Duello Madre – Duello Madre

DUELLO MADRE  

Duello Madre (1973)

Produttori Associati

 

Quando quattro musicisti con la “M” maiuscola s’incontrano e decidono di lasciare libero spazio alla propria creatività, il risultato non può che essere di qualità elevata. È il caso dei Duello Madre.

I protagonisti di questo ambizioso progetto sono Marco Zoccheddu (chitarra e voce, già negli Osage Tribe e Nuova Idea), Bob Callero (basso, anch’egli già membro degli Osage Tribe), Franco “Dedè” Lo Previte (batteria, percussioni, già nei Circus 2000) e il jazzista Pippo Trentin (sax, flauto). Nell’articolo di Dario Salvatori pubblicato nel 1974 su Ciao 2001, la band descrive con queste parole la genesi e l’idea alla base dei Duello Madre“Quando abbiamo formato questo gruppo, ci siamo proposti di lasciare indietro tutte le cose che ci avevano inibito, di smantellare tutte le strutture musicali ed umane, che avevamo accumulato, inconsciamente e no, nelle precedenti esperienze con altri gruppi. Per un anno ci siamo isolati, parlando di noi, cercando di capirci, suonando e studiando con entusiasmo, con sconforto, esaltandoci, provando cose mai fatte prima, attraversando momenti di gioia, scoprendo noi stessi. Finalmente abbiamo creduto di arrivare a qualcosa di nostro, di veramente nostro e allora abbiamo cominciato a suonare quello che vedevamo dentro di noi, creando giochi di note che sentivamo, godendo di poter suonare liberamente. Poi c’è stato l’incontro, determinante per noi, con il maestro Giampiero Reverberi, il nostro produttore, che ci ha aiutato, dandoci la forza necessaria per continuare. Adesso eccoci liberi come la musica che cerchiamo di interpretare e di comunicare”.

È proprio grazia all’incontro con Reverberi che la band arriva in sala di registrazione e concretizza le proprie idee. Nasce così Duello Madre. Siamo nel 1973. L’album è un concentrato ricco e vivace di soluzioni jazz e improvvisazioni, con riff di basso stupefacenti e senza fine, frequenti cambi di ritmo, fiati che non danno un attimo di tregua, sortite nel suond di Canterbury (Soft Machine su tutti) e alcuni blitz più hard debitori degli Osage Tribe.

I Duello Madre con questo lavoro vanno ad irrobustire qualitativamente la “squadra” dei gruppi italiani del genere come Perigeo, Dedalus (dell’omonimo album), Blue Morning e Spirale (solo per citarne alcuni).

Purtroppo, come accaduto di frequente per i gruppi nostrani dell’epoca, il disco non ottiene la visibilità e il successo che merita e il progetto poco dopo vede la propria fine.

Una nota sulla copertina: accanto alla sagoma umana troviamo scritto Z.O.M.G. (o Z.O.N.G., la terza lettera risulta un po’ ambigua), N° 92 e 4/X/1973. Sia l’acronimo sia il N° 92 sono di difficile interpretazione, mentre per la data si può pensare o alla data di pubblicazione dell’album o a quella di realizzazione dell’opera grafica.

L’album si apre con Aquile Blu. I primi secondi del brano, che si muovono tra lo space e il tenebroso, sono fuorvianti. Il brano, infatti, prosegue con tutt’altra fisionomia. Prima un paio di frammenti cantati in cui la PFM confluisce nei Perigeo, poi largo spazio al jazz e all’improvvisazione. Il basso di Callero va in loop, la batteria cresce col passare dei secondi, il sax di Trentin si ritaglia il suo spazio da protagonista con virtuosismi alla Elton Dean, mentre la chitarra resta “sul fondo”, quasi come un ronzio, prima di emergere moderatamente nel finale. È l’unico brano cantato dell’album.

Momento sembra continuare il brano precedente, con l’intreccio jazzato tra i quattro protagonisti (in questo caso basso, con Callero indemoniato, e batteria risultano molto più fantasiosi). Ai due minuti svolta secca con la scena occupata dalla sola, leggiadra, chitarra acustica di Zoccheddu. Il suo posto è preso poco dopo dal flauto di Trentin che continua sulla stessa lunghezza d’onda, intrecciandosi poi anche con la stessa chitarra rientrante. Si torna al jazz iniziale (con incluso notevole solo di chitarra) dopo i quattro minuti.

La batteria “scoppiettante” dei primi secondi fa sembrare l’avvio di Otto simile a quello di Momento, poi il brano si sviluppa su una linea di basso e batteria percussivi sempre costante e interventi estemporanei di sax e chitarra.

Suoni che schizzano verso ogni direzione caratterizzano l’avvio esplosivo di Madre. Poco dopo, però, è l’ospite d’eccezione Reverberi, con le sue tastiere (ottimamente coadiuvato dal sax di Trentin), a riportare calma e dolcezza al brano. Bastano questi due minuti per darci una prima idea della fisionomia variegata del brano. Proseguendo con l’ascolto notiamo che l’atmosfera si fa sempre più “tenebrosa”, con un basso “marziale” che contrasta con i delicati suoni di Reverberi. A tutto pone rimedio il sax che chiama a raccolta gli altri colleghi e ritorna la “luce”. Grande il lavoro della sezione ritmica in questo segmento. E dopo un solo di sax da far impallidire anche David Jackson, tocca a Zoccheddu impadronirsi della scena con eccellenti virtuosismi paragonabili a quelli già apprezzati con gli Osage Tribe. La policromia di questo brano ne fa uno dei punti più alti dell’intero album.

Il basso di Callero, pulsante ed ipnotico, dà il via a Duello. Già in queste prime battute si è avviluppati da un’atmosfera oscura, consolidata a seguire dall’ingresso delle “arzigogolate” batteria e sax. Degno di nota anche il duetto chitarra-sax che si ha intorno ai tre minuti. E dopo una fase di “rilassamento” (Callero continua comunque a “darci dentro”) la band riesplode negli ultimi minuti con un nuovo, ricco, assolo di Zoccheddu (sui livelli del precedente brano) e le ultime evoluzioni dei suoi compagni di viaggio.

Di certo uno dei punti più alti del jazz-prog italico. Per l’epoca, a detta di Dario Salvatori, una valida proposta.

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