Il rilegatore – Tegumento n. 2

Il dolore al basso ventre aveva smesso di irradiarsi con la stessa velocità di un sole nebulosamente coperto; scappando, gli era bastato sentire tra le dita la copertina in pelle del libro sottratto ad Elena, per distogliere l’attenzione cosciente dal male causatogli dal collo del suo piede e cominciare a pensare, solo e soltanto, di volerlo leggere.
Alla fermata dell’autobus destò la curiosità degli altri passeggeri allorché, con le porte spalancate, colto da un sospetto vitale, indugiò con un piede sul predellino, immobile, tanto da innescare l’ira del conducente che dallo specchietto retrovisore aveva preso a considerarlo con la stessa nocività di un’appendice suppurata attaccata all’intestino. Quando finalmente si decise ad assecondare le voci che lo esortavano a prendere una decisione, sedendosi, gli iniziali timori avevano già preso residenza nei suoi progetti, tanto da convincerlo a trovare, e alla svelta, un nuovo alloggio più sicuro. Erano stati giorni troppo movimentati quelli seguiti alla festa di compleanno: il libro, la casa a soqquadro, il rischio di essere ammazzato da quella ‘pazza’ di Elena… ma quanto poteva ritenersi immune dalla stessa follia che lo aveva reso dipendente – e disposto a tutto pur di ottenerle, alla stregua di un drogato -, di quelle opere di Sigismondo Geena, il cui suo nuovo esemplare dal titolo, ‘Mille Occhi Liberi Indicano Bene Dove Emergono Nuove Occasioni’, aveva scoperto altro non fosse che l’acrostico di uno degli elementi chimici elencato sulla tavola periodica? Avrebbe dovuto buttarlo dal finestrino in corsa e sì, dimenticare, come poi fece, ma di scendere alla fermata opportuna perché troppo preso dalla lettura del libro.

Il domestico maltese era sempre pronto; impettito, con la mano stretta alla maniglia della portiera posteriore della vecchia berlina color blu notte, attendeva la marchesa Margherita Rovere dei Lanti.
«Tieni Dominique, esibiscimelo quando lo avrai disinfettato», disse porgendogli il libro comprato sulla bancarella. «Ora conducimi a casa, questo tè organizzato per raccogliere fondi contro non so cosa, è servito solo per il mio mal di testa…».
«Immantinente, signora marchesa».
«Dominique, in mia assenza, hai fatto quello che ti compete?», chiese sfilandosi i guantini in raso leggermente impolverati.
«Sì, marchesa, immancabilmente; l’oroscopo personalizzato inviatovi da madame Patrizia è stato ricopiato sulla pergamena e chiuso con il nastro rosso, come ordinato».
«Bravo, Dominique. Sul tappetino troverai i guantini insudiciati… bruciali! E ora decelera, dammi il tempo di immaginare quello che il destino ha riservato per il mio domani…».

«Buongiorno signorina Domosea. Possiamo farle qualche domanda?».
«S-sì, credo di sì».
Erano trascorse meno di ventiquattrore dal colpo alla testa e il successivo, fortuito, ritrovamento in quel locale semivuoto di San Lorenzo; Elena si ritrovava in quella asettica, o quasi, stanza d’ospedale, avvolta da una vestaglia di cotone celeste in compagnia di due carabinieri.
«Cosa le è successo? Ricorda come sono andate le cose?», chiese gentile quello più alto dei due, con un viso affusolato e i baffetti alla Clark Gable.
«N-non ricordo molto» abbozzò con un tono sofferente, «So solo che ero per strada, qualcuno mi ha colpito alle spalle e… adesso sono qui».
«Perché era in quella zona di Roma?».
«Perché vivo lì».
«In quel locale abbiamo rinvenuto anche la sua borsa. Era aperta, ma al suo interno vi erano sia il portafogli sia il cellulare. Quindi presumiamo non sia stata vittima di una rapina, a meno che… non avesse con sé qualcosa di particolare valore, che non è stato ritrovato… anche perché i medici hanno escluso ogni coinvolgimento fisico che andasse oltre… beh, ci siamo capiti…».
Elena non rispose subito. Alzò un po’ il capo e si fermò ad osservare gli occhi verde mare del suo interlocutore, riflessiva. Cercava in quel piccolo anello colorato la sua risposta.
«Credo, ma sto sforzandomi di ricordare, avessi con me qualcosa».
«Si prenda il suo tempo per richiamare alla memoria il contenuto della borsa».
Allora Elena volse ancora un po’ il capo, verso il comodino e, seminascosto tra un bicchiere in plastica, una bottiglietta d’acqua semivuota, due scatole di farmaci e una di cioccolatini, incrociò la copertina di un libro di preghiere, compagno delle lunghe giornate d’ansia trascorse da altri malati al suo posto.
«Un libro. Sì, un libro».
L’agente dal baffo hollywoodiano si voltò verso il collega quasi a dire con lo sguardo “Non ci chiederà mica di metterci a cercare un libro da quattro euro?”. Poi chiese: «Che tipo di libro? Aveva un valore?».
«Sì, elevato».
«Economico o affettivo?», domandò ancora sperando di non andare oltre con futili particolari.
«Economico. Ora lo ricordo bene. Era un volume antico ed unico».
«E come mai lei era in possesso di quel libro?».
«Un regalo».
«Ricorda dei dettagli? Il titolo, per esempio?».
«Era rilegato con una pelle strana, non classica, ed aveva un titolo lungo, qualcosa tipo “Mille Occhi Liberi eccetera”», rispose mostrando una certa lucidità acquisita d’improvviso che l’interlocutore non si fece sfuggire.
«E sa se qualcun altro è a conoscenza del libro, qualcuno così interessato sino a spingersi all’aggressione?».
«Onestamente no».
«Va bene. Ricorda altri beni che potrebbero mancare all’appello?».
«No, non mi sembra».
L’interrogatorio proseguì ancora pochi minuti, poi la stanchezza della ragazza prese il sopravvento.
Congedatisi, i due agenti guadagnarono l’uscita. Elena, immobile, li seguì con uno strano brillio negli occhi.

Il passo felpato non sarebbe valso a nulla se fosse stata già sveglia. In fondo sarebbe stato impossibile passare inosservati davanti al grande arco a tutto sesto della cucina, senza prima farsi notare con la biancheria sporca in mano e con l’intenzione eloquente di voler guadagnare la veranda dove era installata la lavabiancheria.
«Tommaso, l’hai fatto ancora?!», gridò mamma Alberta, con la bocca impastata da un croissant.
«M-mamma… scusa…», rispose più che altro con le guance color magenta.
«Tommaso, non hai più due anni… non credi sia il caso di parlarne con qualcuno o almeno pensare di farti aiutare?», chiese ultimando il caffè. «Non chiedo di essere io la tua confidente – e del resto non si è mai sentito che uno a 25 anni elegga la madre a referente per capire come mai fa ancora la pipì a letto – ma posso darti il numero di una mia amica analista…».
«Mamma… tu ce l’hai cinque minuti da dedicarmi?».
«Faccio tardi in ufficio…».
«Mamma, ti prego, siediti. Ti ricordi di Jimmy? Giacomo il figlio della portiera, noi lo chiamavamo Jimmy… sì, è morto… io, qualche volta lo aiutavo a svuotare le cantine… no, fermati non lo facevo per arrotondare, lo sai che sono anche astemio… era stato chiamato in una casa a Piazza Mincio; gli regalavano, – si a volte la gente pur di sbarazzarsi di qualcosa è pronta a donartela – la biblioteca di un signore chiamato il rilegatore… montagne di libri stipati in ogni angolo, persino in bagno… io lo so cosa mi succede di notte, passo il tempo onirico in balia del terrore dell’uomo vestito di scuro che ci venne ad aprire la porta… è lui la causa di queste mie disfunzioni fisiologiche… lo vedo sempre lì davanti a me, con quel suo volto scavato, semicoperto da un cappello nero; la voce roca attorcigliata attorno alla pipa spenta mentre ci esorta a liberare lo studio dove vi erano custoditi i libri più importanti… io, lo so che è solo una sensazione, ma credo che la morte di Jimmy sia colleg…».
«Tommaso, Tommaso… non è che sognando sognando…».
«Mamma, aspetta. Torno subito».
Nelle mani ora stringeva un libro dalla copertina marrone. «Guardalo, è reale. Era tra i tanti, tutti dello stesso autore, che adornavano la libreria dello studio del rilegatore… questo me lo ha regalato Jimmy, prendilo. Non ho il coraggio di leggerlo…».
«Che strano titolo: Io Domani Ritornerò Ogni Giorno Estraneo Nonostante Odette. Ok, lasciamelo, poi ci butto un occhio. Buona giornata, cuore mio».

Luca, frettolosamente, stava provando ad ammucchiare quanta più roba possibile in due valige. Vestiti, CD, qualche oggetto inutile che arredava la sua stanza, tutto ciò che poteva essere trasportato in questa prima fase del trasloco; il resto sperava di poterlo prendere nell’immediato futuro.
Intanto il suo occhio cadeva regolarmente sul telefonino nella speranza di ricevere una risposta positiva alla sua richiesta d’aiuto. E la risposta sperata arrivò.
Max < No problem. Mi casa es tu casa.>
Adesso poteva impacchettare anche il computer portatile, ma prima doveva togliersi uno scrupolo: interrogare i motori di ricerca per vedere se le intuizioni del primo libro potevano accordarsi anche con l’ultimo letto. E così facendo richiamò alla memoria uno dei passaggi principali per poi digitare quelle che riteneva le parole chiave.

“L’agente speciale Mark Trein si era già persuaso di aver trovato il colpevole tra i tre testimoni oculari che avevano assistito a loro dire ‘impotenti’ all’incidente accorso al capo ufficio. Separati ed interrogati, tutti avevano raccontato la stessa storia: Mr. Anthony Gripps era morto per colpa di uno starnuto. Sì, il movimento condizionato innescato dal solletico dei peli nelle narici, lo aveva condannato ad una brutta fine prematura, costringendolo a piegare in avanti il busto che aveva impattato con la fronte sul corno appuntito di un rinoceronte in miniatura che adornava la scrivania, quale ulteriore simbolo della sua passione venatoria rappresentata dai numerosi trofei appesi alle pareti, intervallati dalle foto che lo incorniciavano dominante su esotiche prede. Ma solo uno dei tre dipendenti della ‘Bromax S.p.a.’ con sede a Milwaukee, perquisito, presentava ancora qualche grano di pepe macinato nel taschino della giacca, solo uno di loro era seduto in modo da poter spostare l’animale in marmo nelle adiacenze di Mr. Gripps”.

Dopo aver scorso una serie di voci incomprensibili riguardanti generici ‘Gripps’, la terza pagina di Google restituì un breve articolo tratto dal Milwaukee Journal Sentinel, sezione ‘cronaca nera’.
È giallo sul ritrovamento di un cadavere in una delle abitazioni immerse nel verde di Melody View, sulla 91esima. L’uomo, identificato grazie alle sue impronte digitali come Anthony Gripps, già conosciuto alle forze dell’ordine per alcuni precedenti, è stato rinvenuto parzialmente occultato da travi di legno e ramaglie con pelle del viso e scalpo asportati. Le indagini della Polizia di Milwaukee sono in corso.
«Un altro scorticato?».

«E ora come lo ritrovo quel bastardo?».
Aveva trascorso un’ulteriore giornata in ospedale, sotto osservazione, poi i medici avevano deciso che, nonostante il trauma cranico, avrebbe potuto fare ritorno a casa. «E niente sforzi, solo qualche altro giorno di riposo». E ora Elena era sdraiata sul divano.
«Semplice. Mi basterà tornare a casa sua!».
Di scattò si alzò e fu colpita da una forte fitta al capo. Riprese la posizione orizzontale per lasciarla definitivamente, e molto lentamente, nel giro di venti minuti. Direzione zona Circo Massimo.
Raggiunto il palazzo suonò al citofono, nessun effetto sorpresa. Attese. Risuonò. Ancora nulla. Poi il portone si aprì lasciando uscire un uomo e il suo piccolo animale domestico. Elena ne approfittò per sgattaiolare all’interno dell’edificio. Tentò più volte al campanello. Invano.
«Cerchi il ragazzo che abita lì?». La voce arrivò alle sue spalle.
«Sì», rispose voltandosi di scatto colta da una nuova fitta.
«Ieri l’ho visto uscire con le valigie. Forse è partito. E dopo il macello dell’ultima festa spero resti fuori il più a lungo possibile», disse acida la donna sulla soglia.
«Sa dov’è andato?».
«Onestamente no e non mi interessa».
«Va bene, grazie mille. Arrivederci» e riguadagnò l’uscita.

«Vedo che ti sei già sistemato bene», disse canzonatorio Max dopo esser entrato nella stanza che da poco più di ventiquattro ore ospitava temporaneamente Luca ed essere incappato nelle due valigie che erano letteralmente esplose sul pavimento.
«Sì, sì. Grazie ancora».
«Fai come fossi a casa tua, eh», proseguì l’amico facendo cenno col capo verso il delirio di indumenti ed oggetti disseminati sul parquet.
«Uh, quelli? Li sto sistemando ora, tranquillo».
«Se lo dici tu», rispose titubante.
E Luca, seduto sul letto, riabbassò lo sguardo sullo schermo del laptop poggiato sulle gambe incrociate.
«E quella?», chiese poi Max indicando una tavola periodica che l’amico aveva affisso sulla parete, accanto alla finestra.
«Ah, nulla. Mi serve solo per ripassare l’esame di Chimica», mentì.
«Ma almeno potevi comprarla nuova! Qualcuno si è divertito a cancellare dei simboli con delle X. Il molibdeno, per esempio», e lo indicò dopo essersi avvicinato al grande foglio colorato.
«E vabbè, i simboli sono sempre quelli. Ora passami quei libri va», disse Luca puntando il dito verso due tomi poggiati sulla scrivania.

«Padre Angelino, ben tornato. È sempre confortante per me incontrarla».
«E per me è sempre fonte di piacere trascorrere del tempo con te, Manuel».
Dopo poco più di quattro anni di detenzione sui sedici previsti per omicidio preterintenzionale, buona condotta e passione dimostrata durante i corsi di formazione organizzati dalla struttura, Manuel Pennato, trentanove anni, divorziato, era stato nominato responsabile della biblioteca carceraria. Ed ora, i due s’incontravano, come ogni martedì pomeriggio degli ultimi cinque mesi, presso la Sala lettura della Casa circondariale Rebibbia “Raffaele Cinotti”.
«Come sempre devo ringraziarla padre per la sua visita. Lo sa, lei è ormai l’unica persona che posso definire ‘parente’ su questa terra», disse Manuel con la sua peculiare voce dal timbro graffiato, chinando il capo.
«Non dire questo. Tempo al tempo. Te lo ripeto sempre, hai capito e imparato dai tuoi errori. Sei un uomo nuovo. Lo scopriranno presto anche i tuoi veri parenti», rispose pacatamente l’uomo di Dio.
A seguito dell’abbandono della moglie, le notti trascorse tra fiumi d’alcool e quella maledetta sera in cui quel pover’uomo, accidentalmente, l’aveva urtato al bancone di un pub finendo vittima della sua furia, Manuel era stato ripudiato anche dalla sua famiglia ed ora, padre Angelino, era l’unica persona che, forse, gli mostrava una forma di affetto.
«Sono pronto per la confessione», disse Manuel dopo uno scambio ulteriore di battute.
«E io sono pronto per accoglierla», replicò il sacerdote, avvicinandosi a lui e segnandosi.
Dopo l’assoluzione, i due si fermarono a parlare di letteratura, come sempre. E, come sempre, Manuel mostrava a padre Angelino i nuovi arrivi della biblioteca, non di rado volumi sottratti a bancarelle abusive o fuori commercio.
«Sto notando che oggi non ha con sé la sua Bibbia. E la sua borsa. Come mai?», chiese d’un tratto Manuel.
«Perché me lo chiedi? È in tuo possesso», rispose con un sorriso ambiguo il sacerdote.
«Immaginavo l’avesse notato».
Durante l’ultimo incontro padre Angelino era stato chiamato improvvisamente da una guardia carceraria per somministrare un’estrema unzione ad uno dei detenuti scomparso per un attacco cardiaco. Nell’attesa, Manuel aveva sostituito il libro sacro, collocato nella borsa di cuoio che sempre accompagnava il prete, con un volume dalla copertina anomala.
«Cambiamo Ancora Dio Mantenendoci In Ostaggio», disse alzando leggermente gli occhi verso l’alto.
«L’ha letto?», domandò il responsabile della biblioteca carceraria.
«Non era questo che volevi?».
«E cosa ne pensa?».
«Penso di non essere sazio».
Manuel ammiccò.
«Quanti ancora?», domandò abbassando il tono, nonostante fossero soli nell’ambiente bianco asettico, padre Angelino.
«Altri», rispose generico.
«Immagino ci sia un prezzo».
«Ovvio. La mia libertà», replicò secco Manuel.
Il sacerdote incassò la richiesta fissandolo dritto negli occhi. Poi disse semplicemente: «Avrai mie notizie a breve».
«Ci conto».
E, per la prima volta senza stringersi la mano, date le spalle all’uomo, padre Angelino si avviò verso l’uscita lasciandolo solo nella Sala lettura.
«Non rivuole indietro la sua Bibbia?», domandò Manuela quando ormai il prete era già quasi oltre la porta.
«Ormai puoi tenertela», rispose senza voltarsi.

(realizzato a quattro mani con Giovanni Ruggiero | pubblicato nell’antologia “Phantom Punch” – SensoInverso Edizioni, 2020)

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