Intervista a Mezz Gacano

Un caro benvenuto al polistrumentista, compositore e cantante Mezz Gacano.

M.G.: Ciao Donato, ciao a tutti!!!

Iniziamo la nostra chiacchierata dalle origini. Quali sono i tuoi primissimi passi nel mondo della musica e i primi “amori”? Mi parli di Corrosive Tartness, Multimedial Stigghiolizing Enterprise, Katèrba (e tanto altro)?

M.G.: I “primi passi” risalgono a quando, nel 1975 (a due anni), mi esibivo ovunque mi trovassi (bar, pizzerie, ristoranti, piazze), cantando “Yuppi Du” di Adriano Celentano, copiandone le movenze (allora mi chiamavo ancora David Nino Urso). Da subito ho strimpellato qualsiasi tipo di strumento, ma sarà nel l’inverno del 1981 che deciderò di coltivare con serietà la mia inclinazione musicale; il mio maestro, il Sig. Mezzatesta, come si può ben capire, si appassionerà presto, più che dei miei “prodigi” al solfeggio, alle “forme” della mia bella mamma. E quindi, nel giro di un paio di anni, ricoprirà il ruolo del padre putativo ed io, nel giro di tre/quattro anni, arriverò ad odiare tutto quello che concernesse il pianoforte.

Dopo aver dato alle fiamme spariti, libretti e cartacce varie, negli anni che vanno dal 1986 al 1989 scopro l’hard core punk, l’heavy metal, il grind core; compro un basso elettrico ed un amplificatore, mi metto un catenaccio al collo e divento ufficialmente “il Mezzatesta”.

In quegli anni Palermo è una polveriera, siamo nel bel mezzo della più efferata guerra di mafia della storia e gli “umori neri” permeano ogni millimetro della città e delle sue periferie. Io vivevo in provincia e frequentavo un anonimo istituto d’arte a Bagheria (una cittadina alle porte di Palermo) e sarà qui che, insieme a un gruppetto di ”reietti autolesionisti”, formerò una serie di gruppi e gruppetti che, sul finire degli anni Ottanta, prenderanno il nome di Corrosive Tartness (con cui registrerò anche un paio di cassettine autoprodotte), un gruppo che oggi verrebbe definito di Grind Emo Dark Splatter Unfrieldly Core, che nel decennio che intercorre fra il 1988 al 1997 subirà una susseguirsi di metamorfosi : Gli Ultimi > Slampamdeus > Favelas > Multimedial Stigghiolizing Enterprise > Tchazart;  fino a diventare una sorta di mostro a centinaia di (mezz-e)teste che nel 1998, ritornato a Palermo, prenderà il nome di Katèrba e che, senza togliere nulla delle influenze quali Hard Core Punk, Heavy Metal e Grind Core, aggiunge alla tavolozza  Jazz, Psichedelia, Funky, Sperimentazione e… finalmente il Progressive!

La formazione dei Katèrba (1998/2000):

  • Mezz Gacano – chitarra
  • Gianmartino Della Delizia – tastiere
  • Pill Pilorto – basso
  • Tano Williams – batteria

È il 1997 quando, dalle ceneri dei progetti menzionati precedentemente, prende vita Mezz Gacano. Ma qual è la molla che fa diventare Davide Nino Urso Mezzatesta – Mezz Gacano? E cosa ci fa Davide a Salsomaggiore Terme nel 1997?

M.G.: Dopo aver fatto il piastrellista e il falegname a Sacile (PN), nel 1996 sono a Salso a fare il pittore: copie di quadri antichi, quadri d’arredamento e qualche falso d’autore. Sarà durante questo periodo che incontrerò a Firenze John Zorn che, dopo un fulminante concerto in duo con Mike Patton, mi darà una serie di preziosi consigli, uno su tutti: “Non perderti troppo dietro ai gruppi, dedicati a te stesso”!

Dal giorno dopo inizio i miei due progetti paralleli: Mezz Gacano e Paul Teglia & the goodmakers of shit!!!

Mezz Gacano: come nasce il nome e cosa significa?

M.G.: …è una cosa così antica che non la ricordo più neanch’io!

Se non erro, va detto che, inizialmente, Mezz Gacano è più una band che il tuo nome d’arte e, solo col tempo, si “trasforma” in “te stesso”. Ed è con una formazione a cinque che, appunto, Mezz Gacano esordisce nel 2002 con “Palòra di Boskàuz”. Mi narri la genesi dell’album?

M.G.: Sì, una sorta di Bongio Bovi (ahahah!).

In realtà, Mezz Gacano, in forma “prototipa”, apparirà per la prima volta al Bataclan di Salsomaggiore Terme nel settembre del ’98 ed io suonerò con lo pseudonimo di Lorna Maitland, ma sarà, in effetti, nel 2000 che dalle ceneri dei Katèrba nascerà il nucleo vero e proprio d(e)i Mezz Gacano.

Nela prima formazione ci sono 3/4 dei Katèrba (Mezz, Gianmartino, Pill Pilorto) + Marco Monterosso (proveniente dagli Airfish) e un finto batterista che durò giusto il tempo di due prove.

Poi nel 2001 la formazione sarà quella che i fans ricordano tuttora come “Boskàuz Band”, ovvero quella che inciderà durante giugno 2002 “Palòra di Boskàuz” (pubblicato nel settembre dello stesso anno da Sasime Records):

  • Mezz Gacano – chitarre, voce, organo Farfisa, diamonica, drum machine
  • Ruhi Nakodà aka Marco Monterosso – chitarre, voce
  • Gianmartino Della Delizia aka Giovanni Di Martino – tastiere, backing vocals
  • Popp O’Pollinae aka Lucio Giacalone – basso
  • Pith Pitinguy aka Piero Pitingaro – batteria

L’album è una raccolta di brani scritti fra 1989 e il 1998 rispolverati e arrangiati per la suddetta band, dopo avere collaudato per bene il repertorio dal vivo, suonando in giro per i locali della città.

C’è dentro Barry Manilov, Bill Laswell & Material, Barbra Streisand, Il Conte De Curtis in arte Totò, Thelonius Monk, i Cardiacs, i Kiss, Ritchie Blackmore, Fred Frith, Santana, i Kreator, i Genesis, i Mr. Bungle (o forse i Faith No More) e un bel po’ di musica ludico/sperimentale, fra Nuova Consonanza e Cristina D’Avena. Ci sono pure un paio di singoli degni della migliore tradizione rock d’autore come “Set Me Down” e “Love Girls”.

Passano due anni e, con una nuova formazione, esce “Avangandastrialopiteco”, disco “ufficioso” autoprodotto in 100 copie, tutte vendute alla presentazione del 24 ottobre 2004 all’Agricantus. Com’è evoluto in questi due anni il progetto e cosa troviamo di “nuovo” in questo lavoro? Perché è uscito “ufficiosamente”?

M.G.: I due anni che si frappongono fra “Palòra di Boskàuz” e “Avangandastrialopiteco” sono pieni di alti e bassi, o forse sarebbe meglio dire: di altissimi e bassissimi

Il primo disco piacque moltissimo a Loris Furlan (della nostra amata Lizard Records) e a Bruno Dorella (che allora produceva con Bar La Muerte), si parlò con entrambi di produrre il “prossimo disco”, e nell’estate del 2004 incontrai pure Bruno a Milano, ma per motivi personali manderò tutto in malora (…di bòskauz!) e, quindi, la produzione del disco è stata molto DIY (Do It Yourself), come nella migliore tradizione dell’Hard Core Punk d’oltreoceano, solo che il disco stavolta aveva velleità che vanno dal Progressive alla musica da camera.

Di nuovo in formazione c’è un giovanissimo Marco Lo Cicero (Reggie Pettiford) e il batterista dei Katèrba, Gaetano Di Giacinto (Tano Williams), una sezione ritmica più “Art”, che mi permetterà di scrivere composizioni come “Blütenstaub”, una composizione in nove movimenti (scritta durante la “Zwei TageSpiel” di Hermann Nitsch a Prinzendorf) che passa da Darius Milhaud ai Naked City, facendo tappe obbligate su Univers Zèro, Tom Zè, Diamanda Galas e Marcos Valle.

Questa la formazione di “Avangandastrialopiteco”:

  • Mezz Gacano – chitarra, mandolino, basso, batteria, nastri, sovraincisioni, synth, tastiera, voce, rumore, direzione
  • Gianmartino Della Delizia – piano, tastiera, synth, cori
  • Reggi Pettiford – basso, contrabbasso, ugo
  • Tano P.M. Williams – batteria, percussioni, voce

Musicisti aggiunti:

  • Edy Vanhello – chitarre
  • Françoise Le Morceau – voce
  • Popp ‘O Pollinae – basso elettrico
  • Pith Pitinguy – batteria

Ospiti:

  • Carmelo “Karme” Caruso – se stesso
  • Fumika – violino
  • Koichi Fujishima – dobro

Dal 2004 al 2008, ormai divenuto definitivamente Mezz Gacano, ti dedichi esclusivamente a lavori “solisti” (MezzGuitar, Megghiu sulu), musica “da camera” (Music for robes, Orchestral unfavorite) e collaborazioni esterne con Dario Lo Cicero, Orchestra Xenarmonica V. Bellini Palermo, Camillo Amalfi e altri ancora. Perché decidi di muoverti “in solitaria”? E quanto c’è di diverso in queste operazioni rispetto ai precedenti lavori “collettivi”?

M.G.: …è semplicemente un periodo di riflessione e studio, mi dedico al “mio strumento” e, però, collaboro con altri artisti ma stavolta da “manovale”. La “Sfida Duale” è: “Suono da solo le cose che scrivo io e poi mi confronto con le strutture e le idee altrui”, mettendomi a disposizione (per la prima volta) come “semplice” esecutore. Avrò l’onore di collaborare con artisti del calibro di Philip Corner e Hermann Nitsch, con cui ho pure registrato un disco (“Sinfonia Punta Campanell in 4 Movimenti”, 2004).

Nel 2008 registri le tracce di “Ozocovonobovo”, un lavoro che ha vissuto una vita piuttosto “travagliata” (e su cui torneremo più avanti). Perché senti che non è pronto per essere pubblicato in quel periodo?

M.G.: …Uhm… …il disco era stato scritto in origine per un “Power Trio” a là Primus, o forse più alla Oysterhead (di cui per un periodo suonammo “Little faces”), con me al basso, Monterosso alla chitarra e Pit (Pitinguy) alla batteria. Dopo un paio di provini, l’idea non mi piacque e morì là. Qualche tempo dopo, vengo in contatto con un paio di giovinastri scalmanati e decido di affiancarli a Gianmartino per un pugno di prove e un paio di concertini: il risultato è così divertente da convincere Marco Monterosso a registrarne un disco.

Quindi attrezzando la sala prove di Francesco (il batterista) a studio di registrazione e, nel giro di un paio di giorni, io, Gianmartino, Monterosso, Conte Jacula e Nicko Lajuta registriamo il tutto. Poi io e Marco lo misceliamo, con Giovanni (Gianmartino) aggiungiamo da casa mia dei fiati e il gioco è fatto!!!

Ma, per anni, il disco non trova né produttori né niente…

Nel 2015 lo “piallo” così com’è su Bandcamp e qui torna a farsi vivo il buon Furlan!

La formazione di “Ozocovonobovo” (uscito nel settembre 2009 per Sasime Records):

  • Mezz Gacano – chitarra elettrica a 6 e 12 corde, chitarra acustica, campanaccio, basso e voce
  • Ruhi Nakoda – chitarra, voce
  • Gianmartino Della Delizia – pianoforte, tastiere, sintetizzatori, clavicefalo, gong e voce

Musicisti aggiunti:

  • Piragnus Ingegneros – clarinetto
  • Pen Pendenize – sax contralto
  • Al Di Merola – eufonio e trombone
  • Poop O’pollinae – basso in “Huiut”, cori in “Maippiuttutt”
  • Pit Pitinguy – batteria
  • Melo Kiedis – basso
  • Nicko La Juta – batteria

Ospite speciale in “Jobai De Gobai” Carlo Actis Dato – sax tenore (suona “Cocodì” da “Moonwalker”)

In quegli anni rimetti in piedi la band (con qualche novità) e, tra le varie, partecipate ad una rassegna di cinema espressionista a Barcellona Pozzo di Gotto, componendo ed eseguendo dal vivo le musiche per il film “Tabù” di F. W. Murnau. Mi parli dell’esperienza?

M.G.: Sono da sempre stato un appassionato di cinema, soprattutto quello degli albori, soprattutto quello tedesco, soprattutto quello espressionista, soprattutto quello di Murnau. Nel 2001 avevo composto le musiche per “Nosferatu” e, qualche tempo dopo (2008), mi ritrovai a scrivere quelle di “Tabù” (ultima pellicola del regista tedesco, uscita postuma nel 1931). Le partiture le avevo scritte in realtà in un periodo abbastanza buio della mia vita, una specie di terapia salvifica, e solo qualche tempo dopo, casualmente, si presentò questa occasione del festival a Barcellona P.G. (ME). È stata una bella esperienza perché ho praticamente costretto un gruppo rock a sedersi e seguire uno spartito come se fossimo un quintetto da camera. Nel gruppo già da allora la sezione ritmica constava di Luca La Russa al basso e Davide Pendino (che su “Ozocovonobovo” suona il sax contralto) alla batteria.

P.S.: anche “Tabù” abbiamo iniziato a registrarlo nel 2009 ed è fermo li che aspetta di essere sfornato. Questa la formazione:

  • Mezz Gacano – chitarra
  • Ruhi Nakodà – chitarra
  • Gianmartino Della Delizia – tastiere, synth, pianoforte
  • Hector Faber aka Fabrizio Vittorietti – basso
  • Pen Pendenize aka Davide Pendino – batteria

Tocca attendere il 2016 per vedere un nuovo album ufficiale: “Froka”, lavoro “condiviso” con il gruppo sperimentale Zone Expèrimentale e che raccoglie una serie di partiture composte da te negli ultimi quindici anni. Come prende forma e si concretizza la collaborazione con l’ensemble svizzero? E come nasce il rapporto con la Lizard Records?

M.G.: “Froka” è, di fatto, la rinascita di Mezz Gacano. Capita che nell’estate del 2012 mi incontro con il mio amico Flavio Virzì, con cui ho condiviso il palco suonando per e con Philip Corner molti anni prima, che nel frattempo si trova per studio a Basilea e fa parte, insieme a Marco Lo Cicero (aka Reggie Pettiford, bassista di “Avangandastrialopiteco”), di questa splendida orchestra chiamata Zone Expèrimentale.

Flavio mi spiega che a gennaio si terrà il festival “Capricci Capriceux” (dedicato ai giovani compositori italiani) e che lui aveva pensato di proporre me, così decido di rispolverare alcune partiture scritte negli anni e farne un carniere da concerto semi-cameristico. A gennaio del 2013 mi trasferisco per una settimana a Basilea per le prove e, il 13 al Mittel di Basilea e il 14 al Pantographe di Moutier, sforniamo i due concertini di cui summa sarà nel 2016 “Froka”.

La formazione di “Froka” (pubblicato da Objec A nel 2013 e Lizard Records nel 2016):

  • Mezz Gacano – chitarra
  • Flavio Virzì – chitarra, conduzione
  • Dario Lo Cicero – flauti, synth, strumenti autocostruiti
  • Marco Lo Cicero – basso, contrabbasso
  • Anja Brezavšček – flauto
  • Sara Bagnati – violino
  • Sofia Ahjoniemi – fisarmonica
  • Franziska Fleischanderl – salterio
  • Julien Megroz – batteria e vibrafono
  • Johannes von Buttlar – batteria, percussioni e pianoforte giocattolo

Nella mia recensione scritta in quell’occasione affermo che quello che incontriamo [in “Froka”] è sperimentazione sonora tout court, nessuna volontà, da parte di Mezz Gacano, di essere compreso al primo ascolto (e forse neanche al quinto). Ti ci rivedi?

M.G.: Abbastanza, non mi è mai interessato “farmi capire”.

Mi spiego meglio: per me l’ARTE (con tutte le lettere maiuscole!!) non può e non deve avere filtri, l’artista codifica un linguaggio per esprimere “sentimenti” non esprimibili altrimenti e, quindi, trovo assurdo che debba limitarsi per esigenze cognitive altrui.

Ti va di spendere qualche parola sul Counterpeel Trio e sul “rispolvero” della famosa “valigia dei 40 spartiti”?

M.G.: Certamente e con estremo piacere!

La “valigia dei 40 spartiti” è, o era, una mia valigia con cui andai allo Zeit per discutere di un mio potenziale disco da realizzare con Almendra (con cui si delineerà poi “Kinderheim”), nel cui interno c’erano talmente tanti scritti, spariti, partiture, appunti (…persino acquerelli), che, per quel che mi riguardava, ero certo pesasse qualcosa come quaranta chili …quindi la chiamavo “la valigia dei 40kg di spartiti”. Poi, durante una presentazione, un refuso la semplifico in “valigia dei 40 spartiti”. Da quella valigia vennero fuori alcuni degli spartiti che ritoccherò per il Counterpeel Trio, trio da camera da me voluto e che da qualche tempo vive di vita propria, composto da tre musicisti professionisti di derivazioni musicali differenti: Mauro Greco al violoncello, musicista di estrazione classica e cameristica che gira il mondo suonando con orchestre di livelli universali; Beppe Viola, sassofonista jazz con un o(re)cchio al folk che ha suonato con artisti di spicco come Aes Dana, Jacqui McShee e Bert Jansch (Pentangle), Daniele Sepe; e Dario Compagna, clarinettista d’orchestra che ha lavorato con Krzysztof Penderecki, con una carriera dedita al klezmer e con cui ho condiviso l’esperienza della Sicilian Improvvisers Orchestra.

Insieme a loro mi sono divertito a fare il John Zorn della situazione, dirigendoli talvolta in direzioni inaspettate e improvvise, anche rispetto alle scritture. Consiglio, a questo proposito, il disco registrato in occasione del MezzDay voluto dal compianto Lelio Giannetto (che a dicembre ci ha lasciati causa Covid19): “Mezz Day – Part One – Counterpeel Quintet”, con la partecipazione di Roberta Miano al violino e Lavinia Garlisi al flauto.

La formazione del “Counterpeel Trio” (2014/19):

  • Mauro Greco – violoncello
  • Beppe Viola – sax soprano
  • Dario Compagna – clarinetto basso

“Counterpeel Quintett” (2019):

  • Roberta Miano – violino
  • Lavinia Garlisi – flauto
  • Mezz Gacano – conduzione

Il 2017 è segnato dall’uscita di “Kinderheim”, un nuovo album con una “famiglia allargata”, in questa occasione la Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble. In questo caso io ti ho visto come un grande stregone “indisciplinato” ma dai poteri occulti immensi, che riesce nell’impresa di inserire nel “calderone Kinderheim” jazzisti, concertisti da camera, producer elettronici, musicisti tradizional-popolari, concretisti, esponenti del Fluxus, saltimbanchi e mangiatori di fuoco, ricavandone una pozione unica, magica. Ma quali sono i punti di contatto e le differenze sostanziali, secondo il tuo punto di vista, tra “Froka” e “Kinderheim”?

M.G.: “Froka” ha un impianto paradossalmente più libero e quando intendo libero, intendo una libertà comunque gestita da musicisti preparati ad affrontare partiture di ogni specie, una sorta di Henry Cow/Centipede per intenderci, dove quello che è scritto e quello che non lo è si permeano a tal punto da essere impercettibili ai più; invece “Kinderheim” è un esercizio “cameristico” tout court, sono tutte partiture rigidissime, su cui c’è sì qualche improvviso, ma nell’accezione quasi settecentesca!

Anche qui si tratta di composizioni scritte attraverso più di quindici anni: ad esempio, “Cerchio di permità gravemente” è un “poema” scritto nel 1993.

In questo disco ho la possibilità di sbizzarrirmi in tutti i modi e le direzioni che voglio: ho una sezione ritmica mostruosa, la migliore pianista che esista sul territorio siciliano (…e a mio avviso nazionale!), una serie di fiati e archi incredibili e degli ospiti grandiosi come Gianni Gebbia e Tommaso Leddi degli Stormi Six!

Dentro c’è di tutto, dalla musica da camera (…anche filo-conservatorista) al klezmetal, da tarantelle in opposition a cavalcate in 5/8 e persino una sonata per pianoforte a coda.

Poi ci sono due omaggi, il primo è una vera e propria cover di “Pic-Nic” degli Stormy Six, scritta da Tommaso e arrangiata da me in tre movimenti (con Tommaso, ovviamente, al mandolino); il secondo è un divertissement basato su “Bittern Storm Over Ulm” degli Henry Cow che abbiamo riarrangiato con Tommaso (Leddi) incrociandolo con “Funiculì Funiculà”, pezzo schernito al primo ascolto da Fred Frith!

La formazione di “Kinderheim” (pubblicato da Lizard Records / Almendra Music nel 2017):

  • Mezz Gacano – direttore d’orchestra, chitarra elettrica chitarra classica, synth, triangolo, campanaccio, batteria
  • Lavinia Garlisi – flauto, ottavino
  • Dario Compagna – clarinetto, clarinetto basso
  • Beppe Viola – sax soprano, clarinetto
  • Roberta Miano – violino
  • Mauro Greco – violoncello
  • Ornella Cerniglia – pianoforte
  • Gianmartino della Delizia – hammond, synth, clavicembalo, tastiere, xilofono
  • Davide Pendino – piatti, glockenspiel
  • Luca La Russa – basso elettrico
  • Simone Sfameli – batteria
  • Francesco Tavormina -batteria

Musicisti ospiti:

  • Tommaso Leddi – mandolino, basso elettrico
  • Gianni Gebbia – sax soprano
  • Giovanni Di Giandomenico – pianoforte
  • Giorgio Trombino – sax contralto
  • Ruhi Nokoda – chitarra elettrica
  • Luca Di Vizio – trombone
  • Yu Suwon – voce, percussioni corporee, gu-zheng, carillons
  • Valerio Mirone – contrabbasso
  • Simone Giuffrida – chitarra classica
  • Danilo Romancino – batteria
  • N’Hash – elettronica e remix
  • Naiupoche – elettronica

Com’è stato suonare con Tommaso Leddi e com’è nata la collaborazione? E come sei riuscito a “convincere” un gruppo di musicisti classici ad “assecondarti”?

M.G.: Tommaso è da sempre uno dei miei miti, il nostro “contatto” ha dell’incredibile: mi trovavo a Budapest per una mia mostra (a tutt’oggi la mia ultima) e Tommaso, che è, tra l’altro, figlio del pittore Pietro Leddi, mi chiede via Facebook se avessi mai fatto una mostra a Milano, o se mi accingessi a farlo, perché gli piace molto il mio lavoro e gli piacerebbe vedere i miei dipinti dal vero… Io, dal canto mio, trasecolo e gli rispondo che sono un suo grande fan e che mi piacerebbe averlo nel mio prossimo disco (“Kinderheim”); quindi, qualche tempo dopo, lo invito a Palermo e da subito è stato amore fraterno. Da subito c’è stata una osmosi unica e incredibile, come se avessimo sempre suonato insieme, motivo per cui le registrazioni non si limiteranno alla sola realizzazione di “Kinderheim”, continueranno per giorni, dando alla luce materiale vario, utilizzato per T.O.L.D., progetto di rock in opposition che comprende anche Luciano Margorani e Dave Newhouse, ma anche materiale che poi ho inserito nella versione odierna di “Ozocovonobovo”. E, tra l’altro, nel 2019 succede che, grazie a Tommaso, mi ritroverò a suonare con gli Stormy Six a Milano!!!

Parlando di musicisti “classici”, posso dirti che, per una questione squisitamente culturale, in genere sono molto più “aperti” della maggior parte dei musicisti jazz o rock in assoluto (poi quelli Prog sono quelli più ermeticamente sigillati nella loro tenuta stagna), quindi basta scrivere chiaramente uno spartito o una parte per rimanere spesso quasi subito contenti, poi se il compositore è un rompiglione come me i risultati sono assicurati!!!

E nel 2020 si “chiude il cerchio Ozocovonobovo”: esce “Ozocovonobovo MMXX”. Quando senti che è giunta l’ora di dare una seconda chance al lavoro? Quanto differisce dall’idea iniziale e qual è stato, dunque, il processo di “rigenerazione” dell’opera?

M.G.: Era da tempo che Loris mi chiedeva di questo disco ma, per come il disco era stato lavorato ai tempi, adesso non mi rappresentava quasi per niente, è come se fosse una mia foto di 13 anni fa, quasi non mi somiglia più. Quindi nel 2017 riregistriamo alcune parti, ne facciamo di nuove e durante il lockdown di marzo/aprile del 2020, grazie anche all’aiuto di Simone Sfameli (batterista del mio Kinderheim Kunst Quintett), il disco prende forma e finalmente viene alla luce!

Per “riuscire nell’impresa” ti sei avvalso di un numero incredibile di musicisti, una sorta di “compendio” della tua carriera in studio e sul palco: ci sono membri della Boskàuz Band, della Ozocovo Band e Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble, oltre a tanti altri ospiti. Com’è si gestisce una “squadra” del genere?

M.G.: Sì, ci sono praticamente tutti: il triumvirato storico (Mezz, Monterosso, Gianmartino), la Boskàuz Band, Il Self-Standing Ovation Boskàuz Ensemble e ospiti specialissimi come Tommaso Leddi, Dave Newhouse, Carlo Actis Dato, Luciano Margorani e Gianni Gebbia.

Gestire i musicisti bravi e professionali è molto semplice (per merito loro), alla fine basta avere le idee chiare.

Al netto di tutto, ne è valsa la pena attendere tutti questi anni? Sei soddisfatto del risultato finale?

M.G.: La vita mi ha abituato a fare di sventura virtù, quindi è stato quasi piacevole e credo che ne sia valsa la pena.

In generale, in tutti questi anni, com’è stata accolta la tua proposta musicale fuori dagli schemi da pubblico e critica?

M.G.: Dal mio punto di vista posso ritenermi soddisfatto e sorpreso al limite della lusinga, non credevo che la mia musica potesse interessare a molte persone sul pianeta. Ovviamente il mio, in generale, è un pubblico di nicchia fatto da intenditori che vanno dai 45 ai 65 anni. Per l’appiattimento culturale galoppante che vige oggigiorno, devo dire che è una bella conquista.

Avant rock, R.I.O., sperimentale, chamber rock, Progressive Rock, musica concreta, jazz e un’altra infinità di “etichette”. Ma che genere suona Mezz Gacano?

M.G.: Nella primissima intervista che mi fu fatta nel 2001, proprio a nome di Mezz Gacano, dichiarai: WYZYX!!!

Musicalmente parlando, il tuo “genio” va di pari passo con la tua “follia”. Una delle cose che più mi sorprende quando ascolto le tue composizioni è il sapere che ogni nota, che ad un orecchio disattento sembrerebbe buttata lì a “caso”, improvvisata, è in realtà scritta “nero su bianco”. Ma come nasce un brano di Mezz Gacano?

M.G.: Dipende molto dai periodi, in genere scrivo delle idee su qualsiasi supporto cartaceo mi ritrovi attorno (fazzoletti, tovaglioli, carta del pane), ci tiro su cinque linee e poi prendo appunti; quando poi sono a casa, in tranquillità butto giù una bozza generale del pezzo su di un foglio pentagrammato, che magari rimane dentro un cassetto (…o una valigia) per mesi, talvolta anni; e poi magari lo ripesco e gli do una “botta” finale. Poi, a seconda dell’intenzione, lo affido a un “gruppo” e le prove fanno il resto. Ma mi è capitato, come nel caso di “Set Me down”, di strimpellare una canzoncina al piano e canticchiarci su, registrarla con mezzi di fortuna (prima avevo sempre appresso un registratore a cassetta, oggi col telefono) e poi riportarla su foglio per proporla e provarla con la band. Oppure, come nel caso di “Blütenstaub”, che fu appuntata su un quaderno di appunti mentre provavo con un’orchestra di novanta elementi al castello di Hermann Nitsch a Prinzendorf (Austria).

E un’altra cosa, tra le tante, che mi stupisce ogni volta che mi accingo ad ascoltare le tue opere, è quella imprevedibilità (e quella “semplicità” disarmante) che ti fa passare, in pochi secondi, ad esempio, dalla musica da camera al death metal più brutale. E i titoli dei brani non sono mai d’aiuto! Da “Der Sam Tim Vroom” sino a “Sunny Son of Blütenstaub meez Ubao e i Bioboi”, passando da “Kitchbitchbeach”, “Lajaska Fukkja” e numerosissimi altri, i titoli delle tue “creature” sono sempre “non di questa terra”. Come nascono di volta in volta e come li “leghi” ai brani?

M.G.: Il mio amico Gianmichele Taormina (che è un giornalista che scrive di jazz) sostiene che la musica io la scriva per giustificarne i titoli. E già come spiegazione potrebbe bastare.

Gli Ultimi, Duo Deno, Keimverbreitung, Csanacs, gli album con Paul Teglia, Gianmartino della Delizia e Monterosso, Camillo’s STRIO e altro ancora, oltre a tutto quanto firmato esclusivamente a tuo nome. Quante anime (e quante energie) ha Mezz Gacano?

M.G.: “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello e “Der Steppenwolf” di Hesse, entrambi editi all’inizio del XX secolo, narrano della sensazione propria dell’“uomo moderno” di sentirsi dilaniato o, forse sarebbe meglio dire, disintegrato dai vari “se stessi” con cui si è costretti a convivere; ecco, io cerco di collaborar(mi)ci!!! …ma non sempre è facile.

Mi parli un po’ della Sasime Records e della sua scuderia “sui generis”?

M.G.: Sasime Records è un’etichetta intenzionalmente DIY (Do It Yourself) sin dagli albori. Nasce con l’intento di produrre (nel senso più terreno possibile) i frutti dei miei collaboratori musicali, sia interni che esterni. Quindi, oltre ai primissimi vagiti di progetti come Mezz Gacano e Paul Teglia (i due miei me stesso più longevi), ci sono dentro una miriade di altri progetti più o meno comprensibili a più. Eccone alcuni:

Tchazart, Checky Choise, Wrong Side, Ускатчю, Baba°Sonic, Klaustrophoniscke Orchestra, Delicano Galizia, Fighting About Nervs, The Sbrechis, Quartetto Tetra, Duo Deno, Bradipop, OtOpOdO, Keimverbreitung, Manrovescion,  DodeCafoni, Dead Can Kennedys, Buttitta Coil,  Lai Suzu & Guten Baci, Jahzorn, James Oristano, Lico Nega, Sfaccimmen Trio, Julienne Patacassiom, Ugly Manos & Big Minna Amalphi Strio, Csanacs, Counterpeel Trio & Quintet, Self Standing Ovation Boskàuz Ensemble, Kinderheim Kunst Quintet, Hochgerechnet Kunst Trio, Rothko, Yonic South, SKENZ, まって ください,The Giovannis, شميسكا, GEZZ (Gebbia+Mezz), MezzossO, SUOLO, T.O.L.D..

Ci sono ovviamente tutti i generi musicali possibili e immaginabili, provare per credere: https://sasimerecords.bandcamp.com/

Sul canale Bandcamp della Sasime Records si possono ascoltare numerose tue registrazioni live. Ma com’è Mezz Gacano sul palco? Cosa ci si deve aspettare da un tuo concerto?

M.G.: Può succedere di tutto, credo che sia questo il vero mordente che spinge le masse ad andare altrove (ahahah!). Sì, puoi andare ad un concerto di Mezz e trovarti davanti ad una performance post-beckettiana o ad un concerto thrash metal anni ’80, oppure trovarti seduto ad ascoltare musica da camera diretta con tappi di spumante; …o vedere Mezz stesso a fare muri di suono con un sax soprano, oppure trovarlo alla batteria insieme agli Stormy Six.

Molto spesso le copertine degli album targati Sasime Records sono tue. Mi parli di questo tuo lato artistico?

M.G.: Il mio sogno adolescenziale era fare le copertine alla Roger Dean o alla Derek Riggs, le copiavo in continuazione… adoravo anche, ovviamente, tutte quelle copertine splatter di gruppi come Accused, Attitude, GBH, Misfits, ecc. Oggi mi occupo esclusivamente degli artworks della Sasime Records.

Un nome e un cognome: Frank Zappa. Continua tu…

M.G.: Zappa mi folgorò letteralmente nel 1990, avevo diciassette anni e suonavo le tastiere, il basso e (prevalentemente) la chitarra. Avevo da poco scoperto Mingus e Monk, che mi aprirono un universo, ma Zappa fu un fulmine a ciel sereno… ci misi mesi per cominciare a decifrare quella musica in cui c’era TUTTO!

Dopo averlo cominciato a capire, mi sono imbattuto in quello che a mio avviso era il percorso naturale post-zappiano ovvero il Rock In Opposition (R.I.O.). In radio (di notte) scoprivo gruppi come i Miriodor, gli Univers Zèro, Gli Henry Cow e i “nostri” Stormy Six, e ovviamente le mie sinapsi andarono a fuoco.

Zappa, che in genere è sconosciuto persino a chi si dichiara zappiano incallito (che spesso conosce i dischi di facile fruizione come: “Hot Rats” e “Waka/Jawaka”), è stato il primo ad intuire le potenzialità del rock miscelato con la scrittura cameristica, tra l’altro uno dei suoi supereroi (oltre ai sempre citati Varese e Stravinski) era Mauricio Kagel, da cui ha imparato la totalità dell’arte e da cui ha attinto a piene mani, soprattutto nelle prime scritture per le Mothers of Invention.

Basta ascoltare pezzi come “Project X” (da “Uncle Meat”) per rendersi conto che dentro c’è tutta la musica che arriverà nei successivi cinquanta anni, R.I.O. compreso!!

Cambiando discorso, il mondo del web e dei social è ormai parte integrante, forse preponderante, delle nostre vite, in generale, e della musica, in particolare. Quali sono i pro e i contro di questa “civiltà 2.0” secondo il tuo punto di vista per chi fa musica?

M.G.: Come in ogni cosa in natura ci sono dei pro e dei contro… Il web l’ho rifiutato sin da subito perché mi sembrava (veramente) una “rete” da cui tenersi a debita distanza, ma poi, nel tempo, ne ho capito le reali potenzialità e anche i lati positivi, che non sono pochi.

In un periodo come quello attuale, iniziato grosso modo quando è iniziata la crisi del mercato discografico, che, secondo alcuni esperti del settore, è già iniziata con l’immissione del Compact Disk sul mercato durante la fine degli anni ’80, ma che trova il suo punto critico (per alcuni) o addirittura di collasso (per molti), in realtà la rete compromette tutto quell’establishment di mostri discografici, lontanissimi per la maggior parte degli artisti che hanno realizzato musica indipendente dal decennio che va dal 1990 al 2000. Quindi quando Napster mette a repentaglio i conti bancari di Ulrich & Co. (poveretti!!), facendo di fatto scricchiolare il vecchio impianto, apre una breccia (che poi diverrà una falla) per tutti quei musicisti che, come me, non hanno molta speranza di sopravvivere in un’Italia in cui sanremo è il vaticano musicale e dove un artista che pensa di fare ARTE è praticamente un suicida.

L’evoluzione di piattaforme, sempre meglio organizzate, ha dato a musicisti come me la possibilità di vendere dischi ai quattro angoli del pianeta e mettermi in contatto con situazioni che un tempo sarebbero state difficilissime, se non impossibili.

E quali sono le difficoltà oggettive che rendono faticosa, al giorno d’oggi, la promozione della propria musica tali da ritrovarsi, ad esempio, quasi “obbligati” a ricorrere all’autoproduzione o ad una campagna di raccolta fondi online? E, nel tuo caso specifico, quali ostacoli hai incontrato lungo il cammino?

M.G.: Il crowdfunding non lo conosco e non l’ho mai praticato. L’autoproduzione è da sempre una mia scelta peculiare, mi autoproduco dal 1993 e ne sono, nel mio piccolo, soddisfatto. Gli ostacoli sono rimasti pochi: per esempio, un fenomeno che in Italia trova, credo, il suo primato, come il censore radiofonico, che trovi spesso in quelle radio che fanno programmi a tenuta stagna ( tipo “solojazz”, “solorock”, “soloprog” “soloprot”); per quel che riguarda il Progressive ce ne sono un paio che mi fanno veramente pena, parliamo di poveri cristi che credono che il Progressive siano i Pink Floyd e che abbia il suo suono definitivo incastonato nel 1972, e che poi non distinguono uno spartito di Charles Ives da un di Fred Frith!

Ovviamente per questa gente Mezz Gacano è il nemico n. 1 poiché non ne capiscono né le derivazioni né il contenuto e tantomeno i confini.

Quella è una specie di parassiti del vecchio mondo che, per fortuna, è in via d’estinzione.

Per il resto, soprattutto fuori dalla bel pa(L)ese e da certi ambienti finto-culturali, il mondo della musica si è aperto moltissimo e credo che molto merito vada alla rete e alle programmazioni radio indipendenti fatte con intelligenza!

Qual è la tua opinione sulla scena progressiva italiana attuale? C’è modo di confrontarsi, collaborare e crescere con altre giovani e interessanti realtà? E ci sono abbastanza spazi per proporre la propria musica dal vivo?

M.G.: Al momento non c’è spazio alcuno, ma speriamo che si torni quanto prima a fare musica dal vivo.

Bisogna capire cosa intendiamo per progressiva. Ti rispondo in tre opzioni che si possono interpretare, come direbbe Frassica, “a piacere”:

  • Se, come nel caso del “censore radiofonico”, il Progressive è quello che si faceva in Italia fino al 1973, mi sembra che, come band “giovane”, gli Arti e Mestieri stiano facendo un ottimo lavoro.
  • Yugen, Parafulmini, Homunculus Res. Ma dobbiamo dare per assodato che Zago, D’Alessandro e Bigliazzi siano dei giovani, se non giovanissimi, forse solo un pelo più giovani degli Arti e Mestieri.
  • A Palermo dei veri giovani si slogano i polsi anche suonando della buona musica che, volendo fare lo Zuffanti (che saluto) palermitano, cito e verifico in Chester Gorilla e Atti Pubblici In Luogo Osceno; per i primi ho scritto un pezzo che non so se arriverò a vederne la nascita, ai secondi ho rubato il violista/cantante Antonio Tralongo per i miei SUOLO.

Esulando per un attimo dal mondo Mezz Gacano e “addentrandoci” nella tua vita, ci sono altre attività artistiche, oltre quella pittorica, che svolgi nella vita quotidiana?

M.G.: Ogni tanto cucino e scribacchio, ma nulla di serio.

E parlando, invece, di gusti musicali, di background individuale (in fatto di ascolti), ti va di confessare il tuo “podio” di preferenze personali?

M.G.: …uhm… una domanda che nella sua semplicità mi spiazza sempre…

Cito i primi che mi vengono, ma senza podio.

Thelonius Monk, Charles Mingus, Frank Zappa, Robert Fripp, Fred Frith, John Zorn, David  Thomas, Tenko, Anthony Braxton, Holger Czukay, Arto Lindsay, Tommaso Leddi, Cheikha Rimitti, Peter Brötzmann, Chris Cutler, David Shea, Roscoe Mitchell, Tatsuya Yoshida, Mick Harris, Shirley Bassey, Cornelius, Tom Zè, Erik Satie, Snakefinger, Moondog, KK Null, Hermeto Pascoal, Antonello Salis, Carlo Actis Dato, Richard Hell, John McLaughlin, Paul Leary e Gibby Haines, Ruth Brown, The Residents, The Red Crayola, Bob Mould, Ruins, Coil, Tricky.

Restando ancora un po’ con i fari puntati su di te, c’è un libro, uno scrittore o un artista (in qualsiasi campo) che ami e di cui consiglieresti di approfondirne la conoscenza a chi sta ora leggendo questa intervista?

M.G.: Adoro la letteratura russa, in particolare Fëdor Michajlovič Dostoevskij, e consiglio a tutti di leggere tutto, ma soprattutto i capolavori:

  • Delitto e castigo (Преступление и наказание), 1866
  • L’idiota (Идиот), 1869
  • I demoni (Бесы), 1871
  • I fratelli Karamazov (Братья Карамазовы), 1878-1880

Poi alcuni consigli spassionati e passionali (cit.) per quel che riguarda il cinema contemporaneo sono Michael Haneke, Yorgos Lanthimos e tutto il cinema coreano di ultima generazione, Park Chan-wook e Kim Ki Duk su tutti.

Tornando al giorno d’oggi, alla luce dell’emergenza che abbiamo vissuto (e che stiamo ancora vivendo), come immagini il futuro della musica nel nostro paese?

M.G.: Non riesco ancora a immaginare nulla.

In questo periodo strano, c’è stato un evento extramusicale che, nell’agosto del 2020, ci ha in qualche modo “uniti”: la nascita di un figlio. Com’è cambiata la tua vita, anche artistica, con l’arrivo di Ari?

M.G.: Ahahah! La nascita di Ari ha rivoluzionato qualsiasi millimetro della mia esistenza. Ovviamente con Simona (la mamma) dobbiamo darci dei turni e la priorità su tutto spetta al pargolo, poi viene il resto.

Prima di salutarci, c’è qualche aneddoto che ti va di condividere sui tuoi anni di attività?

M.G.: Ce ne sarebbero a centinaia, alcuni molto buffi, altri molto meno, ma il mio preferito è sempre questo:

Era il 2001 e ai tempi condividevamo la sala prove con un gruppetto di ragazzi che suonava del poderoso hardcorepunk (squisitamente “straight edge”) in stile Varoukers, GBH, Minor Threat, che chiameremo per pudore “i ragazzi”. Un giorno dovevamo fare un concertino in rinomato locale che chiameremo per riservatezza Giovanna.

Dunque, il giorno del concerto io, insieme al Tuttofare Marco (Monterosso) aka Ruhi Nakoda, ci incontriamo alla suddetta sala prove per caricare la strumentazione che necessiterà al suddetto concertino.

“Meccaniche batteria ci sono, amplificatori per chitarre e basso ci sono, cavetteria e sgabelleria per Gianmartino caricata… microfoni ci sono… due aste le prendiamo in prestito da “i ragazzi” (a loro insaputa… tanto mi devono un fantastiliardo di favori!) e …partiamo!” (Marco Monterosso).

Partiamo, montiamo, facciamo il soundcheck, …il tempo di scaldare l’ambiente, un paio di bibite analcoliche (…ehm!) facciamo sto bel concertino, bis, strabbis, saluti, abbracci… Smontiamo e riportiamo tutto alla sala prove.

Qualche giorno dopo ci vediamo in sala prove e ci accorgiamo che, disdetta, in tutto il trambusto ci siamo scordati di ricaricare le aste de “i ragazzi”; prontamente Monterosso chiama il proprietario del Giovanna che subitaneamente fa una ricerca in magazzino ma …niente, non ci sono aste in più, rispetto a quelle in genere in loro possesso. Aste vaporizzate!!!

“…e adesso chi glielo dice a “i ragazzi”?”. Siamo disperati!!

Quando arriva un delegato del suddetto gruppetto, Manlio (il più palestrato de “i ragazzi”), io e Marco gli raccontiamo con accorato imbarazzo l’accaduto pensando a come e dove trascorrere la nostra dolorosa convalescenza ortopedica; Manlio strabuzza gli occhietti, fa un sorriso, prorompe in una fragorosa risata e ci dice: “…quelle aste noi le avevamo fregate al Giovanna la settimana precedente al vostro concerto”.

Morale della favola: “con Mezz (e Monterosso) tutto torna al suo posto!!”.

E per chiudere: c’è qualche novità sul prossimo futuro di Mezz Gacano che ti è possibile anticipare?

M.G.: Posso tranquillamente anticiparti che sono già a lavoro sul prossimo disco e che ho buttato giù un quantitativo di materiale enorme. Manco a dirlo ci saranno un esercito di ospiti illustri et illustrissimi, oltre agli omni presenti Monterosso e Gianmartino.

Grazie mille Mezz!       

M.G.: Grazie a te Donato!

(Marzo, 2021 – Intervista tratta dal volume “Dialoghi Prog – Volume 2. Il Rock Progressivo Italiano del nuovo millennio raccontato dai protagonisti“)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *