Freak Motel – Escape Room

FREAK MOTEL

Escape Room (2018)

Autoproduzione

 

Sentire ancora sulla propria pelle, in questo millennio ipertecnologico, l’isolamento dovuto all’insularità, la propria terra scissa dal resto del mondo, una Sardegna paragonata ad un Escape Room per la difficoltà che spesso i musicisti incontrano nel far conoscere ed apprezzare a pieno la propria musica anche al di fuori dai confini dell’isola, avvilisce ma, allo stesso tempo, serve da stimolo per superare quella barriera fatta d’acqua e, forse troppe volte, indifferenza. Ed è in questa volontà di evasione “territoriale”, ma anche evasione da strutture musicali e mentali precostituite, che i Freak Motel trovano la propria forza (e la tecnologia, in questo caso, viene in soccorso, aiutando il quartetto a squarciare quel velo che “nasconde” l’isola e a raggiungere la terra ferma).

Così, proprio sul finire del 2018, dalla terra dei nuraghi, è spuntato questo nuovo fiore che fa del jazz rock alla Nucleus, Miles Davis e Colosseum, del post-rock di Mogwai o Explosions In The Sky, dell’improvvisazione e della sperimentazione la propria miscela esplosiva: Freak Motel.

Escape Room è il primo lavoro in studio di Matteo Sedda (tromba), Andrea Sanna (Fender Rhodes, synth), Andrea Parodo (basso) e Nicola Vacca (batteria), un album che, attraverso i suoi cinque capitoli, condensa stati umorali contrapposti (serenità e timore in primis) illustrando, e perlustrando, quella sorta di “gabbia claustrofobica” che non è solo territoriale ma è anche, e forse soprattutto, umana (e l’artwork di Inkline che accompagna l’opera ne rende pienamente il concetto).

L’album si apre con Escape Room e il suo crescendo di tensione e mistero, un’attesa cinematografica di un qualcosa che, siamo certi, dovrà prima o poi accadere. E accade: la tromba solenne di Sedda, dal tocco western, si prende la scena mentre, in sottofondo, i colpi irregolari di Vacca e Parodo danno vita ad un discorso diverso, ammantati dalla delicatezza dei tasti di Sanna. E poi lampi eighties, fraseggi ipnotici, ottone e pelli che tornano prepotentemente in scena, sentori jazz, capatine in territori Weather Report e Kneebody: tanta carne al fuoco per il primo interessante episodio di Escape Room.

Redrum. La tromba drammatica di Sedda avanza lenta, sofferente, i suoni appaiono trascinati, dolorosi. Poi anche Vacca aumenta il carico emotivo con il suo incedere pachidermico, prima del cambio netto, o quasi, imposto dallo stesso, da un basso pirotecnico, dal synth “alieno” e dalle tastiere acide. E con un piglio diverso subentrerà nuovamente anche la tromba di Sedda alternandosi alle asperità “anomale” di Sanna. E un passo indietro la coppia ritmica viaggia.

Avvolgente e melliflua si palesa Arietis, un po’ alla Jaga Jazzist di “A Livingroom Hush”. A seguire il solito instancabile duo Vacca/Parodo si piazza nelle retrovie, lasciando ampi margini alle evoluzioni free jazz di Sedda e Sanna, abili nel ritagliarsi propri spazi per emergere e per poi fondersi l’un l’altro. Da evidenziare lungo il tragitto le impennate acide, con guizzi alla Accordo dei Contrari, guidate prepotentemente dalla triade batteria/basso/Rhodes, e le “carezze” di Sedda.

Più frizzante si apre Come Back to That con una tromba dal piglio ironico seguìto dalle stoccate aspre di Sanna e dal solito gran lavoro delle ritmiche. Più avanti l’ottone s’addolcisce mentre l’antitetico collega ai tasti offre i suoi suoni ruvidi, prima che il tutto assuma una volontà riflessiva ed equilibrata per poi riprendere quota oltre. In coda compare anche una voce calda, unicum per Escape Room.

Si chiude con la suite Open Sea che prende il via con Leaving home e il suo contrasto “dolce/salato”, in cui il primo “sapore” è offerto dalle pennellate tenui di tromba e Rhodes mentre, il secondo, è impiattato con soluzioni asimmetriche prodotte della coppia basso/batteria. Tutto sfocia nella zappiana Storm, un turbinio di colori e follia inestricabile. La quiete si appropria della scena con Lost in the waves, movimento in cui il malinconico basso di Parodo prende la parola traghettandoci verso il finale (Come back home) in perfetto stile Freak Motel.

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