Alice’s Mirror – Through the Mirror

ALICE’S MIRROR

Through the Mirror (2018)

Hydra Music

 

E la Puglia batte un (nuovo) colpo. Da Ruvo di Puglia (BA) arrivano gli Alice’s Mirror con l’esordio discografico Through the Mirror.

Gli Alice’s Mirror sono creazione e distruzione, creatività e noia, gioia e dolore. Così la band pugliese descrive il progetto, poche parole condivisibili pienamente, con un oggettivo dissenso per quanto riguarda esclusivamente la “noia”.

“Policromo” è, invece, il termine più azzeccato per etichettare il lavoro di Fulvio Bucci (voce, basso), Walter Antonio Lanotte (chitarre, chitarra lap steel, bouzouki), Eduardo Bucci (tastiere, piano, sintetizzatori, voce) e Michele Di Modugno (batteria, batteria elettronica, percussioni), un’opera ricca di ingegnose strutture, atmosfere visionarie, “citazioni progressive”, (pochi) testi introspettivi, tanto dinamismo e un pizzico di sfrontatezza che non guasta affatto.

L’avvio rarefatto di Fake Communication #1 apre il nostro viaggio “attraverso lo specchio” (come “consigliatoci” anche dalla cover realizzata da Francesco Pio Marcone): una lenta ascesa cosmica e floydiana che sublima nel solo drammatico di Lanotte. E sul finire lo sfogo di Nanni Moretti scuote l’atmosfera.

Di tutt’altra pasta Fake Communication. Le prime nevrasteniche note à la Corte dei Miracoli di “E verrà l’uomo” valgono da sole il prezzo del biglietto. Poi tastiere, chitarra e ritmiche mettono in piedi un ottimo spettacolo dalle tinte fosche che viene adoperato dalla voce aggressiva di Fulvio Bucci (un po’ alla Runal degli ifsounds) per palesarsi con tutta la sua forza, prima di “cadere” nella quiete. Successivamente il brano veleggia morbido guidato dal nuovo preziosismo di Lanotte, finché non si giunge all’esplosione che riprende, ampliandola, l’intro, proseguendo poi nuovamente “aggrappato” alle corde vocali di Flavio. E in coda appaiono anche lo Stregatto e Alice. […] Start to speak with your own voice / From your mouth came out something I think it’s noise / You pretend to be happy in a cage / Where it’s all wired and no one has got a word to say / Fake Communication.

Giocosa e beffarda prende corpo Alice’s Dance, prima di deflagrare tra le dita di Eduardo Bucci e Lanotte. E, come in una sorta di patchwork sonoro, ecco accostarsi un pezzetto jazzato e poi un altro rockeggiante. E ancora cadute nelle tenebre, assoli metal, follie alla feat.Esserelà: tanta carne al fuoco per gli Alice’s Mirror.

Ronin si apre malinconica e poetica, con i morbidi ricami di chitarra acustica e piano e il canto magnetico e doloroso di Flavio a seguire. Con le successive aperture dei tappeti eterei tutto si fa più romantico. Il brano prende tutt’altra piega quando sulla scena cala un manto scuro, una forma di agitazione che s’impossessa di tutti gli effettivi dando l’abbrivo ad un turbinio di suoni. E un tocco orientalizzante, reso poi in chiave hard, dona un tocco caratteristico ad un brano che è lontano dal concludersi. Si viaggia ancora tra le nere note di Eduardo Bucci, attraverso atmosfere alla The Trip, con i responsabili ritmici sempre sul pezzo, e frammenti solari affidati ai soliloqui di chitarra. E il “chiaroscuro” non abbandonerà il brano sino in chiusura. Davvero tanta roba.

Come danza saltellante e classicheggiante si rivela Bachtown, con i suoi passi rapidi e densi. A seguire si vola tra assoli di chitarra, fughe d’organo e di tastiere, ritmi ossessivi e gobliniani, soluzioni collettive magmatiche e quell’essenza baroccheggiante che fa pensare agli Ekseption. Tutto si fa poi sognante, un clima incantato (nonostante i suoni non siano dei più delicati) che si “raccartoccia”, infine, progressivamente.

E con una fragranza da Premiata Forneria Marconi, con il fitto ricamo alla Mussida di Lanotte in prima fila, prende il via Merigold. Vivace e fresca si propaga costantemente l’essenza sonora dell’episodio, lasciando captare vibrazioni che sanno di Genesis ed Eveline’s Dust. Un incedere fiero e spensierato che miscela intelligentemente le sonorità dei ’70 con idee attuali.

Alienazione e mistero nell’elettronica (e non solo) “sbilenca” che ci accoglie in Jump The Step. Tutto poi si solidifica nelle spumeggianti e granitiche andature del quartetto, multiformi e avvolgenti galoppate che, strette alla sostanza “bruta” delle ritmiche di Fulvio Bucci e Di Modugno, trovano compimento ed esaltazione tra le corde di Lanotte e le dita di Eduardo Bucci. In mezzo, da evidenziare, anche un frammento tenebroso ed enigmatico che fa accrescere ancor più la qualità e la complessità del brano.

Stratificata e quieta appare la conclusiva Arabian Carpet. Poi la coppia Di Modugno/Flavio Bucci stende il tappeto su cui le corde di Lanotte iniziano a danzare sensualmente. E, a passo sostenuto, si avanza tra atmosfere esotiche e bordate imponenti. Una festa di colori, suoni e umori che corre senza sosta per minuti sino al “calo di tensione” guidato dal tocco (inizialmente) knopfleriano di Lanotte. Sul finire si riprende a correre, a capofitto verso la meta.

A te, lettore, ascoltatore o semplice curioso, l’arduo compito di guardare e trovare una chiave per entrare nel Paese delle Meraviglie.

A te, l’arduo compito di uscirne.

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