Mezz Gacano – OzocovonobovO MMXX

MEZZ GACANO

OzocovonobovO MMXX (2020)

Sasime Records / Lizard Records / Micio Poldo Edizioni Musicali

 

Chi conosce Mezz Gacano è conscio del “rischio” cui si va incontro quando ci si approccia ad un lavoro che vede la sua firma. Come sempre è cosa ardua e affascinante, un “salto nel buio” che vale sempre la pena affrontare e da cui se ne uscirà cambiati in meglio. Sì, perché la Musica e l’Arte sono anche questo: l’imprevedibilità, la follia, il rischio. E Mezz Gacano è un Musicista e un Artista.

Il nuovo lavoro di Mezz Gacano è un balzo nel proprio passato, precisamente nel 2009, tra le note di “Ozocovonobovo”. L’artista siciliano “ripesca” quell’album proiettandolo nel 2020 grazie ad una sapiente revisione, una nuova registrazione e un nuovo missaggio, tutto arricchito da mezz’ora di nuove creazioni. Ecco OzocovonobovO MMXX.

Per riuscire nell’impresa, Mezz (chitarre, campanaccio, basso, batteria, marimba, voce) si affianca ad un numero incredibile di musicisti, una sorta di “compendio” della sua carriera in studio e sul palco. Ci sono membri della Boskàuz Band e della Ozocovo Band, in ordine cronologico: Ruhi Nakoda (alias Marco Monterosso, chitarre, voce), Gianmartino Della Delizia (alias Giovanni Di Martino, piano, tastiere, synth, spinetta, gong, voce), Poop O’pollinae (alias Lucio Giacalone, basso in Huiut), Pit Pitinguy (alias Piero Pitingaro, batteria), Melo Kiedis (alias, Luca Giuffrida, basso, turutù…turuttù, Mezz da giovane), Nicko La Juta (alias Francesco Tavormina, batteria, narratore silente in Gargios), Pen Pendenize (alias Davide Pendino, sax alto, xilofono, glockenspiel, piatti, batteria), Laars Ursich (alias Luca La Russa, basso, narratore, giovane Gianmartino, Pendenize), Piragnus Ingegneros (alias Pierangelo Longo, clarinetto in Ojelo Vojoje), Al Di Merola (alias Alessandro Di Martino, eufonio, trombone). C’è il Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble con Roberta Miano (violino), Lavinia Garlisi (flauto), Ornella Cerniglia (pianoforte), Mauro Greco (violoncello), Beppe Viola (clarinetto, sax) e Dario Compagna (clarinetto basso). E poi ci sono tanti ospiti: Alexander the Large (alias, Luciano Palmeri, narratore pugliese in Gargios), Tony Landolina (psiconarratore in Pomoflower MMXX), Furious Georgie (alias Giorgio Trombino, sax alto in Ghozo), Flavio “Skitz” Russo (Radio Mattula dj, The profanity Women in Sunny Son of Blütenstaub meez Ubao e i Bioboi), Carlo Actis Dato (sax tenore in Jobai de Gobai (Apo)), Gianni Gebbia (sax in Mяco ecт Mяco), Tommaso Leddi (sax, trombone, basso, batteria), Dave Newhouse (tastiere, organo, piano, sax, clarinetto basso) e Luciano Margorani (chitarra in Sunny Son of Blütenstaub meez Ubao e i Bioboi).

E come affermato in occasione della recensione di “Kinderheim”, non ha molto senso parlare di influenze, di “rimandi”, quando si è di fronte ad un lavoro “eccentrico” come OzocovonobovO MMXX. Sì, l’amore per l’avant-prog/R.I.O., per la sperimentazione è palpabile in ogni anfratto dell’opera, ma è tutto molto personale, viscerale, di una complessità e di una genialità che sono spesso ardue da spiegare a parole. E quando poi realizzi che il “delirio”, l’essenza di improvvisazione che permea l’opera è tutta frutto dell’ingegno di un uomo solo, è tutto scritto “nero su bianco”, allora non puoi fare altro che scattare in piedi e battere le mani.

Si parte con Ozomeztro. Dopo il “lamento” arabeggiante di benvenuto (che si trasforma poi, pericolosamente, in qualcosa di più tenebroso), il viaggio verso l’ignoto può avere inizio e il “manipolo di manigoldi” che asseconda Mezz lo fa subito in grande stile, con un frammento di chamber rock sbilenco, con archi e flauti che sembrano avanzare alla cieca in una stanza buia. Gli Aranis “dati in pasto” agli Art Zoyd.

Martellante prende il via Gargios, con le ritmiche di Melo Kiedis e Nicko La Juta e le corde di Ruhi Nakoda e Mezz Gacano che s’affrontano senza esclusione di colpi. E, in sottofondo, la simpatica e delirante narrazione di Alexander the Large aggiunge un tocco surreale al tutto. E quando Gianmartino Della Delizia decide di scendere in campo con le sue tastiere, l’episodio spicca il volo. Tutto un po’ zappiano e molto gacaniano.

Dopo l’ipnotica partenza di Huiut, le distorsioni prendono il sopravvento, con il costante sostegno delle ritmiche, lanciandosi in un assolo che sa quasi di “normalità”. E poi, d’un tratto, tutto muta e si fa quasi spensierato grazie ad un flusso sonoro rapido e jazzato in cui ampio spazio è concesso alla batteria di Pit Pitinguy, al basso di Poop O’pollinae e al piano di Della Delizia, prima di ricadere nuovamente in un loop chitarristico che ci conduce sino al commiato.

Incedere alienante e cinematografico per Ojelo Vojoje, con il clarinetto di Piragnus Ingegneros sugli scudi. A spezzare l’“incantesimo” ci pensa, per un breve frangente, la nuova sfuriata elettrica di Mezz, prima di riprendere testardamente il cammino, impreziosendolo con “variazioni sul tema”.

Jobai de Gobai (Apo) parte a razzo, gettandoti addosso un macigno sonoro che ha la forma di un inestricabile groviglio di chitarre, tastiere e ritmiche e con il sax indemoniato di Carlo Actis Dato che si lascia trascinare nella festa, risultandone poi il “festeggiato”. È un volo in picchiata senza fine quello che si vive in Jobai de Gobai (Apo), quasi uno scontro tra The Mahavishnu Orchestra e Ruins.

Dopo una partenza rockeggiante un po’ titubante, Mяco ecт Mяco prende corpo con un’andatura molto free jazz, elegante e particolareggiata. E quando sei lì, ormai pronto per lasciarti cullare dal sax di Gebbia e dal basso di Melo Kiedis, dimenticandoti di essere alle prese con un album di Mezz Gacano, ecco che uno schiaffone improvviso ti riporta con i piedi per terra: una breve scheggia impazzita che introduce un raffinato segmento al piano. Resti allora sul “chi va là?”, saggiamente, e ti ritrovi, poco oltre, quale invitato d’onore ad una celebrazione R.I.O.. E, alla fine, ti alzi in piedi e applaudi convinto.

Il tocco colto, rinascimentale, che apre Unghstum, coglie quasi alla sprovvista. Poi le chitarre iniziano a roteare e tutto si fa più chiaro (?!). Niente appigli, come sempre, solo sperimentazione tout court tra rock, jazz e avanguardia, tanta imprevedibilità, tanta genialità. Un “frullato” di chitarre che si scontrano, un basso (suonato da Mezz) indemoniato, un piano imprendibile e una batteria “tosta”. Altro tassello azzeccato in pieno.

E come una carezza inaspettata appare Carmelo in my room. Morbida, romantica, suggestiva: l’esecuzione del Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble è da pelle d’oca. Musica classica di alta classe, con un’essenza morriconiana palpabile. Tutto perfetto… finché il maestro d’orchestra (Mezz Gacano) “impazzisce” trascinando tutti dietro sé!

È poi la volta di Pomoflower MMXX, episodio dalle tre (macro)anime. Quella iniziale, dopo qualche vocalizzo “semiromantico” e un quasi omaggio a “Baba O’riley” dei The Who, prende il largo trascinato dalle distorsioni tortuose di Gacano e Nakoda. Un fiume in piena che s’infrange, improvvisamente, nei tasti di Gianmartino. Quest’ultimo, sospeso tra “tradizione ed avanguardia”, tiene la prima “essenza” per sé, lasciando esplodere la seconda quando i restanti effettivi si autoinvitano al party. Sul finire, poi, largo spazio alla techno music (sì, esatto!): un “tunz tunz ignorante” che lascia, come sempre, sgomenti!

The Sunny Son of Blütenstaub. E se, per un comune mortale, quanto segue appare quasi come una lunga “fase di riscaldamento” di un’orchestra/band, priva di un risultato finale tangibile, con Mezz Gacano diventa arte. Un’intricata matassa di “fili” lasciati liberi da Mezz, Nakoda, Della Delizia, Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble, Dave Newhouse e Tommaso Leddi, incontri e scontri tra fiati, pelli, corde, ottoni, tasti, una sorta di sublime “caos sotto controllo”: tutta l’essenza avant-prog/R.I.O. del padrone di casa che prende forma. E poi, sul finire, arriva la sorpresa, con quell’andatura “cortigiana” e malinconica della spinetta di Gianmartino e delle chitarre (con tanto di “timida” citazione di “I was made for lovin’ you” dei Kiss).

E quando pensi che la fantasia di Mezz Gacano debba pur avere un limite, ecco comparire Ghozo. Inizialmente “semplice”, con il sax di Giorgio Trombino che mantiene un basso profilo, il brano acquisisce tutt’altra piega quando prendono piede, per poi impossessarsene completamente, un’infinita serie di inserti vocali surreali alla Elio e le Storie Tese. Il tutto è “ingabbiato” da una struttura molto free jazz, con Trombino che acquisisce gradualmente maggiori poteri e si lascia andare alla Anthony Braxton.

In coda la lunga ed estraniante Sunny Son of Blütenstaub meez Ubao e i Bioboi. Un continuo duello tra corde distorte, ruvide sino all’eccesso, con la batteria di Leddi che si guarda bene dall’intromettersi nella “disputa”, è il protagonista indiscusso della prima parte del capitolo finale di OzocovonobovO MMXX. E quando i contendenti “rifiatano”, il Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble si prende la scena alla grande, con un nuovo “viaggio verso l’ignoto”, un nuovo delirio controllato (o forse no?) che avanza come uno schiacciasassi.

E quando cala il silenzio realizzi che, ancora una volta, Mezz Gacano ha superato Mezz Gacano.

Per info e acquisto: Mezz Gacano

 

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