Intervista ad Andrea Ranfa

Un caro benvenuto al cantante Andrea Ranfa.

A.R.: Grazie a te per l’invito!

Iniziamo la nostra chiacchierata dalle origini. Quali sono i tuoi primissimi passi nel mondo della musica e i primi “amori”?

A.R.: Ho sempre ascoltato musica fin da ragazzino prendendo cassette da cugini, parenti e, per mia fortuna, dei generi più disperati e diversi, classica, Prog, italiana, rock, jazz, ecc.

Come ricordi i tuoi primi anni, alla fine dello scorso millennio, tra cover band e concorsi musicali?

A.R.: Ho avuto il piacere e di affrontare molti repertori fra cover band e musica originale e di usufruire di svariati concorsi musicali, dove mi sono fatto le ossa.

Dal 1999 al 2005 sei impegnato con la compagnia Musicale Kaspar Hauser, con cui interpreti il ruolo di Rocky in “Rocky Horror Show” e quello di Jesus in “Jesus Christ Superstar”. Come si diventa cantante di musical e quali sono le differenze tra il cantare in una band e in uno spettacolo dal genere (da protagonista)? E quando è sbocciato il tuo amore per il musical?

A.R.: La mia passione per il musical è nata per caso, una sera a casa di amici dove facemmo una maratona di film musicali… Amore a prima vista, come si dice. Mentre per quanto riguarda la mia partecipazione ai musical è stata una cosa puramente casuale, dovuta ad una sostituzione di un ragazzo nel cast del “Rocky Horror”, da lì, poi, ho avuto la fortuna di intraprendere per due anni la parte di “Rocky” nel suddetto musical in giro per i teatri italiani e, successivamente, il ruolo di “Jesus” nel “Jesus Christ Superstar”. Le differenze stilistiche fra il cantante “normale” e quello del musical è solo la parte recitativa, dove tutti i tuoi movimenti ed espressioni devono essere amplificati a favore della storia e naturalmente del pubblico, cosa che, come cantante di altri generi, puoi omettere senza ridurre la tua prestazione nella serata.

E nel 2000 arrivano nella tua vita Ian Paice e i Deep Purple. Come entri in contatto e come nasce la collaborazione con il batterista della leggendaria band inglese? E che ricordi hai del minitour italiano condiviso con lui?

A.R.: Lo “zio” Ian entrò a far parte della mia vita dopo che mi ero fatto notare in una cover band dei Deep Purple. Paice in quegli anni si dilettava a prestare il suo drumming a favore di cover band locali. La fortuna ha voluto che cercassero un cantante per accompagnarlo in una serata e da lì è nata una sorta di collaborazione, grazie anche a musicisti conosciuti nelle mie peregrinazioni di locali rock. Il minitour è stato emozionante ed era come essere nella storia del rock… suonando nei localini!

E il 2007 vede il tuo esordio discografico solista: “Little Hard Blues”. Mi racconti la sua genesi?

A.R.: Avevo, come molti musicisti, dei brani nel cassetto ed aspettavo il momento giusto per inciderli. Paice si offrì di registrare un brano dei miei inediti ed allora ho avuto la “scusa” per poterne registrare anche gli altri. Oltretutto il genere che mi proponevo di fare era un album stile seventies e quale rappresentante migliore potevo avere se non il batterista storico dei “Deep Purple”?

In “Little Hard Blues” troviamo, in qualità di ospiti, Ian Paice, Bernie Marsden, James Christians, Tracy G, Roberto Tiranti e Claudio Cinquegrana. Come sei riuscito a “convogliare” le energie di tutti questi musicisti di prim’ordine nel tuo lavoro? E quali riscontri hai ottenuto da critica e pubblico in quell’occasione?

A.R.: Gli ospiti che ho avuto il piacere di “contenere” musicalmente nel mio album sono frutto di collaborazioni ed amicizie che si sono create durante le mie uscite nel mondo musicale. Tanti amici con cui ho ancora il piacere di condividere alcune serate, primi fa tutti Alessio Vitali e Leonardo Milani che mi hanno aiutato nella stesura e nella composizione dei brani! La critica non è stata clemente con me, forse perché pensavano che mi ero attorniato di ospiti solo per farmi notare (cosa che sicuramente ho sfruttato, ma solo per amicizia) anche se naturalmente gli ospiti internazionali si sono fatti pagare… ma con forme moooolto ridotte rispetto ai loro veri budget, diciamo come quando lavori per amici e ti fai pagare ma mai quanto sarebbe il prezzo reale.

E dal blues rock del tuo album d’esordio, l’anno eseguenti passi al Prog Metal di “21st Century Brain” dei ProgressiveXperience, di cui diventi il cantante. Quanto sono diverse le due esperienze?

A.R.: Un modo completamente diverso di affrontare i brani… da uno pieno di improvvisazione e feeling ad uno che era richiesta tecnica e precisione. Nonostante la mia indole più bluesy, mi sono trovato bene lo stesso!

Negli ultimi quindici anni (e poco più) hai preso parte a numerosi progetti artistici. Uno di questi è Four Funk, con cui pubblichi l’album “Free” nel 2012, una raccolta di riletture di cover di alcuni fra i più noti musicisti di Funky blues. Mi parli un po’ del progetto? Ha avuto un seguito?

A.R.: Sono stato chiamato dal mio amico Keki, mitico hammondista, per incidere un brano alla voce, poi vista la mia conoscenza del genere e la nostra amicizia, sono stato piacevolmente inglobato nel progetto che ci ha visto in giro per una trentina di serate e insieme sul palco con tanti artisti blasonati. Purtroppo il progetto doveva ripartire nel periodo che poi è corrisposto alla prima pandemia… Speriamo di rifarci, magari per l’anno 2022!

Il 2015 ti vede entrare nei Vanexa, storica band metal italiana e, l’anno successivo, esce l’album “Too heavy to fly”. Ti va di spendere due parole sul disco?

A.R.: I Vanexa cercavano un cantante e la sera della mia esibizione al FIM di Genova, dove cantavo insieme a Joe Lynn Turner, sono stato contattato da Silvano Bottari (batterista dei Vanexa). Ci siamo scambiati idee e nei giorni successivi abbiamo fatto una prova. È nato subito un ottimo feeling. I brani dell’album, che poi sarebbe uscito di lì a poco, sono stati concepiti alla vecchia maniera, prove e confronti sul posto (niente di moderno, tipo mp3 e lavoro dietro la tastiera). Il disco ha avuto un ottimo successo fra i fans, nonostante sia stato concepito leggermente più morbido rispetto ai precedenti LP dei Vanexa. Questa risposta del pubblico ci ha dato modo di fare tante serate e buttare giù dei brani per il disco che uscirà a breve (speriamo per maggio 2021).

…e poi, sempre nel 2015, nella tua vita arriva il Progressive Rock: The Trip. Quando e come scocca la scintilla con la storica band di Pino Sinnone? Com’è stato “calarsi nei panni” di Arvid “Wegg” Andersen e Joe Vescovi? E quali sono le sensazioni che si provano a far parte di una leggenda come i The Trip?

A.R.: La serata del FIM mi ha portato molto bene… La stessa sera dei Vanexa anche Pino Sinnone, storico batterista dei The Trip, si è fatto avanti. Nell’arco di qualche mese ci siamo ritrovati io, lui e alcuni amici, a tirar giù il repertorio che è stato per anni fonte di ispirazioni per gli amanti del Prog. Come dico sempre durante le nostre esibizioni o durante le interviste “Io non sono in veste di sostituto di Wegg né, tantomeno, un suo imitatore, ma semplicemente un umile cantante che tenta di omaggiare al meglio il suo storico lavoro”.

In pochi anni, anche se abbastanza attivi sul fronte live, la formazione ha subito numerosi assestamenti interni. Come mai questa instabilità? E come sono i The Trip sul palco?

A.R.: Sì, purtroppo abbiamo avuto diverse defezioni, a volte dovute agli impegni di alcuni musicisti, altre volte per incompatibilità di carattere. I Trip sul palco sono passione e sentimento, non siamo dei virtuosi ma cerchiamo di riproporre le sensazioni e lo spirito che anni fa è stato il successo dei titolari.

So che c’è tanta “roba” che bolle in pentola in casa The Trip per l’imminente futuro. Ti va, fin dove puoi, ovviamente, di dirmi qualcosa a riguardo?

A.R.: Sì, stiamo preparando un pranzetto da leccarsi i baffi! Per il 2021 è prevista l’uscita di due album con i The Trip, uno sarà di inediti, ma non posso dire molto di più, e l’altro una riedizione del primo “Caronte”, riletto in chiave moderna da tutti i musicisti dell’attuale formazione.

La tua essenza hard rock, intanto, torna a farsi sentire con i progetti Silver Horses e Secret Alliance, con cui pubblichi, rispettivamente, gli album “Tick” (2017) e “Solar Warden” (2020). Cosa accomuna e cosa distingue le due band e i due lavori?

A.R.: Diciamo che la mente dei due progetti è Gianluca Galli, che si dimena su gran parte degli arrangiamenti e composizioni dei brani. Il progetto Silver Horses è un progetto che nel primo album vedeva alla voce Tony Martin (ex Black Sabbath) il quale, per impegni e lontananza, ha dovuto cedere al sottoscritto l’incombenza delle parti vocali. Nella seconda uscita Tony è sempre presente in due brani dove ho il piacere di duettarci, in più è presente Stefan Berggren voce di tanti progetti hard rock (Bernie Marsden, Uriah Heep, ecc.). Secondo me è un’ottima uscita che meritava molto di più nell’ambiente musicale e, se ne avete voglia, andate a sentirvi qualche brano sul tubo.

L’album, invece, dei Secret Alliance è la voglia di Gianluca di mettere un cantante su di un suo progetto strumentale uscito anni fa in CD. I responsi positivi dell’“esperimento” ci hanno portato alla realizzazione di un altro album che vedrà l’uscita per maggio del 2021. La formazione sarà la solita e cioè Ricardo Confessori alla batteria (ex Angra), Tony Franklin al basso (Firm, Ex Whitesnake, ed alter mille collaborazioni), il Galli alle chitarre e Roby Di Peco alle tastiere, più il sottoscritto a tutte le parti vocali.

Ranfa band, Mothership, Gas Gas: diverse “sfumature” di cover band. A te la parola.

A.R.: Come premesso, ho un background musicale vario e non potrei mai legarmi ad un solo genere (…oltretutto in Italia non si vive più di musica da tempo, figuriamoci cantare in un solo contesto). Gestisco queste “sfumature” con l’amore che provo per la musica in generale. Infatti riesco a tenere i piedi in più situazioni perché omaggiare artisti che hanno da sempre avuto un importanza fondamentale nei mei ascolti è un piacere e penso sia anche il mio giusto tributo alle loro composizioni.

I Gas Gas mi danno la possibilità di divertirmi e arrangiare più situazioni, canto nella stessa serata brani di hard rock, funky e di musica italiana senza for cozzare il repertorio.

I Mothership sono un gruppo favoloso di cover band dei Led Zeppelin che omaggiano il quartetto con strumentazione dell’epoca, riproponendo le esibizioni in stile perfettamente immerso nel periodo che fu d‘oro per la nascita dell’hard rock.

Nella Ranfa band abbiamo tre progetti paralleli, un omaggio ai Deep Purple, uno ai Rainbow ed uno di brani inediti (vecchio album e nuovo che vorrei terminare prima possibile, spero a novembre 2021, con artisti veramente “belli”, uno su tutti Mr. Glenn Hughes).

Fai parte, dunque, di svariati progetti. Ma come si fa ad avere (e gestire) una vita artistica così intensa?

A.R.: Gestire? La gestione è semplice se si evita di avere tempo per le piccole cose e, soprattutto, per dormire. Spesso lavoro fino alle 17 del pomeriggio, poi mi metto in auto e vado direttamente nei posti (spesso a 200 km da casa), dove devo affrontare una serata… sound check, discussione sulla scaletta, serata, smontare il palco e tornare a casa giusto per farsi una doccia e rientrare a lavoro… e posso dire che, facendo anche novanta date all’anno, dal venerdì alla domenica il sonno è un sogno!

Dai Bullfrog agli Odyssea, passando per Tara Degl’Innocenti, Mastercastle e altro ancora. Negli anni hai “prestato” la tua voce in diversi album. Come ti trovi da “ospite”?

A.R.: È una bellissima sensazione… hai pochissime responsabilità, visto che il progetto non è tuo, ma allo stesso tempo puoi interagire con altri musicisti che spesso reputi ottimi ma con cui, per tanti motivi, non hai potuto collaborarci e, tornando alla mia mania, riesco anche a cantare su generi che mi piacciono ma che non sempre riesco ad integrare nel mio repertorio.

Il tuo “contatto” con il Prog Italiano dei ’70, va detto, non si esaurisce con i The Trip ma ti vede anche collaborare in ambito live con UT New Trolls, Giorgio “Fico” Piazza ed Enzo Vita. Come nascono questi rapporti e come si concretizzano?

A.R.: Per quanto riguarda gli UT New Trolls fui contattato da Belleno per una presunta sostituzione del loro cantante… tante prove, un solo live e una registrazione. Poi, però, purtroppo tutto si è concluso bruscamente per cambiamenti radicali di formazione.

Con Giorgio è stata una delle tante collaborazioni che ho avuto il piacere di fare da quando il mio nome gira nell’ambiente musicale. Piazza è un artista molto bravo e umile, cosa che, soprattutto nella musica italiana, non è scontata. Spero ci sarà modo di fare altre serate con lui perché mi sono divertito ed è stato un onore poter condividere il palco insieme!

Enzo è un’altra persona/artista squisito! Abbiamo tirato giù il repertorio per fare serate, ma stavolta è dipeso da miei impegni… Naturalmente, se lui vorrà, sarà un piacere collaborare nuovamente.

Da Ian Paice a Ken Hensley, da Kee Marcello a Don Airey, passando per i già citati UT New Trolls, Giorgio “Fico” Piazza, Enzo Vita e tanti altri ancora: la tua carriera è costellata di collaborazioni davvero invidiabili. Ma quanto ti hanno “aiutato” nel tuo percorso artistico e cosa hai “rubato” ad ognuno di loro? Chi ricordi con più affetto?

A.R.: Ogni volta che ho la possibilità di collaborare con queste persone ringrazio il cielo. Ne esco sempre arricchito in ogni mia partecipazione. Questi personaggi hanno sempre consigli e aneddoti da cui puoi solo imparare. A volte non dicono niente ma osservandoli capisci molte sottigliezze che spesso non hai recepito durante il tuo percorso musicale! Se dovessi raccontarvi parte dei loro discorsi ci vorrebbe un’altra pagina di rivista solo per quello!

Mi parli della tua collaborazione con Andrea Braido?

A.R.: Considero Andrea il più grande chitarrista che abbia mai conosciuto. Rientra in quel gruppo di musicisti completi, musicalmente e tecnicamente, oltre a saper suonare tantissimi strumenti in maniera divina. Ebbi modo di scambiare due parole con lui al momento della registrazione con i Four Funk, dove registrammo quasi tutto in presa diretta. Non so come ma gli piacque la mia prestazione e, parlando di musica, trovammo il nostro punto d’incontro sulla musica dei Deep Purple. Fissai una data in un locale e da lì è partita la mia collaborazione con lui per circa venticinque serate che avevano il titolo di “Braido plays Blackmore”. Siamo stati in tutta Italia e perfino in Austria! Potete criticarlo per le sue scelte musicali (io no) ma quando emula Ritchie è il numero uno!

Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il tuo punto di vista per chi fa musica?

A.R.: La rete ha dato tantissime possibilità e ha fatto conoscere tante situazioni interessanti, di contro le persone non ascoltano più un album per intero, spesso addirittura neanche una canzone completamente. Il web sta andando avanti per like e spessissimo vengono premiati artisti poco meritevoli, non di rado appoggiati da sponsor, che falsano il risultato finale del prodotto.

E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione? E, nel tuo caso specifico, quali ostacoli hai incontrato lungo il cammino?

A.R.: Prima le case discografiche e le etichette sponsorizzavano le uscite. Adesso prendono solo i prodotti finiti! Il mio CD, per esempio, è stato interamente prodotto dal sottoscritto e posso assicurarti che non è stato per niente facile… in quel periodo ero perfino disoccupato.

Qual è la tua opinione sulla scena Progressiva Italiana attuale?

A.R.: Viviamo in un momento musicale cupo ma pazzesco… ci sono mille gruppi validissimi, ma sconosciuti ai più. Non è una bella situazione e questo vale anche per altri generi!

“Addentrandoci” nella tua vita privata, ci sono altre attività artistiche che svolgi nella vita quotidiana?

A.R.: Mi diletto nel disegno, facendo ritratti su commissione e fumetti per passione!

Chi sono i “mostri sacri” della voce cui ti ispiri o che ti hanno dato “qualcosa di tangibile” lungo il tuo percorso artistico?

A.R.: Ho duemila punti di riferimento… a volte artisti sconosciuti riescono a darmi spunti eccezionali. Certo, i personaggi che mi hanno formato durante il mio percorso e sono sempre nei miei pensieri sono questi dieci: Freddie Mercury, Paul Rodgers, Mina, Steve Wonder, Glenn Hughes, Ronnie James Dio, Ian Gillan, Steve Tyler, Robert Plant e David Coverdale.

E parlando, invece, di gusti musicali, di background personale (in fatto di ascolti), ti va di confessare il tuo “podio” di preferenze personali?

A.R.: Le classifiche in ambito musicale sono sempre un po’ antipatiche ma, volendo farcele stare, il mio podio “ampio” è questo:

  1. Queen (svettano perché, pur facendo un repertorio rock, del quale sono innamorato, hanno realizzato nei loro album tanti brani dai generi più disperati (punk, Prog, jazz, blues, bossa, spagnoleggiante, ecc.)
  2. Beatles (hanno inventato quasi tutto, sperimentando e trovando sempre il motivetto giusto in quasi tutte le loro composizioni. Spesso i musicisti di oggi dimenticano che già trovare un motivo azzeccato è il 90% del brano… poi puoi impreziosirlo con tecnica, suoni e parole giuste)
  3. Deep Purple (li reputo i creatori dell’hard rock e si sono sempre rigenerati nonostante i vari cambi di formazione)
  4. Led Zeppelin (se i Deep sono i padri dell’hard rock i Led sono le madri… e, come dicono i bimbi, si vuole bene allo stesso modo ad entrambi i genitori)
  5. PFM (un gruppo che ha suonato il Prog in maniera magistrale e poi è passato al commerciale in maniera strepitosa senza mai calare di intensità, cosa che molti gruppi Prog non sono riusciti a fare, soprattutto italiani)
  6. Aerosmith (il sano rock’n’roll senza tanti fronzoli che tanti gruppi dovrebbero fare senza menarsela tanto)
  7. Glenn Hughes (come solista ha fatto album straordinari di funky che dovrebbero essere messi sotto una campana di vetro e studiati)
  8. Elton John (le sue melodie mi fanno ancora sognare)
  9. AC/DC (altro gruppo di rock’n’roll e blues che non ti delude mai, per qualcuno scontati, per me una garanzia)
  10. Free (reputo questo gruppo uno dei capisaldi del rock)

Restando ancora un po’ con i fari puntati su di te, c’è un libro, uno scrittore o un’artista (in qualsiasi campo) che ami e di cui consiglieresti di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?

A.R.: Leggo tanti libri, anche lì dei più svariati generi… anche se, purtroppo, solo piccole edizioni (i tomi di duemila pagine non ho tempo di leggerli). Sono legatissimo a vecchi libri di Jules Verne… la sua fantasia, anche dopo anni, riesce ancora a rapirmi.

Una curiosità: quando e perché il tuo cognome (Ranfagni) “perde un pezzo”?

A.R.: Il taglio è stato effettuato fin da quando ero a scuola da ragazzino, dai professori… Poi si è mantenuta la dizione perché gli artisti stranieri non riuscivano a dirlo correttamente… Infine, è anche un richiamo al tentacolo del polpo in dialetto campano… e la cosa non mi dispiace affatto.

Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che stiamo vivendo, come immagini il futuro della musica nel nostro paese?

A.R.: Il problema non è solo del nostro paese, qui stiamo tutti aspettando un via libera… Ci sono esercizi aperti ed altri no… non sono un negazionista, né lo ero prima di contagiarmi, però se puoi andare al supermercato e stare in coda, potresti anche stare in un locale a distanza, con tanto di protezioni, per vedere una rappresentazione teatrale e/o musicale.

Durante la quarantena sei stato comunque molto attivo realizzando “video condivisi” con altri musicisti. Com’è cantare senza “contatto fisico”?

A.R.: È un surrogato! Contrariamente a molti miei colleghi, non disdegno questa forma musicale, anche se manca delle basi della musica e cioè partecipazione, condivisione e scambi di idee… o meglio, ci sono ma sono impercettibili… E comunque (per me) fare i video è un passatempo che m’impegna, sì, ma che non prendo mai seriamente e, sicuramente, mi allena al canto in questo periodo di magra.

Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che ti va di condividere su questa tua prima e densa parte di carriera artistica?

A.R.: …detta così spero di avere aneddoti sulla seconda parte, in un futuro prossimo!

E per chiudere: c’è qualche altra novità sul prossimo futuro che ti è possibile anticipare?

A.R.: Spero di uscire il prima possibile dalla mia positività da Covid e tornare a riabbracciare i miei amici e soprattutto i miei musicisti! Devo terminare un sacco di album fra cui il mio e scalpito già da adesso!

Grazie mille Andrea!    

A.R.: Grazie a te Donato è stato un piacere!

(Febbraio, 2021 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 2. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)

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