Monkey Diet – Inner Gobi

MONKEY DIET

Inner Gobi (2017)

Black Widow Records

Se per puro caso ci imbattiamo in un disco intitolato Inner Gobi, realizzato da una band chiamata Monkey Diet, la prima cosa che balza all’occhio è sicuramente il suo artwork piuttosto eccentrico e onirico (creato da Lorenzo Sammartino, pittore e artista abile nel tradurre in immagini e colori il mood generale del disco). Se poi la curiosità la spunta sull’apatia e andiamo oltre la confezione fisica, soffermandoci sui membri che compongono questo nuovo progetto musicale, comprendiamo bene di non essere di fronte a degli “sprovveduti” del prog: Daniele Piccinini (basso e synth, ex Accordo dei Contrari), Gabriele Martelli (chitarre e synth, PropheXy) e Roberto Bernardi (batteria, ex Like, cover band dei Genesis).

Il passo successivo, fondamentale, sarà l’ascolto. Ecco allora prendere il via un’immersione totale in sonorità sempre in bilico tra rock psichedelico, prog e stoner, tra episodi ruvidi che “nuotano in sicurezza” tra Hawkwind e Black Sabbath, in quella che è anche l’essenza del moniker stesso della band: nutrire la scimmia è metaforicamente l’assecondare il proprio istinto, quella parte più irrazionale dell’essere musicisti ROCK così spesso tenuta a freno in passato in favore di composizioni più articolate e cerebrali.

Questo è Inner Gobil’inaridimento interiore (dovuto a convenzioni, usi e costumi che non appartengono naturalmente all’essere umano ma ne informano lo stile di vita) è proprio quanto possa esserci di più contrapposto all’istinto, all’Io più vero che è in ogni persona, alla Scimmia che prende coscienza di quanto il mondo l’abbia resa passiva ed inerte per poi svegliarsi, nutrirsi ed uscire dalla gabbia inarrestabile.

Ego Loss. Nelle prime battute del brano d’apertura si va con i giri a mille: è il DNA Accordo dei Contrari di Piccinini a pervadere anche le membra dei compagni. Poi tutto si quieta relativamente, Bernardi si piazza nelle retrovie e lascia spazio ai bei fraseggi di chitarra e basso, prima di esplodere collettivamente e “impazzire” poco oltre, guidati dalle scudisciate distorte di Martelli e dalle ritmiche furenti del duo Piccinini/Bernardi.

Avvio dalle tinte hard per Inner Gobi, quasi sabbathiane, poi Martelli prende in mano il brano con un soliloquio dalle sfumature hendrixiane (o, restando in terra italica, à la Bambi Fossati). Ecco allora giungere la cavalcata selvaggia contraddistinta dai notevoli “ghirigori” di Piccinini (sembra quasi di sentire i Ramones!). E a seguire c’è anche il momento romantico e il solo molto slow hand, prima dell’ispessimento finale.

Primi secondi lisergici, poi incedere compassato per Slidin’ Bikes, con lo spettro di Jimi che aleggia ancora in parte nelle corde di Martelli. A seguire Bernardi intensifica i colpi, ben coadiuvato dagli strumenti a corde, e il brano intraprende un viaggio che si muove tra una serie di paesaggi malinconici, vispi, graffianti, mediterranei, melliflui.

The Endless Day Of Robby The Ant. Gli iniziali frangenti “chiari” introducono il motivo e l’essenza rockeggiante che segue e che vede Martelli “suprema guida”. Ottimo, come sempre, il lavoro nelle retrovie di Piccinini, mentre gli inserti di synth rendono più cupo il clima. Lungo il percorso Martelli smorza la sua irruenza concedendo spazio, in parte, alle ritmiche e al frammento recitato.

La partenza che non t’aspetti. Moth si apre con un solenne coro ecclesiastico, realizzato dal Coro Stelutis, prima che Martelli esploda i suoi antitetici colpi sabbathiani. Segue un clima ruvido e sinistro dall’andatura controllata, prima del barlume di luce offerto dall’arpeggio circolare dello stesso e dal particolare intervento di Piccinini. Il lungo brano centrale vive continuamente di cambi d’abito, anche repentini, e giochi chiaroscurali, con sporadici rimandi agli Hawkwind, una sorta di summa della proposta dei Monkey Diet.

Sul finire del brano precedente emergono bagliori elettronici cupi che sfociano in Sorry Son… (I’ve Lost Your Car). Durano meno di un minuto, poi si riprende con gli “schiaffi” distorti e le ritmiche possenti, tutto molto hard e seventies, che si spingono sino alla jam schizofrenica e al momento gobliniano (che richiama l’apertura).

Puro rock energico, vigoroso, quello offerto da Moonshine, con ritmiche sostenute e volteggi di chitarra che ricordano l’hard/heavy-rock strumentale dei nostri Rinunci a Satana?.

Spinta e possente anche la breve Seppuku, con il solito Martelli che si erge protagonista volando sulle “teste” delle ritmiche che comunque svolgono un lavoro encomiabile.

Inner Gobi si chiude con Viking. Dopo un primo frammento in cui Martelli imbraccia lo strumento alla Mark Knopfler (esulando dai primissimi secondi del brano), muovendosi “pulito” su ritmiche blande, ecco giungere la mutazione frizzante, distorta e seventies. A seguire l’umore del trio si fa malinconico, i suoni sono quasi trascinati, un vero e proprio commiato prima di un relativo “risveglio” finale. In coda, a mo’ di ghost track, un frammento goliardico estrapolato dalle fasi in studio di registrazione.

Assecondare il proprio istinto non è sinonimo di “presa immediata” da parte dell’ascoltatore e la band ne è consapevole. Proprio per questo motivo va fatto un grande plauso al terzetto, per il coraggio e le ampie vedute mostrate. Il tracciato è ormai segnato, sarebbe un vero peccato non proseguire.

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