Instant Curtain – Let Tear us Apart

INSTANT CURTAIN

Let Tear us Apart (2020)

Autoproduzione

 

A.A.A. Cercasi musicisti per progetto progressive rock.

È grazie ad un annuncio molto simile a questo, carico di significato e nostalgia, che Let Tear us Apart, l’esordio del progetto Instant Curtain, è divenuto realtà.

L’autore del messaggio è Giuseppe Petrucci (chitarra elettrica ed acustica, organo hammond, piano Fender Rhodes, mellotron, synth) il quale, dopo aver avviato la stesura dei brani e aver visto accanto a sé l’avvicendamento di diversi musicisti, è riuscito, infine, ad attirare nella sua “ragnatela” Fabrizio Paggi (basso, tastiere, batteria), Carlo Maria Marchionni (batteria) e Massimo Gerini (voce) (leggi l’intervista).

Di certo non un quartetto di sprovveduti ma quattro “professionisti della musica” con, alle spalle, anni di studio, concerti, collaborazioni e insegnamento: questi gli Instant Curtain. Quali aspettative avere allora? Direi alte.

E così come in un piatto succulento il corretto dosaggio degli ingredienti risulta fondamentale per la sua riuscita, quanto affermato nella presentazione dell’album, e quindi gli “ingredienti” dell’album (Gli ossessivi arpeggi intessono ricami ed il mellotron stende il suo velo mentre il basso pulsa e danza. Un sincrono di tamburi accompagna scale di Hammond mentre le distorsioni di chitarre riscaldano come la carezza di una madre. Gli intrappolati meccanismi imperfetti stridono annunciando “oltre la musica c’è il destino, oltre il destino c’è la musica!”…), appare ottimamente miscelato. C’è il progressive rock delle origini e quello contemporaneo, c’è la scena di Canterbury e uno certo spirito beatlesiano, ci sono intricati orditi sonori che denotano una tecnica davvero sopraffina messa al servizio dei brani (niente “cervellotiche elucubrazioni” fini a se stesse ma solo utilizzo intelligente delle proprie “forze”), c’è tensione e magia, e c’è ancora tanta altra “roba” in Let Tear us Apart.

I quattro osano e vengono ripagati da un ottimo lavoro, tutto arricchito da testi affascinanti e un artwork non semplice da “penetrare” (realizzato da Nicola Passerini e Simona Castellani).

Appena Reverse in the sand prende il via percepisci che Let Tear us Apart sarà un gran bel viaggio. Bastano le prime stratificazioni di chitarra, tastiere e ritmiche, dall’aspetto “semplice” ma, in realtà, ricche di succulenti dettagli, a coinvolgerti totalmente. E quando entra in scena la voce di Gerini, allora il rapimento è totale. Con passaggi che si muovono tra King Crimson e Beatles, il brano veleggia senza sosta e senza punti morti, sino alla svolta in cui Lennon e soci (proiettati nel nuovo millennio) si scontrano con i The Mars Volta. E poi si ricomincia, con la magia beatlesiana che, tirate le somme, pervade l’intero episodio d’apertura. […] if the candle melt down / how can I help you? […].

Sognante appare Tell the tales, may I, prima che i fili tesi da Petrucci e soci inizino ad intricarsi gradualmente. Prende così corpo una miscela scoppiettante che condensa scena di Canterbury, Radiohead, Genesis, Beatles, King Crimson, Muse ed essenza cinematografica e ne fa un qualcosa di coinvolgente e personale. Un’altalena di emozioni da vivere.

The beginning. Holy ghost, drinkin’ scented wine / forcing scattered soul into / a sentimental cage / thunderin’ rumble / speaking other words in time / every seize remain / turning blue […]. Ancora una volta gli Instant Curtain si presentano “semplici”, quasi alla Soundgarden di “Black hole sun”. Ma non sono i Soundgarden. Ha quindi inizio una nuova complessa tessitura di corde e tasti, una tela policroma che aggiunge fili in broccato d’oro cuciti dalla voce e dalle ritmiche. E, tra sogno ed alienazione, si prosegue senza mai eccedere in personalismi superflui, chiudendo romanticamente.

Vivace e rockeggiante si apre All white, una struttura densa utile al canto alla Jeff Buckley di Gerini per impadronirsi della scena. Ma alle spalle della voce ci sono tre padroni dello strumento e, cammin facendo, ce lo ricordano con una nuova intelaiatura composita, da cui emergono, tra gli altri, i virtuosismi dei vari tasti bicromatici di Petrucci e del basso di Paggi. […] The burning bridges / when everyone run away / moving forward and trying to reach everyone.

The ship battle down si materializza carica di tensione, tra tappeti “grigi” di mellotron, batteria in marcia e arpeggi irrequieti. Poi, con l’arrivo sulla scena di Gerini, il brano cresce d’intensità sino a “sciogliersi” poco oltre. E poi si riparte, l’episodio cresce, le asperità si fanno sempre più presenti e palpabili condensandosi in un magma rovente e magnetico. E tra momenti onirici e assoli di chitarra e tastiera, con l’apporto della voce sempre notevole, il brano procede spedito, senza momenti morti o sbavature.

Sognante, con un pizzico di anima OAK, prende forma And the rest divide us. Come sempre la voce è sorretta da un “sottobosco” di suoni intrecciati inestricabilmente, trama che ci porta, poi, verso lande anglosassoni. E quando l’hammond di Petrucci irrompe sulla scena, ecco apparire il grande prog di marca nostrana, di quello alla Metamorfosi per intenderci. Gran momento.

E con un’essenza prettamente genesisiana sboccia Safe as the world. L’ordito irregolare di tastiere, chitarra e ritmiche è da incorniciare, mentre Gerini si mostra sempre più ispirato. Tutto s’intensifica poco oltre, assumendo tonalità più corvine, “rilassandosi” poi tra essenze orientalizzanti. E il viaggio prosegue senza sosta trovando la propria via, infine, tra sentieri ipnotici.

Avvio “liquido” per Stay. In seguito, la chitarra di Petrucci inizia il suo show fatto di tracciati senza punti fermi, percorsi mai ripetitivi che lo vedono variare continuamente anche sul fronte “effettistico” senza portarlo ad eccedere in trionfalismi. E gli altri cosa fanno? Si lanciano nella mischia, ovviamente.

Molto più irrequieta del solito April, con gli arazzi sonori, sempre più complessi, creati dalle corde di Petrucci e tenuti in “aria” dal grandissimo lavoro ritmico di Paggi e Marchionni, mentre Gerini utilizza la sua voce quale strumento aggiuntivo. Ultimo capitolo di un lavoro godibilissimo e di una qualità sopra la media.

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