Toxenaris – The Third Policeman

TOXENARIS

The Third Policeman (2020)

Autoproduzione

 

Toxenaris è la creatura dietro cui si cela il polistrumentista tedesco Timo Aspelmeier (tastiere, piano, basso, chitarra, drum programming, percussioni), attivo sin dagli anni ’90 in ambito jazz rock/progressive e solo di recente “convinto” a pubblicare le proprie creazioni sotto il monicker, appunto, di Toxenaris.

Accanto al progetto di Aspelmeier ruotano diversi musicisti teutonici e nell’occasione troviamo Nico Walser degli Electric Mud (produzione, registrazione, missaggio, drum programming, chitarre aggiuntive), Martin Kiemes (violoncello in Golden Hours) e David Marlow (piano in A power for the hills e Inspector O’Corky).

The Third Policeman è, allo stesso tempo, il primo e l’ultimo lavoro (il quarto) di Toxenaris in ordine cronologico. Uscito originariamente nel 2016, nel 2020 Timo Aspelmeier ha dato una nuova veste sonora e grafica al lavoro, aggiungendo anche un nuovo brano in coda, Happy Return.

L’album è un adattamento musicale del romanzo di Flann O’Brien omonimo: un giro in bicicletta psichedelico attraverso territori inesplorati dell’elettronica rock-jazz contrappuntistico progressivo. Ma perché proprio un giro in bicicletta? Perché è parte importante della surreale storia scritta dall’autore inglese. E questo adattamento vive, infatti, di un’ottima commistione di elementi classici ed elettronici, di un mix di atmosfere tese ed eteree, di un fitto dialogo tra jazz, progressive, kosmische musik e sperimentazione. Non solo, l’elemento surreale è emanato fortemente anche dall’artwork di Thomas Filter (una curiosità, l’immagine di copertina della versione originale si può vedere anche nel libretto che accompagna il disco).

The Third Policeman prende il via con Golden Hours. Una miscela atmosferica ben congegnata che vede un avvio piuttosto teso nel dialogo a due violoncello/piano e che poi si distende col trascorrere dei secondi, morbidamente, un po’ verso mondi alla Barbara Rubin. Poesia e magia che sbocciano lentamente e che, in seguito, scompaiono tra le pieghe corvine del basso e di altre corde, sino a “sbattere” nell’intenso piano posto in coda.

Dopo la partenza offerta dal brano precedente, quanto accade in The iron pump and spade un po’ spiazza. Pochi accenni elettronici “sbilenchi”, poi la deflagrazione rabbiosa, un fluido denso, infuocato, fatto di distorsioni, ritmiche e tastiere che si stempera, più avanti, tra le note del basso di Aspelmeier, tutto immerso in un’atmosfera irrequieta che fatica ad attenuarsi. Notevole la cavalcata tastieristica seguente che apre a momenti jazzati e ad una “discesa” space. Finale convulso.

Sognante e “avveniristica” Divney and I, con il “dialogo elettronico spaziale” della prima parte che si lascia avviluppare dalle ritmiche nette per poi sparire quasi completamente con il segmento più corposo e frizzante successivo.

Il lungo tappeto cosmico piazzato nei primi minuti della suite Nameless (con i suoi movimenti The Colour of the Wind, A fine Morning, Rest by the Stream, The Captain of the one-legged Men e The Barracks) si lascia scalfire solo dal basso. Poi ha inizio qualcosa di diverso, teso, un pizzico gobliniano, che si apre tra i soliloqui stratificati di tastiere vintage e contemporanee. Tutto si acquieta poco oltre, fino ad assumere un tocco naturalistico, che scompare nella ripresa nervosa e voluminosa che segue. E poi sul piatto Toxenaris pone tutta la sua bravura progressiva da one man band. Davvero apprezzabile.

Il piano minimale, irregolare e irrequieto suonato dall’ospite David Marlow è il protagonista della breve A Power for the Hills.

Proseguendo il suo cammino, il piano si vivacizza nelle prime battute di Inspector O’Corky, diventando quasi tarantolato, prima di lanciare un brioso momento sorretto egregiamente dall’elettronica e dalle ritmiche. Tutto ben costruito e perfettamente intricato. E con una serie di “variazioni sul tema”, l’episodio scivola via prima di “cozzare” nell’organo nero di Aspelmeier.

Un’essenza totalmente space, un po’ Tangerine Dream per intenderci, avviluppa completamente Change for Tinahely and Shillelagh, con l’elettronica eterea regina incontrastata dell’episodio e qualche leggibile richiamo ad Arturo Stalteri.

Svolta techno/industrial per la partenza di On the Lever, in cui i suoni sintetici e la drum machine viaggiano a braccetto. Poi tastiere kraftwerkiane irrompono in scena e il brano muta faccia fino ad esplodere poco oltre. Continui cambi di rotta, tra atmosfere danzanti e momenti lugubri, fanno di On the Lever uno dei punti più interessanti dell’album.

Le corde che ci accolgono in Le Savant lasciano una sensazione ambigua sulla pelle, prima che un flebile bagliore giunga a rischiare il tutto, rendendo il percorso leggermente mellifluo e sognante.

Guizzante e molto free prende vita The Codex and the Scaffold, con l’eccelso lavoro di “incroci” tra ritmiche, chitarra e tastiere. Poi tutto si quieta, facendosi carezzevole, spirituale, prima di riprendere a correre tra territori jazz fusion alla Chick Corea Elektric Band. Ed è con questo alternarsi di “pieni e vuoti” che il brano prosegue ottimamente sino alla conclusione.

Molto solare e ben strutturata si presenta Fox, con la sua essenza eighties che rivive soprattutto nella scelta dei suoni delle ritmiche e delle tastiere le quali svolgono, singolarmente e collettivamente, un gran lavoro. Soprattutto le tastiere si ergono quali protagoniste indiscusse nel saliscendi della seconda parte del brano.

Nuova sortita in territori space per l’avvio della conclusiva Happy Return con i suoi tappeti eterei e lievemente corvini. Poi il brano prende più consistenza, ma senza esagerare, tenendo ferma l’essenza “nera” e avanzando con convinzione, facendosi più densa, sino a sciogliersi tra le celestiali note finali.

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