Pierrot Lunaire – Gudrun

PIERROT LUNAIRE

Gudrun (1977)

It

 

Gudrun è il secondo album in studio per i Pierrot Lunaire. La band, dopo la pubblicazione del primo album omonimo, avvenuto nel 1974, vede l’uscita dalla formazione di Vincenzo Caporaletti (siamo nel 1976).

Con il nuovo ingresso della soprano inglese Jacqueline Darby, i due polistrumentisti sopravvissuti, Arturo Stalteri (tra i numerosi strumenti suonati vi sono piano, organo, spinetta, clavicembalo, synth, chitarra acustica, violino) e Gaio Chiocchio (tra gli altri chitarra elettrica e acustica, mandolino, synth, sitar) registrano nello stesso 1976 i brani che vedranno la luce l’anno successivo. Ospite del disco è il batterista Massimo Buzzi, presente nei brani Giovane madreMorella e Mein Armer Italiener.

Il titolo dell’album proviene dalla mitologia norrena (dei popoli scandinavi). Il nome Gudrun è l’altro modo con cui viene chiamata Kriemhild, uno dei principali personaggi femminili de La canzone dei Nibelunghi e dell’Edda poetica. Compare come Gutrune nell’opera di Richard Wagner L’anello del Nibelungo. Il significato del nome è “storia segreta degli dei”, oppure “segreto degli dei”, e deriva dal prenome norreno Guðrún, composto da guð (dio) e rún (storia segreta o segreto).

Il risultato è un lavoro di ottima qualità, dalle mille facce, aventi di base una volontà sperimentale, d’avanguardia, saggiamente mescolata con richiami classici (su tutti l’utilizzo della voce della Darby e la strumentazione “non canonica”) e toni melodici. Un mix tra il  Battiato sperimentale e le opere dei Picchio dal Pozzo, Opus Avantra e La 1919 Spontaneo.

Ciò che si riesce a scorgere dal suo ascolto è una sorta di filo conduttore “bellico”, che va dal poema epico de La Canzone dei Nibelunghi (richiamato dal titolo del primo brano e del disco), a Plaisir d’amour, che rimanda ad uno dei periodi meno pacifici della Francia, da Sonde in profondità, con il richiamo ai sottomarini da guerra, a Mein Armer Italiener e i suoi intermezzi militari.

L’album doveva essere pubblicato nel 1976 sull’etichetta Vista, ma venne annullato e pubblicato un anno dopo con la It.

Partenza alla grande con le varie sfaccettature di Gudrun. Suoni eterei e atmosfera celestiale: questo è solo l’avvio della lunga title track. Tale situazione è rafforzata, più avanti, dai vocalizzi della Darby, dal flauto e da sonagli. Poi la spinetta ci fa fare un salto indietro nel tempo di diversi secoli. Cambio netto ai quattro minuti. Un synth in sottofondo fa da supporto alla voce di un bambino che dice: Poesia? / Si, poesia / Per esempio? / Manon / Il colore / I colori / Ma questo / Non sarà mai / Allora / Suono / I Suoni / Ma questo / Non vuol essere / Forse / Gudrun!. Poi ampio spazio all’elettronica e al canto di impostazione lirico della stessa Darby (ritornerà negli ultimi minuti). A seguire altre varie sperimentazioni, tra cui una “lotta”, impari, tra piano e synth. Finale con orologi “scordati”. Il tutto ricorda molto i brani sperimentali di Battiato.

Dietro il silenzio. Brano molto romantico grazie ai suoni leggeri restituiti dal piano di Stalteri (a cui è affidata l’intera composizione, eccezion fatta per alcuni rumori finali).

Plaisir d’amour è un brano composito dalla chiara matrice sperimentale. Si parte con un vocio da cui emerge la voce di una donna che dice: beh, per me la prima volta è stato bellissimo. Poi delle voci in loop che ripetono alcune parole (acqua, acquetta, acquerella, acquerugiola, acquolina, acquona), una sorta di dettato ortografico ipnotico, con un gemito femminile che accompagna il tutto (probabilmente sono le parole a farle provare piacere). A seguire un suono di synth, quasi un ronzio, su cui si staglia la voce soprano della Darby (molto simile a quella di Jutta Nienhaus degli Analogy) che intona “Plaisir d’amour”, celebre romanza composta attorno al 1785 da Martini il Tedesco su parole di Jean-Pierre Claris de Florian. Si dice che la canzone fosse una delle preferite della regina Maria Antonietta, regina consorte di Francia e di Navarra, moglie di Luigi XVI. Nella seconda metà del brano troviamo dapprima le percussioni, poi un piano che, per un tratto, ripropone la melodia cantata poco prima. Nel finale torna anche la voce.

Un sovrapporsi di voci femminili (sia canto tout court, sia vocalizzi) realizzati dalla sola Darby e lampi elettronici: questa è Gallia.

Giovane madre. Finalmente appare la musica così come un comune mortale la intende, ma è comunque musica dei Pierrot Lunaire, quindi non banale. Gran bel gioco di ritmiche e synth, con inserti di ciò che sembrano fiati e voci fuorvianti. Cambio di rotta repentino dopo i due minuti. Si va a corte. Ma è solo un lampo. Si torna presto al segmento iniziale.

Un pezzo di storia radiofonica apre Sonde in profondità. Un programma di musica leggera interrotto dalla comunicazione di un bollettino di guerra. Questo è accompagnato ad un sottofondo morbido. Poi il brano si anima mantenendo, però, sempre quell’aura di leggerezza. Nel finale la sonda emerge dalle acque.

L’avvio vivace e solitario di Stalteri con il suo piano (ricorda molto da vicino 3rd movement di Roberto Cacciapaglia, dall’album Sonanze) inganna sull’anima di Morella perché a seguire il brano diventa decisamente malinconico, con piano, batteria e voce (davvero molto intenso, quasi commovente, il cantato in italiano della Darby). Ai quattro minuti ciò che non t’aspetti. L’atmosfera malinconica viene squarciata dalle risa beffarde della stessa cantante.

Mein Armer Italiener. Un gruppetto di militari brilli intona un coretto alquanto fastidioso. Subentrano i musicisti a risollevare il tutto con un riff di chitarra davvero duro, inatteso, eseguito da Chiocchio, ma ben presto torna in scena l’allegra compagnia. Più avanti la Darby ci delizia di nuovo con la sua voce soave. Nell’ultimo minuto siamo nel bel mezzo di un’esercitazione militare.

Nelle ristampe successive del disco compaiono due brani aggiuntivi: si tratta di delle versioni alternative di Gudrun e Giovane madre.

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