Intervista ai Monkey Diet

Un caro benvenuto a Gabriele Martelli (G.M.), Daniele Piccinini (D.P.) e Roberto Bernardi (R.B.): Monkey Diet.

G.M.: Ciao! Ben felici di essere qui!

D.P.: Ciao a tutti!

R.B.: Uelà Rockers!!

Diamo il via alla nostra chiacchierata con una domanda di rito: come nasce il progetto Monkey Diet e cosa c’è prima dei Monkey Diet nelle vite di Gabriele, Daniele e Roberto? Accordo dei Contrari, Gemma Frisius, PropheXy, Altare Thotemico, Like: direi tanta roba…

G.M.: Veniamo tutti da esperienze musicali simili e diverse allo stesso tempo. Il rock, il prog e la psichedelia sono una solida base comune dalla quale far emergere di volta le singole sfaccettature di ognuno di noi, cercando di creare uno stile molto personale. Io non ho mai scelto o formato band “a progetto”, sono sempre stato in gruppi “vecchio stile”, dove la band è la somma dei membri che ne fanno parte, non puoi fare i PropheXy con chiunque se non con i PropheXy per intenderci. Conoscevo Daniele da anni, abbiamo visto tanti concerti insieme… quando tra musicisti c’è un rapporto di fiducia, stima, amicizia e rispetto, fare una band insieme è una naturale conseguenza e questa conseguenza sono i Monkey Diet! Mi fa piacere che citi band in cui abbiamo militato, addirittura mi hai tirato fuori i Gemma Frisius, parliamo di preistoria, ahah! I Monkey sono qualcosa di diverso dalle nostre precedenti band in termini di suono, siamo più rock, forse più diretti, pur essendo strumentali. Sono quello che siamo oggi come musicisti e come persone.

D.P.: Conosco Gabry da più di quindici anni e Robby da poco meno, le nostre strade si sono intrecciate su diversi palchi, abbiamo respirato la stessa aria, sudato lo stesso sudore, avuto le stesse soddisfazioni e preso gli stessi calci in faccia nel corso degli anni. Sono ormai cinque anni che abbiamo unito le forze e siamo molto contenti di guardare al futuro insieme.

R.B.: Abbiamo tutti militato in band strettamente prog, ci siamo fatti le orecchie e le ossa su un certo stile di musica, i Like, ad esempio, sono stati un’ottima palestra per studiare i brani dei Genesis, una band a me molto cara ed estremamente formativa. Ora però, finalmente, posso suonare la nostra musica che, in quanto nostra, è anche MIA!

Il progetto iniziale vede Gabriele, Daniele e Maurizio Ficca. Come mai le strade con Maurizio si sono divise ben presto? E quando avviene l’incontro con Roberto?

G.M.: Maurizio è un carissimo amico con cui ho condiviso band di ogni tipo, ma i Monkey Diet sono un po’ troppo duri per i suoi gusti. Lasciò il gruppo per cercare altre sonorità. Con Robby avevamo, appunto, condiviso palchi in precedenza in occasione di festival e concerti con le rispettive band, ci conoscevamo e ammiravamo reciprocamente.

D.P.: Dopo la partenza di Maurizio provammo altri batteristi, poi la folgorazione… Sentiamo Robby, che impegni ha, magari facciamo una prova… ed è finita che suoniamo insieme da cinque anni, tanti concerti, un album di esordio che avrà molto presto un seguito…

R.B.: Fu Daniele a telefonarmi per propormi la cosa, i brani erano ancora a livello embrionale, quindi capii che potevo finalmente dare il mio personale contributo in fase di composizione, uscendo dal ruolo di mero esecutore in cui mi trovavo solitamente relegato come batterista.

Dopo circa un anno di “collaudo” (e qualche concerto), siete pronti per scrivere e registrare i brani del vostro esordio discografico, “Inner Gobi”, uscito nel 2016: un’immersione totale in sonorità sempre in bilico tra rock psichedelico, prog e stoner (e altro ancora). Mi narrate la sua genesi?

G.M.: Genesi curiosa perchè i brani erano stati quasi tutti abbozzati nei primi quattro mesi del 2015 insieme a Maurizio, ma erano ancora acerbi. Con l’ingresso di Robby nel maggio 2015 li abbiamo passati ai raggi X, limati, migliorati, in qualche caso totalmente stravolti. Solo chi ha assistito al primo concerto dei Monkey Diet (Abano Terme, Woodstock Village Festival, luglio 2015) ha ascoltato i brani in versione, per così dire, in nuce.

D.P.: Quando una band nasce è molto facile che le idee scorrano a fiumi come l’entusiasmo di chi la compone. Io e Gabry avevamo voglia di scrollarci un po’ di dosso certi orpelli prog, guardando anche ad altri generi di rock che da sempre erano nei nostri ascolti quotidiani. I brani di “Inner Gobi” sono nati da questa esigenza comune e si sono man mano sviluppati secondo i nostri gusti e stili. Ognuno di noi porta idee, arrangiamenti e sonorità e così è avvenuto anche per i brani del nuovo lavoro.

R.B.: Sentii solo degli embrioni di brani prima di entrare definitivamente nel gruppo e capii che c’era del buono come idee e sopratutto una voglia notevole di spingersi oltre quello che ciascuno aveva fatto fino ad allora musicalmente parlando. “Moth” è il brano che mi ha fatto drizzare le antenne e dire: “Ok, ragazzi, contate su di me!”.

Anche se strumentale, l’album racchiude un tema portante, l’inaridimento interiore e la “reazione” ad esso. Vi va di approfondire il concetto?

G.M.: Oggi giorno è tutto veloce, vita veloce, rapporti interpersonali che si accendono e si spengono in poco tempo, uccisi dal sistema in cui viviamo che non lascia spazio ad altro che all’individualismo e alla frenetica ricerca di un non si sa che. E questo avviene anche nella musica, band che durano un disco ed un tour, musicisti che cambiano camaleonticamente, dischi che escono, vengono ascoltati poco e male, non assorbiti e gustati, per poi essere seppelliti da altrettanti dischi. Il consumismo ormai è esteso ad ogni scomparto della vita e questo non ci va, non è per noi, NON SIAMO NOI! Siamo vecchi? Forse, ma siamo ancora di quelli che si godono le cose, non stiamo a perdere tempo a condividere cazzate scritte dagli altri sui social, la vita vera è altro, è parlare con la gente, avere amicizie che vadano oltre l’aperitivo, è comprare i dischi e ed ascoltarli nello stereo finchè non si conoscono a memoria.

D.P.: Aggiungo che la vita ci porta a fare qualsiasi cosa con uno scopo ben preciso e molte volte neppure troppo soddisfacente ed edificante, odiamo l’espressione “progetto” quando si parla di band. Non ci siamo inariditi al punto di pensare che i brani che facciamo abbiano uno scopo, hanno un pubblico ed hanno un pubblico potenziale più ampio che vogliamo raggiungere, con la promozione, con i concerti, ma non scolpendo il nostro materiale in funzione di un gusto che magari non ci appartiene totalmente. Sul sound non ci accontentiamo!

R.B.: Ho militato in orchestre per anni, ho visto gente accordare la chitarra pensando alla misera paga di una serata a base di noiosa musica da ballo. Quello è vero e proprio inaridimento. Io ho iniziato a suonare per sognare, poi è diventato un mestiere, ma ho ancora voglia di sognare.

Una cosa che mi ha davvero colpito di “Inner Gobi”, esulando dall’aspetto musicale, è l’artwork onirico creato da Lorenzo Sammartino. Come nasce e quanto c’è di vostro in esso?

G.M.: Lorenzo è amico di Robby da secoli, un artista sorprendente, con una sensibilità incredibile e non solo a livello artistico. È Monkey Diet dentro, pur non sapendolo… o forse ormai lo sa!

D.P.: Tra l’altro sta or ora lavorando al nuovo progetto grafico, sarà una bomba!

R.B.: La grafica di “Inner Gobi” è partita con qualche idea di massima e qualche suggerimento più che altro di carattere generale, mood, colori… Lorenzo si è presentato con bellissime idee, è un personaggio creativo in grado di tradurre in risultati concreti le sue visioni, dote non da poco.

Com’è stato accolto l’album da critica e pubblico?

G.M.: Pur essendo ormai proiettati sul nuovo album, “Inner Gobi” è stato a mio parere un buon esordio. La nicchia del Prog ha avuto reazioni contrastanti, i più tradizionalisti storcono ancora il naso davanti ad un approccio più rock, più tosto e d’impatto, ma per quanto mi riguarda possono ascoltarsi per la millionesima volta “Foxtrot”. Le orecchie più orientate ad aprirsi senza pensare la musica come un mondo di etichette e ad andare oltre certi canoni hanno, invece, apprezzato il nostro lavoro, proprio per il suo essere di confine tra heavy, Prog, ecc….

D.P.: Siamo convinti che ci siano tantissime orecchie ancora da conquistare e che là fuori ci sia un folto pubblico che possa apprezzare il nostro sound. Abbiamo avuto parecchie recensioni in passato e ne avremo per il prossimo album.

R.B.: Se ascolti musica a 360 gradi e sei uno di quelli che non sopporta le etichette neppure nel colletto della t-shirt, i Monkey Diet sono il tuo gruppo!

È, dunque, in arrivo il nuovo album e sulla vostra pagina Facebook ho letto, tra i vari vostri post, questo: “moooolte sorprese succulente in arrivo”. È possibile anticipare qualcosa? C’è qualche legame, una sorta di continuità nei suoni o nelle tematiche, con “Inner Gobi” o è un lavoro, in qualche modo, “nuovo”?

G.M.: La nostra natura di confine tra i generi, come al solito, permea il nuovo lavoro che, rispetto ad “Inner Gobi”, sarà un album forse più diretto, ma questo ce lo dovrete dire voi che ascolterete! Per quanto riguarda le tematiche, siamo la stessa band, vediamo il mondo come tre anni fa… per cui…

D.P.: Questa volta abbiamo realizzato sei brani duri, tosti, cercando un disco più compatto che, finito di ascoltarlo, vi venga voglia di rimetterlo su immediatamente dall’inizio.

R.B.: E possiamo già anticipare che ci saranno featuring di pregio a condire il sound Monkey!

Il vostro esordio discografico è uscito per Black Widow Records. Continuerà la collaborazione con l’etichetta genovese? E com’è nato il vostro rapporto?

G.M.: La Black Widow aveva potuto apprezzare un set infuocato dei Prophexy al FIM di Genova nel 2014. In quell’occasione eravamo backing band di Richard Sinclair, ma so di non peccare di presunzione se dico che i due brani PropheXy suonati in quell’occasione hanno convinto molti del valore di quella formazione. Purtroppo l’avventura PropheXy, poco dopo, ha subito una fase di stand by che dura tutt’ora, ma mi aveva portato a conoscere Massimo e Pino.

Ci siamo incontrati qualche anno dopo a Bologna al concerto dei Chrome, loro sono persone che come noi credono nei rapporti umani, nel vedersi vis-à-vis, non dietro un computer e questa è una bella base per una collaborazione che continuerà anche con il prossimo disco.

D.P.: Black Widow è la label adatta per tutto ciò che c’è di scuro, in bilco tra doom e Prog e noi siamo fieri di uscire con loro.

R.B.: Hanno fatto un ottimo lavoro con “Inner Gobi”, perchè mai dovremmo uscire con altri?

Inner Gobi”, come detto in precedenza, è un lavoro strumentale. Lo sarà anche il nuovo? Non sentite alcuna “esigenza” di allargare i vostri “orizzonti” verso l’elemento vocale?

G.M.: Certo un cantante rende tutto più facile, dalla composizione alla fruizione, ma per quanto mi riguarda o scopriamo che uno di noi tre è un cantante eccezionale o possiamo fare a meno!

Vedi, la famiglia Monkey Diet è composta da molte persone, Lorenzo di cui si parlava poc’anzi, Stefano “Sga” Vaccari, nostro fonico, addetto ai media e talvolta batterista live, ma la band siamo io, Robby e Daniele, non vogliamo rischiare di alterare l’equilibrio e la magia del nostro trio. Possiamo pensare a cantanti ospiti, ma caratterizzerebbero molto i brani, e dal vivo come dovremmo fare? Voce in base? Neanche a pensarci!

D.P.: Piuttosto avremo appunto qualche altro musicista come ospite ad impreziosire la trama sonora.

R.B.: Più volte live abbiamo allargato l’organico con interventi di amici come Renato (feat. Esserelà) o Flavio (Ugly Birds), ci divertiamo con altri musicisti, la mente e le orecchie sono sempre aperte ed attente.

In apertura citavo le vostre varie esperienze precedenti (Accordo dei Contrari, Gemma Frisius, PropheXy, Altare Thotemico, Like). Cosa c’è di quel “bagaglio” nel progetto (e uso ancora questo termine per punzecchiarvi!) Monkey Diet?

G.M.: Non parliamo di “progetto”, siamo una BAND!

D.P.: Nei Monkey ci sono tutte le esperienze di vita passate, la musica suonata, creata, ascoltata, ma anche ricordi degli errori in cui ognuno di noi è incappato in precedenza che son lì come un monito per non ripetere certe “autoreti”.

R.B.: Nella vita di ogni musicista, ogni nota suonata oggi viene dalle centinaia suonate ieri, i miei studi sugli incastri ritmici, le esperienze di Gabry in fase di registrazione, le esperienze live di Daniele… tutto quanto fatto in passato è ora al servizio dei Monkey Diet.

Monkey Diet: nutrire la scimmia è metaforicamente l’assecondare il proprio istinto, quella parte più irrazionale dell’essere musicisti ROCK così spesso tenuta a freno in passato in favore di composizioni più articolate e cerebrali. Ma come è avvenuta la scelta del nome? E, a poco più di un lustro dall’avvio del progetto, siete riusciti a “saziare la scimmia” con la vostra musica?

G.M.: Il nome è nato molti molti anni prima del gruppo, quando io e Daniele andammo a sentire un concerto (se non erro i Testa De Porcu) ed io ero uscito da lavoro, passato al volo da casa per una doccia e, come spesso accade, cenato con quello che mi è capitato per le mani in casa mentre mi rivestivo. Beh, quella sera mangiai una banana e delle noccioline… e fu La Dieta Della Scimmia!

D.P.: La scimmia mangia tanto e spesso e, finchè vive, noi siamo qui per nutrirla!

R.B.: Presto un altro piatto sarà servito in tavola!

Spulciando tra le vostre singole biografie ho trovato alcuni dettagli che mi hanno incuriosito e che mi piacerebbe approfondire. La prima domanda è per Gabriele e Daniele: mi parlate delle vostre collaborazioni, rispettivamente, con Roberto Freak Antoni e Richard Sinclair?

G.M.: Il primo nastro ascoltato in vita mia è stato “Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”, il primo concerto visto fu degli Skiantos… Posso dire che sono stati parte integrante della mia formazione e della mia educazione, non solo dal punto di vista musicale. Fabio (Dandy Bestia) è stato il mio insegnante di chitarra e mi ha fatto conoscere tanta tanta musica e, soprattutto, ha instillato in me il desiderio di conoscerne sempre di più travalicando i generi. Quando Freak e Alessandra (Mostacci) mi chiesero di colorare un paio di brani durante un concerto ne fui davvero onorato. Era il periodo di “Ironikontemporaneo”, in cui su musiche di matrice colta Roberto recitava i suoi testi ironici, demenziali, intelligentissimi e sottili. Ci trovammo bene, avevano capito che sono uno che ci tiene ad ogni nota suonata, non fa le cose tanto per fare, facemmo un paio di prove e un po’ di concerti insieme e registrai qualche intervento nel disco “Ironikontemporaneo 2”.

D.P.: Un amico mi diede il contatto di Richard, che ha suonato in alcuni dei miei album preferiti, primo tra tutti “The Rotters’ Club”, affinché potessi chiedergli un cameo vocale. Da lì sono nate avventure live, come quando nel 2011 i PropheXy e Accordo dei Contrari fecero un doppio concerto con Richard ospite di entrambe le compagini al mitico Naima Club di Forlì, palco calcato da tantissimi nostri miti musicali.

E per Roberto, invece, come ti trovi a “spaziare tra i generi” (dal rock al liscio, dalla discomusic al Progressive)? E quali sono le differenze dal suonare musica propria (con Altare Thotemico e Monkey Diet) e interpretare delle cover (con i Like, una Genesis tribute band)?

R.B.: Ho suonato musica di tutti i tipi, l’importante è capire il ruolo che si ha in ogni situazione. Nelle orchestre è solo lavoro, devi stare concentrato, in struttura e far funzionare la serata. Con i Like, invece, dovevo eseguire con la massima precisione quanto fatto da Phil Collins 40 anni prima. Con i Monkey invento i miei pattern e talvolta li re-invento in fase live per dare quel guizzo in più! Non puoi suonare nei Monkey facendo il compitino o copiando qualcun altro, come non puoi andare in orchestra e prenderti determinate libertà interpretative.

Spostandoci, invece, sul fronte live, come sono i Monkey Diet sul palco? Cosa c’è da aspettarsi da un vostro concerto?

G.M.: C’è da aspettarsi tre che suonano, niente trucchi, solo tanto rock… d’altronde è un concerto, no?

D.P.: La certezza che se oggi suoniamo la stessa scaletta di ieri potrai sentire qualcosa di diverso, gli assoli non sono mai scritti, Robby inventa sempre nuovi fill

R.B.: Puoi contarci, non ti suonerò mai lo stesso brano in maniera identica!!

Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il vostro punto di vista per chi fa musica?

G.M.: Mah, guarda, è un argomento tanto ampio quanto spinoso, difficile da esaminare in poche parole. Penso che il web abbia dato la possibilità a nuove band di essere ascoltate in qualsiasi parte del mondo e a vecchie band di essere riscoperte. Proprio per questo oggi non basta fare un buon disco per conquistare la posizione che si merita. Conosco band incredibili del passato e del presente che sono finite ingiustamente nel dimenticatoio, superate in ascolti e rispetto da realtà molto mediocri ma ben presentate e supportate e questo vale per ogni genere musicale. Il web è in grado di far sembrare Golia un Davide qualsiasi e viceversa, è immagine prima di essere sostanza e siamo tutti portati a cliccare più facilmente su un video ben realizzato, evitando di guardare un filmato live ripreso col telefono… Magari finiamo così per ascoltare musica trascurabile perchè ben proposta a discapito di buone idee “mal vestite”.

R.B.: La tanto decantata libertà della rete si è trasformata nella dittatura dei numeri… In un mare di musica si tende ad orientarsi basandosi su quanta gente ascolta un disco o guarda un video. E questo vale per tutti i generi, dal pop al metal.

D.P.: Aggiungiamo che nel mare/marasma dei video musicali in rete ci sono realtà che hanno solo scopo ludico e non creativo (cover e parodie) e che, grazie al loro carattere leggero e divertente, diventano subito virali. La pesantezza della quotidianità fa sì che la gente sui social condivida più facilmente le facezie divertenti piuttosto che un brano significativo. Oggi anche il musicista professionista deve fare un video che “buchi” e spesso ottimi musicisti sono più famosi per una gag, una lezione o una cover su Youtube che per il loro proprio percorso magari interessantissimo.

E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel vostro caso specifico, quali ostacoli avete incontrato lungo il cammino?

G.M.: Partiamo dal presupposto che i Monkey fanno quello che fanno per passione, per amore e per vocazione, abbiamo il nostro lavoro e non andiamo col piattino a chiedere supporto alla nostra fan base. La difficoltà è trovare il proprio pubblico, le etichette e le cosiddette “scene” che sono un’arma a doppio taglio perchè spesso impongono dei canoni e clichè che a tante band vanno strette. Vedi, devi arrivare all’ascoltatore che non sa nemmeno della tua esistenza e magari potrebbe apprezzare il tuo lavoro, e questa è la sfida che affronteremo con il prossimo album. Saremo in pista con concerti, showcase, interviste, video… Ehi rockers là fuori, verremo a prendervi a costo di suonarvi alla porta!

D.P.: La difficoltà maggiore è fare musica in quello che forse è ormai considerato un modo vecchio, basato su dischi e concerti e non su video e gag. Se a ciò ci aggiungi che non siamo una band ipertecnica per musicisti nerd, ben comprendi che la strada è sempre in salita. Ma la Scimmia ha gambe buone!

R.B.: E la testa dura!!!

Qual è la vostra opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?

G.M.: La situazione è come la vita di tutti i giorni, ci sono band con cui collabori, di cui hai stima e rispetto e ci sono gruppi che capisci subito che sono lì per sfruttare la situazione e non si faranno scrupoli ad essere scorretti per guadagnare due euro. Per fortuna in questi cinque anni abbiamo avuto modo di collaborare con molti che sono diventati proprio amici, come, ad esempio, i feat. Esserelà.

D.P.: Gli spazi ci sono, è il pubblico che tende a muoversi sempre meno per le nuove band. Suonare di spalla a live act noti può essere una buona chiave per raggiungere potenziali nuovi fans.

R.B.: C’è una triste realtà che va sottolineata: vediamo foto di fine anni ‘60 in cui ad un concerto degli Who scorgi tra il pubblico, ad esempio, David Gilmour o Paul McCartney, leggi di Hendrix che va a sentire i King Crimson live… Oggi pochi musicisti vanno ad ascoltare gli altri musicisti, il confronto, lo scambio è sempre più raro. E sottolineo che se non c’è pubblico oggi, magari domani il locale chiuderà e nessuno suonerà… Uscite di casa, è importante!

Esulando per un attimo dal mondo Monkey Diet e “addentrandoci” nelle vostre vite, ci sono altre attività artistiche che svolgete nella vita quotidiana?

G.M.: Io mi drogo di musica e colleziono dischi… Ho una abilità manuale pari a zero!

D.P.: Non ho altre attività artistiche “attive”, ma amo la letteratura e la cultura cinematografica.

R.B.: Oltre alla musica? Fammi pensare… Ah sì, suono la batteria! Ogni tanto anche le percussioni!

E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), vi va di confessare il vostro “podio” di preferenze personali?

G.M.: King Crimson/Jimi Hendrix/Van der Graaf Generator… ma può darsi che domani ti risponda in maniera differente.

D.P.: Difficile domanda… Ti direi Beatles al primo posto, poi una folta schiera di gruppi a contendersi argento e bronzo (Gentle Giant, Mahavishnu Orchestra, Rush, King Crimson, Deep Purple, Uriah Heep…).

R.B.: Posso dirti che Genesis, Beatles e The Police mi hanno sconvolto la vita… ma una classifica è impossibile.

Restando ancora un po’ con i fari puntati su di voi, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che amate e di cui consigliereste di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?

G.M.: Passo la palla a Daniele in questo campo.

D.P.: Follett, Grisham, Connelly, Stephen King… di loro ho letto avidamente tutto lo scibile.

Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immaginate il futuro della musica nel nostro paese?

G.M.: È prematuro avanzare ipotesi, ma, per quanto mi riguarda, la musica la si fa coi dischi e con i concerti dal vivo con un pubblico. I video con i quadratini, i concerti streaming, ecc. non fanno per me, almeno per il momento…

D.P.: Se non avessi aggiunto la postilla “nel nostro paese” sarei stato più ottimista, ahah!

R.B.: Ad uno come me che ha sempre suonato moltissimo dal vivo, la situazione può sembrare davvero drammatica, ma la voglia di aggregazione che serpeggia in questi giorni potrebbe essere la benzina per la ripresa del mondo dello spettacolo.

Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che vi va di condividere sui vostri anni di attività?

G.M.: Cosa posso raccontarti? Anni di divertimento e di risate con due persone con cui stai bene… anche se uno di loro riesce ad addormentarsi in macchina con un panino in mano e ti trasforma il tappetino in uno scenario post-atomico!

D.P.: Posso condividere con te la gioia di fare musica, gioia che erano anni che non provavo prima di unire le forze con Gabry e Robby. E la soddisfazione di fare musica che sento molto personale e ad alti livelli, in occasioni come il Porretta Prog in apertura dei Soft Machine, ad esempio, è qualcosa di indescrivibile.

R.B.: Ricordo ancora il brivido e la tensione del primo concerto. Ero da poco nella band, i brani erano ad uno stadio non definitivo… ma la macchina andava provata e il rodaggio fu molto buono!

E per chiudere: c’è qualche altra novità sul prossimo futuro dei Monkey Diet che vi è possibile anticipare?

G.M.: Beh posso dirti che gli ospiti intervenuti nel nuovo lavoro sono importanti e non legati strettamente al circuito del Prog!

D.P.: Presto ascolterete dal vivo il nuovo materiale!

R.B.: Aspettatevi i Monkey Diet all’enesima potenza.

Grazie mille ragazzi!     

G.M.: Grazie a te del supporto che dai ad un certo tipo di musica.

D.P.: Grazie! E non vediamo l’ora di mandarti una copia del nuovo album!

R.B.: A presto con grosse news!

(Gennaio, 2021 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 2. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)

 

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