Quarto Vuoto – Quarto Vuoto

QUARTO VUOTO

Quarto Vuoto (2014)

Autoproduzione

 

Dalla provincia di Treviso ecco giungere Quarto Vuoto, primo EP dell’omonima band. Il giovane quintetto prende il proprio nome dal Rub’ al-Khali, il secondo più grande deserto del pianeta, situato nel sud della Penisola arabica, che significa appunto “Il quarto vuoto” (“quarto” da intendere come “quarta parte”).

“È tradizione del luogo ritenere che il deserto permetta a chi lo attraversa di trovarsi solo di fronte ai propri limiti. È solamente riconoscendosi in essi che l’individuo può rivalutare se stesso ed estendere la propria consapevolezza alla realtà da cui ha sentito la necessità di estraniarsi.
Ispirandosi al nome Quarto Vuoto, il gruppo cerca quindi con la propria musica e i propri testi di creare uno spazio in cui l’ascoltatore sia libero di intraprendere il proprio viaggio”
.

Un viaggio “individuale” che si sviluppa attraverso la voce e il violino di Federico Lorenzon, le ritmiche di Edoardo Ceron (basso) e Nicola D’Amico (batteria), le tastiere e il pianoforte di Mattia Scomparin e la chitarra di Luca Volonnino. Un percorso che si snoda tra momenti melodici, in cui è la voce la protagonista, e frangenti in cui sono le doti dei singoli ad emergere (da evidenziare, tra gli altri, le prove di violino e chitarra), e che sfocia nel lungo brano finale (quattordici minuti) il quale, non a caso, s’intitola Rub’ al-Khali.

Anche la stimolante e poetica opera grafica presente in copertina, realizzata da Silvia Volonnino, è un tassello utile ad arricchire tale cammino.

Dimmi solo se è così. L’album si apre con un brano atmosferico, con leggeri rimandi ai Malibran, in cui la parte strumentale è soprattutto funzionale al far emergere la calda voce di Lorenzon (vedi, ad esempio, il piano di Scomparin che “avviluppa” il canto). La struttura non è eccessivamente complessa e i suoi frammenti melodici, piuttosto estesi e corposi, non sono distanti, concettualmente, dalle soluzioni che spesso adoperano gli Spock’s Beard. Da segnalare, infine, il lavoro di Volonnino alla chitarra, molto utile nel “caricare” l’ambiente lungo tutta la durata del brano.

Netto cambio di registro con la bipartita Zattera della Medusa. La prima parte strumentale, Il giorno della notte, a tratti fosca a tratti struggente, ha come protagonista il violino di Lorenzon che ben s’intreccia con l’arpeggio delicato di Volonnino e i successivi colpi secchi di D’Amico, una sensazione che sembra provenire da “Discesa agl’inferi d’un giovane amante” de Il Bacio della Medusa. Il frammento aggressivo che segue, una virata quasi metal, ci avvicina alla seconda parte del brano, introdotta dal fragore di un tuono. Il grido di una vita assume i lineamenti da “forma canzone classica”, con l’alternarsi di strofe dall’andamento folkeggiante, guidate da chitarra e canto, e refrains voluminosi, corredate da un lungo assolo nell’ultima parte. Il titolo del brano riprende quello del dipinto omonimo di Théodore Géricault, legato all’episodio del naufragio della nave francese Méduse, accaduto nel 1816, dove parte dell’equipaggio dovette rifugiarsi su una zattera di fortuna vivendo una tremenda esperienza che portò alla morte di molti di loro e ad episodi di cannibalismo, prima della salvezza dei pochi sopravvissuti. Una vicenda che si può scorgere nelle atmosfere (prima parte) e nelle parole (seconda parte) del brano: Ogni cosa ha un inizio, ogni cosa ha una fine / scende il sipario sulla mia storia […] / Finì con un flutto, in una vela che / esalando l’ultima vita ci portò via! […].

L’articolata Rub’ al-Khali chiude l’EP d’esordio dei Quarto Vuoto. Dopo un avvio alquanto “spedito”, con le ritmiche che trascinano chitarra e tastiere, il brano ha una breve svolta repentina con il guizzo zigzagante di violino e chitarra, prima che lo stesso strumento ad arco di Lorenzon prenda il “comando delle operazioni” creando, con i colleghi, un clima alla Aranis (anche se lo stacco di violino al minuto e trentatré secondi sembra uscire da “Legione straniera” di Giusto Pio), smontato subito dopo dall’intervento hard di Volonnino: è il preludio al canto. I lunghi inserti vocali sono contraddistinti da un clima sonoro più “rilassato”, inframmezzati dall’assolo ruvido dello stesso Volonnino, ben assistito da D’Amico, Ceron e Scomparin. Più avanti tornano ad essere protagonisti l’ispirato violino di Lorenzon e la robusta chitarra di Volonnino che spiccano sui tappeti eterei creati dalle tastiere. E ancora, sul finire, c’è spazio anche per momenti più dolci e morbidi creati da violino/piano/chitarra, prima di una chiusura che racchiude in poco più di due minuti i precedenti dodici.

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