica che lascia quasi presagire l’avvio di un brano dance apre Pianeta 9. Poi il passo costante e “saltellante” che si manifesta, sembra una via di mezzo tra “I want to break free” dei Queen e una composizione di Giusto Pio. Col canto, in seguito, si assiste quasi ad uno “scontro” tra Kraftwerk, CCCP e Soerba, con il testo che tende verso questi ultimi ([…] Ho urgenza di atterrare / ho mangiato una pasta ai fagioli / su Nebula i fagioli / sono grandi come i ravioli […]). Tutto massicciamente ironico. E, in coda, gli Ozone Park piazzano la classe e l’eleganza del piano e degli archi, molto Battiato “serio”. La perfetta conclusione di un brano (ed un album) intelligente e tagliente.

Puro divertimento e spensieratezza, una proposta molto seria realizzata senza prendersi davvero sul serio. Tanto di cappello al trio sardo!

Per info: Ozone Park

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